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Caserta. Istituito il nuovo biglietto annuale “Parco della Reggia e Giardino Inglese”

Reggia di Caserta

CASERTA. E’ istituito il nuovo biglietto annuale “Parco della Reggia e Giardino Inglese” per i cittadini, UE e non, residenti nel Comune di Caserta ed in quelli limitrofi. Il ticket sarà acquistabile al costo di 10 euro entro il 29 febbraio 2016 e dopo tale data costerà euro 15. La validità sarà dall’acquisto fino al 31 dicembre 2016. Il biglietto, nominativo e non cedibile a terzi, sarà acquistabile esclusivamente al varco d’ingresso di corso Giannone e permetterà l’ingresso illimitato al Parco e Giardino Inglese previa esibizione dello stesso unitamente al documento di identità. Il biglietto non deve essere plastificato e va conservato adeguatamente onde evitarne il deterioramento. In caso di smarrimento o deterioramento non è prevista la sostituzione. Al fine di evitare disagi e attese al cancello d’ingresso a causa di file che diventano inevitabili nei giorni festivi e prefestivi, si consiglia di acquistare il ticket annuale presso- si legge dalla nota – la Biglietteria di Corso Giannone negli orari di apertura del Parco, preferibilmente nei giorni feriali, escluso il martedì giorno di chiusura del monumento e, limitatamente al weekend 30-31 gennaio 2016 sará possibile utilizzare eccezionalmente il biglietto del 2015.

Bologna/Caserta. Felicori ad Arte Fiera per presentare Terrae Motus

conferenza-felicori

BOLOGNA/CASERTA. “Sono stato tutto il giorno ad Arte fiera per presentare la nuova collocazione della collezione Terrae Motus nei locali della reggia appena trasferiti al Mibact dall’Aeronautica, che si inaugura il prossimo primo giugno; è stata una esperienza molto sentimentale, ritrovare tanti amici che non riesco più a vedere da quando lavoro a Caserta è stata una vera emozione; e una notevole esperienza professionale: ho colto che quella formidabile collezione è ormai sconosciuta agli appassionati di arte, e solo gli specialisti la ricordano, quindi quando il primo giugno la ripresenteremo sarà come inaugurare un nuovo museo di arte contemporanea!”. Così ieri sera sul suo profilo di Facebook Mauro Felicori, direttore della Reggia di Caserta a consuntivo del primo giorno di presenza ad Arte Fiera – nella sua Bologna – dello stand del monumento.
Felicori è convinto che la riproposizione di Terrae Motus nei nuovi locali liberati dai militari sarà un successo: “Mi sa che in questo ambito sarà l’evento del 2016!” arriva ad affermare. “Ho visto che tanti hanno apprezzato il mio stile da direttore “da marciapiede” e ne sono stato fiero, mio padre Raffaele mi ha sempre detto che c’è una sola regola, “se credi in qualcosa, dai l’esempio” e io non vedo modo migliore per motivare i tanti che lavorano con me e le migliaia che aspettiamo alla reggia che metterci la faccia, il faccione nel mio caso – ha quindi confessato -: io ci credo, e anche se dirigo uno dei più grandi musei statali italiani, non mi vergogno, anzi vado fiero, di stare in un piccolo stand, come un fruttivendolo, a “vendere” la mia reggia e la mia nuova città”.

Fonte: ilCasertano

Martin Lutero: l’uomo che cambiò il cristianesimo. Il luteranesimo come strumento “politico” e fenomeno cittadino

La figura di Lutero nella civiltà Occidentale ha una importanza decisiva. In un momento storico preciso, il ‘500, egli innesca una serie di avvenimenti destinati a consegnarci l’Europa così come sostanzialmente la conosciamo ancora oggi. Martin Lutero, nato da una famiglia di umili origini a Eisleben, a ventidue anni, entrò nel convento agostiniano di Erfurt. Agostinolutero2 ebbe una influenza enorme su di lui e caratterizzerà di fatto le basi della nuova dottrina elaborata da Lutero attraverso il principio della “giustificazione per fede”. Lutero ribalta alcuni concetti ribaditi poi nel Concilio di Trento e apre la strada non solo ad una “riforma religiosa” ma soprattutto politica. La sfera di influenza di Roma sui territori germanici e dei loro rispettivi principi viene spezzata. I “potenti” locali vedono nell’entusiasmo dei fedeli “convertiti” alla nuova dottrina la possibilità di riaffermare il proprio dominio scevro dai condizionamenti provenienti da Roma. Sul piano dottrinale Lutero rileggendo la lettera di San Paolo ai romani da una chiave di lettura completamente diversa della “grazia” così come concepita e “imposta” dalla Chiesa Cattolica. Lo studio della Bibbia, la preghiera e la meditazione lo aiutarono a pervenire a un intendimento diverso di come Dio considera i peccatori. Concilio di TrentoDa qui, derivò l’idea che il favore di Dio non è qualcosa che si possa guadagnare, ma viene concesso per immeritata benignità a coloro che manifestano fede. Nella teologia paolina infatti l’apostolo sostiene che se noi avremo fede saremo giustificati da Dio per i meriti di nostro signore Gesù Cristo. Dio, e lui solo, ci darà la grazia, la salvezza giustificandoci. È questo il punto centrale di tutta la dottrina Luterana: egli infatti intende giustificati in senso letterale (iustum facere): essere resi giusti da ingiusti che siamo per natura (cr. V. Subilia, “La giustificazione per fede”, Brescia 1976). È l’onnipotenza divina che è in grado di fare questo: trasformare il nero in bianco, rendere giusto ciò che per sua natura è profondamente ingiusto. L’uomo non può lusingare Dio con le buone opere, tanto più che il peccato originale lo porterà di nuovo irrimediabilmente a peccare. Tutto dipende da Lui, che interviene direttamente sull’uomo. Non c’è più bisogno del mediatore tra Dio e l’uomo: il sacerdote, ma è Dio che nella sua onnipotenza salva chi ha deciso ab aeterno (dall’eternità) di salvare. Le nuove teorie di Lutero (e con lui Calvino, Zwingli, Erasmo da Rotterdam – che prese poi le distanze da Lutero -, ecc.)zwingli provocano un capovolgimento profondo della dottrina cattolica che porterà inevitabilmente alla scomunica e ad aprire un processo contro l’agostiniano. Per la Chiesa Cattolica la dottrina luterana getta l’uomo nella disperazione. Mentre il cattolico, tramite i sacramenti, può presumere di avere ottenuto il perdono ed essere in grazia di Dio, il luterano non dispone di segni che gli possano far ritenere probabile di essere stato predestinato alla salvezza; può solo sperarlo e crederlo fortemente, e quanto più sarà stato peccatore, tanto più potrà e dovrà esprimere fortemente la sua fede di essere salvato. Ancora più importante per l’evolversi della società dell’Europa centrale è l’interpretazione che darà Calvino: calvinodiversamente da Lutero, Calvino riterrà che il fedele che, tramite il lavoro, ottiene successo e benessere possa supporre di essere predestinato alla salvezza. Questi, cioè, saranno in qualche modo segni della grazia di Dio. Il “successo”, il “realizzarsi” attraverso il lavoro, l’impresa, il riconoscimento “sociale” diventano strumenti terreni per “certificare” la grazia agli occhi di Dio. Molti sociologi evidenziano come ad esempio questa spinta propulsiva data dalla nuova dottrina sia alla base del “successo” economico dei paesi del centro-nord europa rispetto ai paesi mediterranei a maggioranza cattolica. Ovviamente le differenze politiche e sociali non possono essere ridotte a tale semplice giustificazione. Lo scontro tra le due “concezioni” della grazia arriva nel pieno della richiesta di “indulgenze”. In cambio di un obolo alla Chiesa i peccati venivano perdonati o “scontati”. L’obolo donato simboleggiava il sincero pentimento e le buone opere da compiere per essere perdonati e ottenere una remissione delle pene. All’epoca si credeva generalmente che dopo la morte i peccatori venissero puniti per un certo periodo di tempo, mediante le sofferenze del Purgatorio. Tuttavia si diceva che questo periodo poteva essere abbreviato anche grazie alle indulgenze concesse con l’autorizzazione del papa in cambio di denaro. lutero4lutero3Ciò era intollerabile per Lutero che con le sue Discussione sulla dichiarazione del potere delle indulgenze nota anche come Le 95 tesi, un elenco di tesi, che il frate agostiniano Martin Lutero propose alla pubblica discussione il 31 ottobre 1517, attraverso l’affissione alla porta della chiesa del castello di Wittemberg, smontò tale impianto dottrinale. Da qui nasce la nuova dottrina luterana che oltre ai concetti di “Sola fide” e “Sola scriptura”, sancisce che l’’uomo compie azioni pie poiché è giustificato dalla grazia di Dio: non è giustificato a causa delle sue azioni pie; che per comprendere le Sacre Scritture non occorre la mediazione di concili o di papi; ciò che è necessario e sufficiente è la grazia divina e una conoscenza completa ed esatta di esse; negazione dell’infallibilità papale; i sacramenti sono ridotti al battesimo e all’eucaristia, gli unici, secondo Lutero, ad essere menzionati nella Sacra Scrittura. Essi tuttavia sono validi solo se c’è l’intenzione soggettiva del fedele, quindi perdono il loro valore oggettivo. Inoltre Lutero ritiene che nell’eucaristia vi sia la consustanziazione non la transustanziazione; il sacerdozio universale, per ricevere la grazia divina non occorre la mediazione di un clero istituzionalizzato: tra l’uomo e Dio c’è un contatto diretto. Una rivoluzione che investirà l’Europa e che porterà a radicalizzazioni e “distinguo” anche tra gli stessi “protestanti” per motivi politici (anglicani) e per diversa interpretazione della dottrina luterana: anglicani, calvinisti, zwingliani, ugonotti, anabattisti, ecc. La Chiesa Cattolica correrà ai ripari attuando la cosiddetta “Controriforma” che vedrà nell’ordine dei gesuiti fondanti da San’Ignazio di LoyolaSan Ignacio il principale “braccio” intellettuale ed operativo per contrastare il dilagare della Riforma protestante (fenomeno che riguarderà soprattutto l’Europa centrale e del nord, molto meno le Americhe e gli altri continenti), così come l’“Indice dei libri proibiti”, e la famigerata Inquisizione (celebre quella Spagnola). InquisizioneIl fermento sociale provocato dalla dottrina luterana, come detto, porterà a notevoli cambiamenti socio-politici. I principi tedeschi che adotteranno la Riforma avranno così la ghiotta occasione di eliminare l’egemonia politica degli Asburgo. “Il rapporto tra luteranesimo e principi tedeschi si cementò in nome della lotta contro gli Asburgo; sul vantaggio che derivò ai sovrani e alle città dalla privatizzazione dei beni del clero (che servirono pure a sostentare la nuova Chiesa) e sulla sconfitta del radicalismo politico-religioso [brano tratto da Grandangolo Storia ndr]. Le città mitteleuropee furono insanguinate da lotte feroci che come sempre videro gli ultimi, i deboli soccombere in balia della sete di potere ammantata dal pretesto religioso. inquisizione2Lutero, figlio di contadini, non esitò ad approvare e incoraggiare lo sterminio dei contadini svevi che si erano ribellati alle autorità locali: « Che ragione c’è di mostrare clemenza ai contadini? Se ci sono innocenti in mezzo a loro, Dio saprà bene proteggerli e salvarli, Se Dio non li salva vuol dire che sono criminali. Ritengo che sia meglio uccidere dei contadini che i principi e i magistrati, poiché i contadini prendono la spada senza l’autorità divina. Nessuna misericordia, nessuna pazienza verso i contadini, solo ira e indignazione, di Dio e degli uomini. Il momento è talmente eccezionale che un principe può, spargendo sangue, guadagnarsi il cielo. Perciò cari signori sterminate, scannate, strangolate, e chi ha potere lo usi », ebbe modo di dichiarare Lutero. “L’autorità politica, come aveva scritto Paolo, era voluta da Dio per punire la malvagità degli uomini, ed era necessaria al punto che spettava ai principi sostenere la Riforma della Chiesa. Rivolta religiosa e ribellione sociale non erano la stessa cosa e doveva cessare il dualismo tra diritto civile e canonico che aveva indebolito il potere secolare e appesantito l’edificio della Chiesa [Grandangolo Storia ndr]. lutero5Eppure potere secolare e religione ancora una volta dovranno sostenersi a vicenda per affermarsi: così come nell’epoca romana, si afferma il detto Cuius regio, eius religio “Di chi [è] la regione, di lui [sia] la religione”, cioè i sudditi seguano la religione del proprio governante, essa indica l’obbligo del suddito di conformarsi alla confessione del principe del suo stato, sia essa protestante o cattolica. Comunemente si intende riferito alla storia europea del XVI e XVII secolo.

Approfondimento
Il luteranesimo come fenomeno cittadino

“Tra la mentalità degli abitanti delle città e la Riforma vi era una congenialità che veniva da lontano: essa iniziò con l’alfabetizzazione che, anche seguendo le valutazioni scettiche che partono dal 30% nelle città a f4ronte del 5% della popolazione nel suo complesso, era penetrata fino agli artigiani e aumentò decisamente le opportunità di Lutero di trovare ascolto […]. A questo si aggiunga che la ricezione della nuova devozione alla Bibbia trovò la strada aperta grazie al lavoro compiuto dalle istituzioni educative […], come le scuole, le università e i pulpiti, che attraverso le prediche domenicali abituarono al discorso intellettuale anche gli strati inferiori illetterati. Insegnanti, professori e predicatori, e il circolo […] formato dalla prima “borghesia colta” umanistica, da patrizi, da mercanti e dall’alta borghesia artigiana, furono i primi seguaci di Lutero e agirono […] amplificando il suo messaggio negli strati intermedi e inferiori […]. spiraE per coloro che non erano ancora in grado di leggere da soli, i nuovi libri venivano letti ad alta voce […] , e parlavano da soli grazie alle illustrazioni comprensibili a tutti e ai semplici motti che contenevano […]. Un’altra cosa si aggiunse: attraverso il ritorno alla Bibbia, alla Sola Scriptura, con Lutero e Zwingli, la stessa religione aveva assunto la qualità di un’intensa relazione tra Dio e l’uomo emancipato. Il pensare assieme, l’esaminare, il rileggere erano passati in primo piano di fronte all’esperienza di un ambito religioso vissuto come qualcosa di inconcepibile […]. Questi erano i modi di comportarsi che si erano formati nelle città da generazioni, mentre ancora per secoli l’abitante della campagna valorizzò nella religione proprio l’elemento magico-sacrale. Il nuovo principio della Scrittura in consonanza con la mentalità cittadina”

Brano tratto da “Ascesa e crisi. La Germania dal 1517 al 1648” di H. Schilling, edizioni “Il Mulino”, Bologna 1997

Colombo, il padre inconsapevole della ‘Globalizzazione’. La distruzione delle Indie

“Globalizzazione”. Un termine che non è affatto moderno. Tutto iniziò, meglio “cambiò”, il 12 ottobre 1492. Il grande navigatore ligure Cristoforo Colombo scoprì il “Nuovo Mondo” (anche se lui fu sempre convinto di aver trovato un passaggio ad Ovest per le Indie) e il Mondo non fu mai più lo stesso. Colombo 1Molti fenomeni che caratterizzano le cronache odierne hanno in verità origine a seguito di quella che fu una grandissima scoperta ma soprattutto una grande “conquista” dell’umanità. Nuove frontiere, nuovi spazi, nuovi “mercati” e dunque una nuova “economia mondiale” con nuove regole e protagonisti, nuove antichissime e floride culture, ma anche nuovi problemi e tragedie. La “tratta dei neri” così drammaticamente uguale alla “tratta” odierna degli immigrati: i negrieri come gli scafisti di oggi, popolazioni martoriate dalla guerra come gli schiavi africani dell’epoca sradicati con violenza dalle loro terre per essere condotti a “lavorare” nel nuovo continente americano; la distruzione totale della gran parte delle popolazioni autoctone delle Americhe per mano dei “conquistadores” spagnoli e portoghesi, così come di virus e batteri ad essi sconosciuti. Popolazioni “vergini”, incontaminate, popolazioni “bambine” e come i bambini “ingenue”, incapaci di attendersi il male e difendersi dai nuovi arrivati; una nuova “economia mondiale”, con nuove rotte commerciali, nuovi imperi, nuovi codici, nuovi prodotti in gran parte sconosciuti più agli europei che agli asiatici, comunque veri “leoni” sui mercati grazie alle loro richiestissime “spezie”. Nel brano seguente si offrono una serie di spunti interessanti per riflettere e analizzare una scoperta che rivoluzionò per sempre l’umanità che per la prima volta nella sua storia fu “connessa” (prima di Internet) interamente: i continenti e i loro popoli non erano più entità autonome e distanti ma avevano ormai la necessità di essere in contatto fra di loro. Colombo2Il processo di “contaminazione” sociale, economica, religiosa e politica scatenato dalla scoperta dell’America, con un ritmo sempre più incalzante, prosegue ancora oggi. Cristoforo Colombo è dunque il padre (inconsapevole) della “Globalizzazione”.

<< La distruzione delle Indie – L’ammontare della popolazione dell’America precolombiana è oggetto di controversie. Le stime oscillano fra i 20 e i 50 milioni in totale. Le regioni più densamente popolate erano quelle degli imperi azteco e inca, l’area della civiltà maya, sebbene ricerche recenti indichino che anche l’America Settentrionale e l’Amazzonia erano molto più abitate di quanto si pensasse in precedenza (…). Quello che invece sappiamo con certezza è che nel secolo e mezzo successivo alla scoperta, la popolazione americana subì un declino rovinoso. Nel 1650 l’intero Continente contava circa 13 milioni di abitanti e, di questi, un quinto circa erano discendenti degli immigrati da altri continenti. Solo all’inizio dell’Ottocento gli abitanti del Nuovo Mondo recuperarono il livello demografico di tre secoli prima. A questa data però si trattava di una popolazione molto diversa, per origine e composizione: gli americani di origine europea o quelli, di origine africana, deportati in America come schiavi costituivano infatti più della metà del totale (…). Una parte della colpa è da attribuirsi alle malattie infettive introdotte dagli spagnoli e dagli africani (…). Il vaiolo fu certamente il killer più micidiale, ma non fu il solo. Sulle navi che giungevano nel Nuovo Mondo purtroppo viaggiavano clandestinamente altre malattie: il tifo, il morbillo, la varicella, diversi tipi di influenza. E quando la tratta degli schiavi africani si intensificò, con essi arrivarono altre malattie, come la febbre gialla e la malaria. Le epidemie facilitarono la conquista spagnola. Lo riconosce apertamente, e con un certo cinismo, anche uno dei compagni d’arme di Hernan Cortes: Cortes“In quella occasione venne una pestilenza di morbillo e di vaiolo tanto dura e crudele che credo morì la quarta parte degli indios e che ci aiutò molto nel far la guerra e du causa che terminasse così presto perché di questa pestilenza morì una gran quantità di gente e di uomini d’arme, e molti signori, e capitani e guerrieri valenti (…) e miracolosamente il Nostro Signore li uccise e ce li tolse di torno”. Tra le vittime vi fu anche l’imperatore Cuitlahuac,CUITLAHUAC successore di Moctezuma. La conquista spagnola dell’America fu quindi anche una guerra batteriologica involontaria (…). L’arrivo degli spagnoli – e successivamente di altri colonizzatori europei – comportò una quasi completa distruzione dei sistemi sociali, politici ed economici indigeni. In molti casi le stesse strutture famigliari si dissolsero a causa dello sfruttamento cui vennero sottoposti gli indios (…). Inoltre, all’oppressione politica e allo sfruttamento economico si aggiunse quella che è stata chiamata la “conquista spirituale”, ovvero la distruzione della cultura tradizionale degli indios americani, sia nei suoi aspetti materiali, come i luoghi di culto e le espressioni artistiche, legati a una religione che spagnoli consideravano demoniaca, sia immateriali come i riti, i miti e il linguaggio stesso. Gli indios dovettero assistere alla distruzione di tutto ciò che aveva dato un senso alle loro esistenze, all’annientamento non solo della società ma anche della loro visione del mondo (…). moctezumaLo ‘scambio colombiano’ – La diffusione di malattie, soprattutto dal Vecchio al Nuovo Mondo, fortunatamente non è stato aspetto di quello che lo storico Alfred W. Crosby ha definito ‘lo scambio colombiano’. L’incontro – e lo scontro – fra i due mondi non ha riguardato solo i popoli e civiltà, ma anche i rispettivi ecosistemi.Il 1492 non segnò una svolta decisiva solo perla storia dell’uomo, ma anche per la storia naturale. Ha detto lo scrittore statunitense Charles C. Mann che “per gli ecologi questo [l’incontro fra i due mondi – ndr] fu probabilmente l’evento più importante dopo l’estinzione dei dinosauri”. Basterebbe questo per riscattare il significato storico del 1492 (…). L’elenco delle specie vegetali e animali di origine europea o asiatica che vennero introdotte nel Nuovo Mondo e vi proliferarono , cambiandone radicalmente il paesaggio e l’ecologia, è lunghissimo. In certi casi si trattò di un’introduzione consapevole con finalità economiche. E’ il caso questo di animali domestici come il cavallo, il maiale, le pecore, le capre e i bovini (…). Un discorso analogo può essere fatto per le piante. Il paesaggio naturale e agrario americano sarebbe impensabile senza il frumento, il riso, il cotone, la canna da zucchero, che hanno dominato l’economia dei Caraibi e di parte del Brasile, il caffè. E non dimentichiamo i vigneti e gli aranceti della California. Talvolta, fra piante e animali di origine europea introdotti in America, si creavano sinergie che ne favorivano il successo. ConquistadoresFu ciò che avvenne con l’introduzione dell’ape millifera europea che impollinava di preferenza piante del Vecchio Mondo favorendone la diffusione. Alcuni degli esempi citati dimostrano tuttavia come lo ‘scambio colombiano’ sia stato un processo complesso e multilaterale. Alcune delle piante e anche qualche animale, che conobbe un grande successo nelle Americhe, non aveva un’origine europea – cotone, canna da zucchero, più tardi gli agrumi – ma asiatica o africana. In simili casi l’Europa fece da tramite, nel senso che queste piante, già coltivate in genere su piccola scala dato che non erano adatte al clima prevalente in Europa, si acclimatarono nell’America tropicale con grande successo. Non sempre, inoltre, la trasmigrazione di specie passò attraverso l’Europa. Le navi che dell’Africa trasportavano gli schiavi, avevano nelle stive miglio, sorgo, angurie e riso africano. Anche il caffè arrivò direttamente dalle zone d’origine – la penisola arabica o forse l’Africa Orientale – trovando in molte regioni americane un terreno d’elezione. E non fu neppure un processo unidirezionale. Se è indubbio che, anche dal punto di vista ecologico, le Americhe sono state trasformate dalla mondializzazione del Cinquecento più profondamente del Vecchio Mondo, neppure questo è rimasto immutato. In Europa le conseguenze più rilevanti sono quelle derivate dall’introduzione della patata e del mais, alimenti di base delle civiltà mesoamericane e andine(…). I prodotti delle piantagioni erano destinati ad essere esportati oltreoceano, per lo più in Europa (…). La crescita esponenziale del numero di schiavi deportati in America è strettamente correlata alla diffusione del sistema di piantagione. Nella seconda metà del Cinquecento circa 250.000 africani compiono la ‘traversata’. Nei cinquan’anni seguenti saranno mezzo milione. Tra il 1650 e il 1700 il numero sale a 75.000 e, duramnte il Settecento, gli africani deportati nelle Americhe, soprattutto Brasile e Caraibi francesi, inglesi, olandesi e spagnoli, saranno oltre 2 milioni (…). Nelle Americhe, alla conquista politica si è affiancata immediatamente una ‘conquista spirituale’ il cui aspetto più importante è stata la cristianizzazione (…). Conquistadores 2La distruzione di luoghi e oggetti di culto e di testi sacri e la proibizione della celebrazione di riti pagani, si accompagnava a uno sforzo complessivo di ristrutturazione dell’intera società indigena, a partire dalle sue istituzioni di base, come il matrimonio. Ha scritto lo storico francese Serge Gruzinski: “I frati compresero che per estirpare le credenze e sottomettere gli animi era necessario addomesticare i corpi e controllare le abitudini di vita. Il matrimonio si conformerà al modello cristiano, le regole matrimoniali riprodurranno gli interdetti della chiesa, la monogamia prenderà il posto delle unioni poligame praticate dalla nobiltà india” (…). Libri, statue e dipinti possono essere distrutti, ma spesso i nuovi luoghi di culto, le chiese cristiane, sono costruite sui luoghi dei templi indigeni. Il culto di dei pagani sostituito da quello dei santi cristiani con caratterizzazioni simili. Nulla di sorprendente. Era accaduto lo stesso durante la cristianizzazione d’Europa mille anni prima >>.

Nota – Approfondimento

Bartolomè de las Casas (1484 -1566) prese parte al quarto viaggio di Colombo e si stabilì nelle Indie occidentali nel 1502, come encomedero, ovvero come colono al quale erano affidati un certo numero di indigeni, in linea di principio per prendersi cura della loro evangelizzazione, in pratica per sfruttarli come forza lavoro. Bartolomé de las CasasUna crisi spirituale portò però Bartolomé a prendere i voti nel 1507 e ad entrare in seguito nell’ordine dei domenicani, diventando poi vescovo della diocesi di Chiapas. Da questo momento sarebbe stato uno dei più grandi ed efficaci difensori degli indios. Nel 1550 La Casas si scontrò a Valladolid in un acceso dibattito pubblico in presenza dell’Imperatore Carlo V con l’umanista Juan Gines de Sepulveda il quale sosteneva che gli indios erano “intrinsecamente inferiori agli europei così come le donne e i bambini erano inferiori agli uomini e agli adulti”. Di seguito ecco un estratto della sua opera più famosa “Brevissima relazione della distruzione delle Indie” dove descrive perfettamente l’annientamento delle popolazioni indigene da parte dei conquistadores:

“Tra questi agnelli mansueti, dotati dal loro Creatore e Fattore di tutte le qualità di cui sono andato parlando, entrarono gli spagnoli, non appena ebbero notizia della loro esistenza, come lupi, come tigri e leoni crudelissimi che fossero stati tenuti affamati per diversi giorni. Altro non han fatto da quarant’anni a questa parte che straziarli, ammazzarli, tribolarli, affliggerli, tormentarli, e distruggerli con crudeltà straordinarie, inusitate e sempre nuove, di cui non si è mai saputo, né udito né letto prima. Alcune di queste atrocità riferirò più avanti; per ora basti dire che sono state tali che dei tre milioni di anime dell’isola Spagnola, che noi abbiamo veduto, non ne restano più di duecento. E l’isola di Cuba, estesa quasi quanto il tratto che separa Valladolid da Roma, è oggi praticamente spopolata. Quanto a San Juan e alla Giamaica, grandi e un tempo felici assai, incantevoli, sono tutte e due devastate. Le isole Lucaie, situate poco tratto a nord della Spagnola e di Cuba, insieme a quelle che chiamavano dei giganti e ad altre di varie estensione, sono più di sessanta. La peggiore di tutte è più fertile e ridente dei giardini del re a Siviglia: sono le terre più salutari del mondo. V’erano in esse più di cinquecentomila indiani, e oggi non si trova più creatura vivente. Li hanno fatti perire tutti, fino all’ultimo, traendoli in servitù sull’isola Spagnola perché vi prendessero il posto dei nativi, che stavan loro morendo di stenti uno a uno. Dopo tale vendemmia una nave andò attorno per tre anni a cercar gente in quei mari, perché un buon cristiano s’era mosso a pietà di quanti vi potessero ancora trovare, e voleva convertirli e guadagnarli a Cristo. Non furono rinvenuti che undici indiani: li ho visti io”.

Brano tratto da Grandangolo Storia

Kathrine Switzer, la prima donna che corse la Maratona

Kathrine Switzer era una gran bella ragazza, ma soprattutto con un caratterino testardo, troppo testardo per essere ancora il 1967, persino in America. Atleta professionista, si mise in testa di correre la Maratona di Boston, vietata alle donne come disciplina perchè considerate incapaci di correre per lunghe distanze alla pari degli uomini. Quando un organizzatore la scoprì – sebbene protetta alla vista dagli altri corridori che, capita l’impresa, tentavano di nasconderla ai giudici di gara – si infuriò al punto da insultarla e spintonarla alle spalle, per buttarla fuori percorso. Qui, lo scatto che immortala la scena. L’uomo a sinistra che la difende è il vecchio Arnie Briggs – suo allenatore e un padre putativo, per lei – mentre i 106 chili di muscoli sulla destra, che si stanno voltando per correre in soccorso, sono del fidanzato Tom Miller, iscritto alla competizione solo per farle da angelo custode. Era pur sempre il 1967. L’organizzatore finì gambe all’aria dopo una carezza di Tom, lei esitò un momento e il vecchio Arnie le urlò:”Corri, ragazza! Corri come fosse l’inferno!”. Tutto il pubblico in attesa al traguardo capì in quel momento che vi fosse una donna tra gli atleti e iniziò a incitarla a squarciagola – molti, guardandola, piangevano di commozione – finchè Kathrine tagliò alfine il traguardo in 4 ore e 20 minuti, tra gli applausi di uomini e donne in delirio. Una donna aveva appena dato prova pubblica di poter percorrere le stesse distanze degli uomini anche in corsa e la disciplina della maratona fu dichiarata universale. Dobbiamo tutte, e direi tutti, un Grazie a lei e al suo Tom. E di certo, anche un Grazie al vecchio Arnie. Non troppo vecchio, però. Nemmeno per essere il 1967.
  

Fanatismi vecchi e nuovi: cronache di una storia già raccontata …

Storia all’epoca delle crociate: si leggono nomi e vicende che richiamano la triste attualità, sembra anzi la “cronaca” odierna. La religione? La solita scusa. I motivi? Denaro e potere. Da leggere in particolare l’ultima parte:
“Le forze che sostenevano il Regno latino di Gerusalemme (che fu conquistata dai crociati il 15 luglio del 1099 ndr) – subito minacciato dal circostante islam che, riavutosi dalla sorpresa, passò presto al contrattacco – erano essenzialmente costituite dall’aristocrazia crociata che presto s’imparentò con famiglie nobili siriaco-cristiane o armene, dalle città marinare italiane che avevano partecipato alla presa di numerose città costiere, nelle quali fondarono le loro fiorenti colonie mercantili, dagli Ordini religioso-militari fondati per proteggere i pellegrini diretti in Terra Santa (…). Nacquero così i ‘Pauperes Christie t salomonici Templi’, ossia i ‘Templari’, e gli ‘Ospitalieri’, o ‘Cavalieri di San Giovanni’ (in seguito chiamati di Cipro e oggi di Malta). GoffredoPiù tardi si aggiunsero quelli di Santa Maria che appartenevano esclusivamente alla Nazione germanica e furono perciò chiamati ‘Teutonici’. I travolgenti successi dei Franchi (così Bizantini e musulmani chiamavano tutti gli Occidentali) avevano provocato un rapido risveglio dei poteri musulmani locali, che si erano quasi subito riavuti dalla sorpresa e avevano cominciato a riorganizzarsi per contrattaccare. I guerrieri occidentali erano obbligati a chiedere all’Europa latina aiuto per conservare e ampliare le nuove conquiste e ne ricevevano soprattutto sotto forma di spedizioni marinare da parte delle città italiche (Genova e Pisa immediatamente, un po’ più tardi Venezia); inoltre, essi miravano a sfruttare la rivalità tra i califfati concorrenti, quello sunnita di Bagdad e quello fatimide del Cairo, la cui incerta frontiera passava proprio per l’area siro-libano-palestinese (…). La riscossa musulmana partì dalle città siro-mesopotamiche del Nord, cioè da Aleppo (attuale Siria) e da Mosul (attuale Iraq), governate nel nome del califfo di Baghdad e dal suo consigliere-protettore turco-selgiudiche, il sultano, da una dinastia di atabeg (in turco: “padre dei capi”, cioè governatore generale) fondata da Imad ad-Din Zenqi. Quest’ultimo mirava a unificare sotto il suo potere tutti gli emirati della regione tra il mar di Levante e l’Eufrate; inoltre , musulmano sunnita intransigente come tutti i Turchi, guardava con ostilità al califfato sciita del Cairo.. La nobiltà franco-siriaca, costituita dai discendenti della Prima crociata ormai radicati in Terrasanta e che rappresentavano la classe dirigente del Regno di Gerusalemme, conosceva bene questa situazione e sapeva che l’ampliarsi e il rafforzamento del potere dell’atabeg di Damasco e di Mosul stavano determinando in tutto il mondo islamico del Vicino Oriente, paure e sopsetti, inimicizie e gelosie: dal sultano di Baghdad al califfo del Cairo agli emiri arabi di Siria, il più forte dei quali era quello di Damasco, si andava costituendo un ampio fronte ostile a Zenqi. Sarebbe stato sufficiente per i ‘Franchi’ collegarsi ad esso in un’alleanza cristiano-musulmana per la quale esistevano tutte le condizioni e il Regno sarebbe stato al sicuro. Ma alla fine in Occidente si optò per una nuova “crociata”. RiccardoDella necessità d’una nuova grande spedizione tesa a tutelare le conquiste si convinse Papa Eugenio III (…). Ma la grande spedizione partita dall’Europa del 1147 fallì, principalmente per colpa del re di Francia Luigi VII che ascoltando pessimi consiglieri non riuscì a trovare un accordo né con il Basileus Manuele Comneno di Bisanzio né con il re Ruggero II di Sicilia, che sarebbero stati i due monarchi cristiani da coinvolgere in un progetto serio di controllo del Mediterraneo orientale; inoltre il monarca capetingio (francese) si lasciò convincere ad assediare Damasco, il cui emiro sarebbe stato il naturale alleato dei Franchi contro il pericolo espansionistico dell’atabeg di Aleppo e Mosul e che invece ne divenne il principale nemico a causa delle scelte errate dei consiglieri di Luigi VII abbagliati dal miraggio della conquista della ricca capitale della Siria (…). La seconda metà del XII secolo vedeva intanto l’affermarsi d’un giovane generale, un curdo a nome Salh ed-Din Yusuf, il celeberrimo Saladino. saladinoLe sue conquiste furono inarrestabili e proclamatosi sultano divenne in breve tempo padrone dell’Islam in tutta l’Asia anteriore, restaurando l’ortodossia sunnita in Egitto, unificando le forze musulmane e ponendo Damasco come capitale. Il Saladino non fu un fanatico della guerra santa a tutti i costi ma anzi un diplomatico finissimo e politico di prim’ordine. A mano a mano riconquistò tutti i territori occupati dagli occidentali: era giunto il momento d’assediare Gerusalemme. Nonostante l’eroica difesa di Balian d’Ibelin, tentar di resistere al Saladino era follia: con una capitolazione onorevole, i cristiani poterono uscire dalla Città Santa mentre il Saladino se ne impadroniva (2 ottobre 1187) comportandosi con la consueta umanità. Egli fu generoso con i cristiani, specie con i più poveri, permettendo loro di uscire dalla città assolutamente indenni, liberando i più indigenti fra loro senza chiedere il riscatto pro capite stabilito nei patti e vettovagliandoli con larghezza. Meno generosi si dimostrarono i principi franchi delle zone che i musulmani non avevano ancora occupato (Tripoli e Tiro principalmente), i quali dettero asilo solo ai più ricchi tra loro e addirittura si abbandonarono ad atti di brigantaggio nei confronti di altri, costringendoli a continuare la loro marcia – alleggeriti naturalmente delle cose di valore che erano riusciti a salvare – verso il principato di Antiochia.”

Grandangolo Storia – Le Crociate

Società Borderline, cosa resta della caduta del Muro

Tra ideologie di libertà, speranze di cambiamento, odore di unificazione e sapore di insegnamento, 26 anni fa “la striscia della morte” si sgretolava a picconate di nobili sogni di uomini, giovani, feriti ma vittoriosi. Non una semplice riunione fisica tra le due Germanie ma marcia di un popolo alla riconquista della propria identità. Leitmotiv degli anni ’90: globalizzazione, un mondo senza muri, idea hippie di un “villaggio globale”. Di per sè il processo di globalizzazione è un fatto culturalmente accettabile, anzi, per alcuni aspetti, auspicabile, se solo si pensa agli enormi benefici che si potrebbero ricavare da un’equa ridistribuzione delle risorse. Purtroppo, al di là delle belle affermazioni di principio, esiste una realtà molto diversa fatta di prevaricazione da parte di Paesi “sviluppati” a danno dei Paesi “sottosviluppati”, costretti a nuove forme di colonialismo e di sfruttamento in nome di un progresso di cui potranno raccogliere, al più, le briciole. La storia dell’umanità è un susseguirsi di guerre, estenuanti lotte di popoli su altri popoli, o, per meglio dire, di uomini ambiziosi su altri uomini potenti.

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E nonostante l’antico adagio che “la storia è maestra di vita”, gli uomini continuano a commettere gli stessi, clamorosi, errori. Società schizofrenica la nostra: da un lato si spendono fiumi di parole per la coesistenza pacifica fra i popoli, dall’altro non si riesce a giungere al disarmo completo, mentre si è capaci di litigare anche soltanto per la scelta della sede di una conferenza internazionale di pace; proliferano i focolai di guerra e le spinte etnico-indipendentistiche mentre nelle nazioni più “evolute” risorgono pericolosamente i movimenti razzisti e neo-nazisti. Cosa resta di quel 9 novembre 1989? In Italia resta la festa del “Giorno della Libertà”, indetta, con la legge n. 61/2005, solennizzante i valori della democrazia e libertà, la democrazia di un popolo che non sceglie neanche i propri rappresentanti, ma che si arroga il diritto di insegnare questo ideale a chi non lo conosce; libertà di un Paese in cui ancora esiste la censura ma la chiamano “diffamazione”. Nel resto del mondo restano bambini buttati in mare, altri che imbracciano un fucile regalatogli dai Potenti, altri che mangiano dalle discariche dei Civili. Una domanda sorge spontanea: Il Muro è caduto?

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La Reggia di Caserta è il primo museo “SOCIAL” d’Italia

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“Raggiungere più persone possibile per portare i musei italiani nel futuro”. Queste le parole del premier Matteo Renzi alla presentazione ufficiale della nuova squadra al Mibact lo scorso settembre. In attesa di poter sbirciare quel futuro che i nuovi direttori, in fase di insediamento, si apprestano a costruire, siamo andati a vedere come se la cavano i musei italiani nel presente sul versante social network. Oltre al sito istituzionale, quasi tutti hanno una profilo Facebook e molti un account Twitter, qualcuno azzarda timidamente un canale YouTube (quello della Reggia è attivo dal 2010) ma, tirando le somme, la confidenza con i social non sembra essere particolarmente disinvolta. Fra i nuovi direttori selezionati attraverso il bando internazionale previsto dal “decreto musei” voluto dal ministro Franceschini, il più giovane di tutti è l’archeologo Gabriel Zuchtriegel, 34 anni, che dirigerà il Parco archeologico di Paestum. Per lui è necessario “operare con internet e con i social, cambiando il percorso del museo”, e la base di partenza non è delle peggiori: dal sito internet del parco campano si accede facilmente alle pagine ufficiali Facebook e Twitter (cosa non scontata) anche se sul gradimento si può lavorare (1.058 like e solo 44 follower). Il museo che ‘piace’ di più su Facebook, fra quelli per i quali siamo riusciti ad individuare in tempi ragionevoli la pagina ufficiale, è senza dubbio la Reggia di Caserta appena passata nelle mani di Mauro Felicori: quasi 96mila like e 2.212 ‘seguaci’ su Twitter. Seguono, a distanza, il Polo Reale di Torino e il Museo di Capodimonte di Napoli con 24 e 23mila like. Numeri molto lontani dal milione e 881mila fan del Louvre di Parigi (un milione 391mila del Metropolitan di New York, 676mila del Guggenheim, 925mila del British Museum di Londra, attivi peraltro anche su Instagram, Tumblr, Pinterest, Google Plus, SondCloud, Twitter e YouTube, con le icone in bella vista sul sito) ma comunque le realtà più social fra i venti super musei italiani.

Leggi articolo completo su: Il Resto del Carlino

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TRUFFE E SCANDALI ALLA CORTE DI NAPOLI

La storia di Angelo Carasale, imprenditore di Carlo di Borbone.

Da che mondo è mondo, nella storia, imprenditoria e politica se ne vanno a braccetto. Il potere si manifesta con le opere e le opere vanno realizzate, facendo la fortuna del prescelto di turno che spesso intesse col potere i più ambigui rapporti. Così fu anche per Angelo Carasale, impresario appaltatore alla Corte napoletana nel primo Settecento. Figlio di un umile fabbro, Angelo aveva fatto velocemente carriera ricorrendo ad alcune protezioni politiche. All’arrivo di Carlo di Borbone a Napoli, si ingraziò il marchese di Montealegre, duca di Salas e Primo Segretario di Stato, che gli facilitò il difficile compito di entrare nelle grazie del nuovo re.
Nel 1734 gli viene riconfermato l’appalto per la fusione di mortai e cannoni che gli era già stato concesso sotto l’amministrazione austriaca. In quel caso si trattava di realizzare ventiquattro cannoni di bronzo destinati ad armare la squadra delle galere. Solo due anni dopo, nel 1736, Angelo ottiene l’appalto per ogni opera “che richieda spesa”, a partire dalla costruzione del Palazzo Reale di Napoli e del Teatro San Carlo. Viene nominato appaltatore delle reali fabbriche, dei castelli del Regno e della città di Napoli, fornitore di viveri, munizioni e del vestiario militare. Riceve anche la nomina di tenente colonnello. Nel 1738 raggiunge l’apice della carriera.

E’ estate e la regina Maria Amalia di Sassonia, figlia appena dodicenne di Augusto III di Polonia, sta per raggiungere Napoli per unirsi al suo promesso sposo Carlo. La città è tutta un pullulare di preparativi e Angelo, in coppia con l’architetto e ingegnere Giovanni Antonio Medrano, riceve l’incarico di allestire le luminarie e gli apparati scenici per i festeggiamenti. Il Largo di Palazzo si riempie di botteghe e al centro viene predisposta una bella fontana. A Palazzo si balla per tutta la notte, fino al mattino…

Grazie al successo delle sue iniziative la fiducia che Carlo di Borbone nutre nei confronti di Angelo si fa totale. Il re gli affida senza esitazione la costruzione sul Ponte del Garigliano “perchè la regina lo possa attraversare senza pericolo con calessi o cocchi”. Lo coinvolge nella realizzazione della nuova chiesetta di San Carlo, eretta al posto del Teatro di San Bartolomeo. Gli affida pure la costruzione di alcune fortificazioni in Toscana e della nuova Reggia di Capodimonte. I suoi guadagni divengono enormi tra l’indignazione dei cortigiani, che vedono un plebeo chiacchierare con il re come uno di famiglia, appoggiato tranquillamente alla Carozza Reale, tutto tracotante e disinvolto. Ormai è tanto ricco che può permettersi persino di dare sfarzosi ricevimenti nella sua abitazione, vicinissima a Palazzo, nei pressi della Chiesa di San Giacomo degli Spagnoli. La sua ricchezza è uno schiaffo alla povertà dei lazzari, spremuti di tasse e ai limiti della sopravvivenza.
Tuttavia la fortuna aiuta gli audaci e così gli viene affidata anche l’organizzazione delle opere in musica che si tengono nei teatri; e quando d’estate le sale chiudono per il caldo, l’intraprendente factotum si attrezza per predisporre le rappresentazioni all’aperto. Bisogna ammetterlo: quando la sorte ti bacia, ti rimpilza ben bene. Poi però, essendo cieca, può voltarsi da un’altra parte…
Potendoselo permettere, Angelo acquista carrozze e numerosi cavalli senza badare a spese; sperpera cifre spropositate per le sue donne e per il gioco. E allora, come non avere invidia per un modesto borghese che è in grado ormai di concedere addirittura sostanziosi prestiti alla nobiltà, grazie alla simpatia del Re e all’appoggio del suo Primo Segretario? Veramente solo di invidia si trattava?
Comunque sia, l’invidia talvolta è come un tarlo, che rosica piano piano il legno più duro. Sfruttando il punto debole dell’ormai famoso appaltatore, i nobili cominciano a progettare la sua rovina. Durante una serata trascorsa a giocare a carte a casa di Lucrezia Pignatelli, Principessa di Belmonte, Carasale accetta di sfidare il noto avvocato Andrea Vignés. Il gioco sfocia in lite e la Belmonte prende le parti dell’avvocato; poi, approfittando della sua amicizia con la regina Maria Amalia, prende a screditare l’impresario agli occhi dei sovrani.
Nel febbraio del 1739 cominciano a diffondersi voci di malversazioni. Si erano verificati ammanchi di bilancio e diffuse strane dicerie sul rapporto tra Montealegre e Carasale, su cui il Tribunale della Sommaria si era affrettato ad aprire un’inchiesta. Si indagava sulla sostanziosa somma di 266.860 ducati, pagati a vario titolo all’imprenditore, e in particolare sulle spese effettuate in occasione delle nozze dei sovrani, durante le quali si erano perpetrate molte truffe. Finiva in carcere il napoletano Michelino, tappezziere di Corte, che non aveva saputo trattenersi a tenere tra le mani un po’ più di denaro e si era dato alla bella vita. Finiva in carcere anche Clemente Bonocore, parente del Medico di Corte Francesco Buonocore e Cassiere Maggiore della Real Tesoreria. Li seguiva subito Monsieur Parisien, già sarto della Reale Corte di Parigi a servizio del re di Napoli, accusato di un ammanco di ventimila ducati. Si era inoltre dimostrata la colpevolezza di altri quattro periti, il cui compito avrebbe dovuto consistere nel verificare la corretta lavorazione di galloni, frange e ricami d’oro. Uno di essi aveva denunciato il tesoriere Buonocore, che li avrebbe invitati a stimare i lavori a prezzo maggiorato, in cambio di 1100 ducati a testa. Finiva sotto inchiesta anche il gioiellere reale Claudio Imbert d’Avignone, a cui la giunta incaricata della revisione dei conti contestava un’appropriazione indebita di 4000 ducati. Ma il più coinvolto nei preparativi del matrimonio reale risultava proprio il Carasale.
Durante il Carnevale del 1739 circolava già la voce che il disonesto imprenditore – fino a quel momento osannato con lodi sperticate – era stato visto giocare a basetta, un gioco d’azzardo proibito, in casa dell’avvocato Sessa e perdere migliaia di ducati. Persino i Gesuiti reclamarono denaro per alcuni terreni da lui acquistati vicino Capodimonte. Nonostante ciò, Carasale non ridusse lo sperpero dei suoi guadagni, sicuro – per appoggi o per innocenza – di uscire indenne dallo scandalo.
Secondo le gazzette dell’epoca, i suoi guai erano iniziati proprio in coincidenza delle nozze reali e con la grande Cuccagna organizzata per l’occasione alla Riviera di Chiaia: al Re i fuochi d’artificio erano parsi miseri rispetto alla spesa e l’episodio avrebbe generato i primi sospetti, più tardi rivelatisi fondati. Le indagini del Presidente della Sommaria Coppola e del fiscale Ripa accertarono in quel caso un esborso reale di soli 30mila ducati, rispetto agli 80mila stanziati. La storia si ripeté con il muro di cinta di Capodimonte e con il teatro San Carlo. Nel luglio del 1739, a Napoli, le inchieste giudiziarie sui conti presentati dal Carasale continuavano senza sosta: si stabilì, infine, di condannare l’appaltatore al risarcimento di 38mila ducati a favore del Real Patrimonio. Ma il peggio doveva ancora venire!
Nell’aprile del 1741 la figlia del Carasale, Dorotea, sposava Don Angelo Fernandez, uomo di fiducia della Segreteria di Guerra del Ministro Montealegre. Il matrimonio suscitò numerosi ed ulteriori pettegolezzi, sia per lo sfarzo che per l’ambiguo legame che sussisteva tra l’appaltatore e il Ministro. Infatti a Corte si diceva che Dorotea – con la compiacenza del Montealegre – avesse consumato il proprio matrimonio a Gaeta nello stesso letto in cui lo avevano consumato i sovrani.
Questo gesto di alterigia e di dissacrazione non poteva essere tollerato! A detta del Tanucci, il Re andò su tutte le furie. Per l’imprenditore era ormai l’inizio della fine…
Il Re, preoccupato, disgustato e deluso, gli toglieva la Soprintendenza di Capodimonte e la direzione del teatro San Carlo: al suo posto nominava come soprintendente di tutti i teatri, San Carlo compreso, il Barone di Liveri, compositore e attore di commedie in prosa. A giugno, un sopralluogo effettuato in Toscana alle nuove fortificazioni realizzate dal Carasale e costate una somma considerevole trovava le fabbriche inservibili e già cadenti per effetto di una cattiva costruzione. Nello stesso mese, il Tribunale della Sommaria intimava al Carasale il pagamento di 29mila ducati, ai quali bisognava sommare i 7mila che gli erano stati pagati per il baluardo di Castelnuovo, i cui lavori furono valutati molto meno rispetto alla spesa presentata. A luglio le prove venivano ritenute sufficienti e Carasale veniva arrestato tra beffe e dileggi al grido ambiguo di “Viva la Regina!”. Tra i nobili correva voce che l’arresto del Carasale fosse una manovra politica per indebolire lo strapotere di Montealegre e che autori dell’intrigo fossero i sostenitori della Regina. Il partito di Maria Amalia era capeggiato da Gaetano Boncompagni duca di Sora e dalla già citata principessa di Belmonte, che con il Montealegre avevano buoni potivi per avere il dente avvelenato. Ma anche il popolo poteva dirsi soddisfatto e fu grato al Re per aver impedito che il proprio denaro continuasse a gonfiare le tasche del furbo Carasale, che poi sciupava tutto “in fasti, giuochi, lussi e lussurie” .
Quell’estate in tutta Napoli ormai si parlava soltanto, tra beffe e risolini, della Caduta degli Angioli per debiti all’Erario, che aveva colpito Angelo Giannini, il Tesoriere Angelo Ussetta, l’imprenditore Angelo Carasale e suo genero Angelo Fernandez. Solo l’arrivo dell’ambasciatore turco Hagi Hussein Effendi con il suo seguito di teste con turbanti, cammelli, dromedari, tigri, struzzi, gazzelle e pecore, potè placare un poco inciuci e trame di Palazzo. Ambasciatore che ormai il povero Angelo non potè vedere, chiuso com’era in Castel Sant’Elmo: ormai non gli restava che sperare che il prossimo parto della Regina potesse procurargli una grazia.

Ma quando, agli inizi del 1742, cominciò la vendita all’asta dei suoi beni era ormai chiaro che non solo la sorte ma pure San Gennaro si era voltato dall’altra parte. Lo seguirono al fresco, prima che morisse a causa di una congestione celebrale, anche i suoi complici: i noti ingegneri regi Medrano, Poulet, Porpora e Papis. E com’è solito da millenni qui in città, in pochi giorni si fece tutto quanto non si era fatto in un anno intero.

Per le fonti, vedi:
−−−−P. Colletta, Storia del Reame di Napoli, vol I, Bruxelles 1847;
H. Acton, I Borboni di Napoli (1734-1825), Firenze 1999;
I. Ascione (a cura di), Carlo di Borbone. Lettere ai sovrani di Spagna (1734-1744), vol. II,
Pubblicazione degli archivi di Stato. Ministero per i beni e le attività culturali, Direzione
Generale per gli archivi, Roma 2001-02
G. C. Ascione, Vita di corte al tempo di Carlo di Borbone nel Palazzo Reale di Napoli,
Napoli 2008.

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Vairano. “Li chiamarono briganti”: serata riuscita per il comitato 26 ottobre

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Si è svolta ieri con successo la proiezione del film “Li chiamarono briganti!” presso i locali dell’Associazione Taverna Catena di Vairano Scalo. Gli ospiti si sono ritrovati in sala giochi per assistere alla proiezione del film che è stato censurato e non è uscito nelle sale cinematografiche. Il film infatti mette in discussione i padri della patria e tutta l’Unità d’Italia. Il tema è quello del brigantaggio, o meglio della resistenza anti-savoia che fu condotta nel Sud Italia dopo il 1860. Viene messo in luce lo sterminio di massa, le rappresaglie, le fucilazioni commesse dalle truppe di Vittorio Emanuele II. Questo è solo uno degli incontri che il Comitato 26 ottobre sta promuovendo per sensibilizzare la popolazione sulle contraddizioni dell’Unità d’Italia.