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PRESSO IL CASTELLO DORIA DI ANGRI PRESENTAZIONE DEI LIBRI DI ROSARIO PINTO E TERESA SIMEONE

Martedì 29 dicembre presso la Struttura Medioevale Castello Doria con il Patrocinio del Comune di Angri sono stati presentati i libri dello Storico e Critico d’Arte Rosario Pinto “Gli Orientamenti Astratto – Informali” e della Docente di Filosofia e Storia presso il Liceo Artistico di Benevento Teresa Simeone “ Incontri Nell’Anima” . Nell’ ambito della mostra “Artisti Per L’Arte/Studio – Gallery di Benevento. A Cura di Mario Lanzione Direttore Artistico della Galleria Arte- Studio Gallery di Benevento. Il libro di Rosario Pinto,  da un’idea dell’autore sulla quale si è impegnato da lungo tempo, quella, cioè, che alcune definizioni che indicano delle partimentazioni ben definite, “Astrattismo geometrico”, “Informale”, “nucleare”,”gestualità”, “matericità” siano suscettibili – all’interno dei processi della reale pratica creativa – di occasioni ibridative, cosicchè diventa molto difficile incontrare opere d’arte in cui sia apprezzabile, allo stato “puro”, l’Astrattismo geometrico, piuttosto che l’Informale, il nucleare ecc. Rosario Pinto analizza questi “Orientamenti artistici Astratto-Informali”a cominciare da alcuni linguaggi dell’inizio del Novecento, alla realtà artistica Partenopea dagli anni ’50 ad oggi, per finire agli ultimi eventi che si sono sviluppati proprio intorno alla Galleria di Benevento, sia come esordio del Gruppo Astrattismo Totale che quelli che caratterizzano il collettivo “Gli artisti per l’Arte/Studio – Gallery di Benevento”. Rosario Pinto è nato a Napoli nel 1950. Saggista, critico e storico dell’arte, docente di discipline storico – artistiche (Facoltà di Teologia – Napoli), fondatore e direttore della Pinacoteca comunale di Arte Contemporanea di Palazzo Sanchez De Luna d’Aragona di Sant’Arpino, poi della Pinacoteca comunale di Arte Contemporanea di Gaeta. Dirige, inoltre, l’Istituto di Studi sull’Astrattismo e l’Aniconismo. E’ autore di numerosi volumi di storia dell’arte e di monografie di artisti e movimenti dei secoli passati e contemporanei. Collabora con riviste d’arte e quotidiani con rubriche d’arte. Il libro di Teresa Simeone rappresenta simbolicamente, il fluire della vita stessa attraverso i contatti emotivi con le persone incontrate, capaci di influire sul nostro cammino, tra vicende esistenziali e riflessioni filosofiche, considerazioni d’ordine sociale e politico, accompagnate, in alcune dissertazioni, da vari riferimenti popperiani. Il mare magnum di illuminazioni intellettuali diventa la sub stantia narrativa che si miscela con le numerose rappresentazioni costantemente pervase di profonda umanità e portatrici d’una forte visione etica relativamente alle manifestazioni del vivere. Teresa Simeone è nata a Ponte (BN). Ha frequentato il liceo classico “Pietro Giannone” a Benevento e nel 1987 si è laureata in Filosofia presso la facoltà di Lettere e Filosofia dell’Università degli Studi di Napoli, l’attuale Federico II. Insegna da diversi anni Filosofia e Storia presso il Liceo Artistico Statale di Benevento. E’ membro della Libera Scuola di Filosofia del Sannio e dell’associazione “Stregati da Sophia”. Iscritta all’Ordine dei Giornalisti della Campania, scrive da anni su un giornale on line sannita: Il vaglio.it. Espongono i seguenti arttisti : Raffaele Bova, Giuseppe Cotroneo, Maria La Mura, Mario Lanzione, Fabio Mariacci, Enzo Navarra, Gianni Rossi, Myriam Risola e Antonio Salzano.

 

copertina libro Simeone (1)

 

 

 

GIOSETTA FIORONI IN CARTE ANNI ‘60

Si è inaugurata venerdì 18 dicembre alle ore 18.30 la mostra Carte Anni ’60 di Giosetta Fioroni presso la Galleria Andrea Ingenito Contemporary Art, Testo Critico di Serena Ribaudo la mostra la si potrà visitare fino al 30 gennaio 2016. Con circa venti carte d’argento di Giosetta Fioroni, la galleria Andrea Ingenito ripercorre un viaggio negli anni emblematici del lavoro di una delle più significative artiste italiane. Carte anni ’60 è  un corpus di opere storiche su carta realizzate nel periodo in cui l’artista esponeva alla galleria La Tartaruga a Roma, il più importante della sua carriera. In quegli stessi anni, precisamente nel 1968, Lucio Amelio le dedica una personale nella sua galleria di Napoli. Gran parte degli anni Sessanta sono caratterizzati dal ciclo degli Argenti: volti, figure e paesaggi dipinti con una vernice industriale color alluminio. E a riprova dell’importanza artistica di questi lavori, il Centre Pompidou ne ha acquisito recentemente uno per la sua collezione permanente. Dai primi ideogrammi alle tele, passando per le carte qui esposte, le immagini fermate sul bianco della carta prima e della tela poi, sono come impronte effimere di volti, di gesti e di sguardi; momenti che si fissano per un attimo nella retina dell’osservatore e vi rimangono impigliati, sottraendoli allo scorrere del tempo. In mostra, se ne possono ammirare esempi emblematici nei lavori Aspettando Godot, una vernice alluminio e matita su carta del ’70, La sorella, realizzata nel 1969, o Liberty, del ‘68: impressioni di corpi e volti che riemergono dalla memoria o che, forse, al contrario, svaniscono. La dimensione temporale in queste opere è dunque elemento imprescindibile: lo spettatore viene infatti condotto ad una lettura che procede per gradi, come immagini incerte che emergono lentamente dalla memoria. Significative, in questo senso, le operine d’argento su carta degli anni ‘69-‘70 denominate Fisionomie, lavori esposti nella fondamentale mostra dedicata all’artista dal Drawing Center di New York nel 2013. Giosetta Fioroni inizia a dipingere negli anni Cinquanta, ma già agli inizi degli anni Sessanta si allontana dall’informale. Come i compagni di strada di allora, Angeli, Schifano e Festa, si appropria di immagini dell’universo metropolitano per riportarle sulla tela. Gli involucri, uno smalto industriale su carta del ’67, Estasy – Hedy Lamarr, del 1968, così come Frammento – Ragazza a Villa R, sempre del ’68, sono, tra le opere esposte negli spazi della galleria napoletana, le più eloquenti in questo senso. Pur attenti alla ricerca statunitense gli artisti italiani prendono le distanze dalla Pop Art americana e da una riproduzione mimetica della realtà quotidiana. Utilizzando come dato di base un fotogramma, un ritaglio di giornale, un proprio disegno che viene proiettato sulla tela, l’artista compie una manuale e attenta trascrizione pittorica. Giosetta Fioroni spazia nella sua lunga carriera da reinterpretazioni personali della Pop art americana -rivisitata in chiave europea- a carte d’argento, appunto, in cui indaga visioni molteplici. Artista poliedrica sperimenta negli anni instancabilmente, avvicinandosi all’arte performativa e dedicandosi anche alla produzione di ceramiche presso la bottega Gatti di Faenza. Giosetta Fioroni.

Carte anni ‘60 dal 19 dicembre 2015  al 30 gennaio 2016

Orari Dal martedì al sabato, h. 11-19. Chiuso domenica e lunedì.

Info al pubblico 081.0490829 | www.ai-ca.com

 

Fioroni Giosetta, La straniera, 1969, vernice alluminio e matita su carta, cm 100X70Fioroni Giosetta, Gli involucri, 1967, smalto industriale su carta, cm 100x70

Quando l’Apple era in Italia e gli Apple Store Italiani

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Olivetti, azienda fondata nel 1908 da Camillo Olivetti, azienda che è stata una delle aziende più importanti al mondo nel campo delle macchine per scrivere, da calcolo e dell’elettronica. Un’azienda che nel 1965 (quindi quasi 10 anni prima di Jobs) aveva pensato il primo personal computer, una rivoluzione per la società di allora, il famoso P101, Programma 101,

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nato dalla mente dell’ingegnere Pier Giorgio Perrotto. Oltre che ad avere un disegno avveniristico, la P101 è stato il primo calcolatore commerciale ad essere digitale e programmabile, piccolo ed economico: il primo personal computer. Proprio in virtù di quel primato la HP ne comprò un centinaio di esemplari per poi uscire, in seguito, con un computer uguale. Per questo motivo, la celebre casa americana dovette risarcire 900 mila dollari all’azienda di Ivrea.

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Ricapitolando, avevamo le idee, avevamo il “know how”, avevamo la tecnologia ed eravamo 10 anni avanti agli americani. Ma la cosa più straordinaria era che, come poi ha fatto la Apple 20 anni dopo, l’Olivetti non faceva solo prodotti funzionali e sempre più indispensabili per le aziende, realizzava anche prodotti “belli” che venivano proposti in una chiave nuova, sotto la luce dell’ “italian design” che da sempre contraddistingue il Bel Paese. Ho scritto questa breve riflessione guardando alcune foto di quel periodo, guardando le vetrine, gli espositori, le luci e come venivano presentati i prodotti, che sono molto molto vicine a quelle degli odierni “store” della casa di Cupertino, con il piccolo dettaglio che sono stati realizzati con quaranta (!) anni d’anticipo.

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Purtroppo, poi, dopo una travolgente escalation di grandi idee, arriva alla guida dell’azienda, De Benedetti, un finanziere, uno che pensava a risanare e far soldi, uno a cui interessavano il valore in borsa e non gli investimenti sulla tecnologia e, pian piano, ha svenduto, svilito, depauperato, il VANTAGGIO enorme TECNOLOGICO che la casa di Ivrea aveva nei confronti del resto del mondo. Un vantaggio di immagine, di idee e di tecnologia, un vantaggio buttato nel cassonetto in cambio di un po’ di ricchezza. Quanta commiserazione per questi italiani privi di amor proprio, quanto dovremmo biasimare il sistema non MERITOCRATICO italiano che ha messo al vertice di grandi aziende persone che, quantomeno, e voglio essere buono, non erano all’altezza del loro compito.

Ma ora è così, ci siamo fatti rubare stile, idee e tecnologia, e ci siamo fatti colonizzare, anche con PC e telefoni.

Tuttavia, è bene ricordarlo, in un tempo lontano, ma non tantissimo, gli “Apple” store, erano quelli italiani della Olivetti.

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Credits: Foto del “Negozio Olivetti” di Venezia.

Articolo tratto da http://www.thomasscalera.it

“Se io avessi previsto tutto questo…”, l’ennesima sorpresa di Guccini

“Se io avessi previsto tutto questo…”, e infatti non lo aveva previsto affatto l’ennesimo successo delle sue canzoni. Una vera sorpresa natalizia l’ultima raccolta di Francesco Guccini chiamata appunto “Se io avessi previsto tutto questo – Gli amici, la strada, le canzoni” che si attesta alla decima posizione nella classifica mensile degli album più venduti. Una raccolta composta da due box da 4 e 10 cd (versione Deluxe e Super Delux), con inediti, registrazioni in studio, rarità e live introvabili, uscita lo scorso 27 novembre. guccini3La pubblicazione ripercorre la carriera intensa e ricca del cantautore (il “Cantautore” per eccellenza) bolognese. Ne è passata di acqua sotto i ponti da quando il “Professore” collaborava come cronista con la “Gazzetta di Modena” (suo primo vero lavoro) e dalla pubblicazione del primo Lp “Folk beat n. 1” (in precedenza aveva fondato/collaborato con diversi gruppi tra questi il celebre “I Gatti”) per poi divenire il “faro” dei cantautori, baluardo di un mondo, e dei suoi valori, che oggi sembra essere scomparso. guccini4Generazioni e generazioni hanno cantato e suonato i suoi “gioielli”: da “Auschwitz”, a “Dio è morto”, da “L’Avvelenata” a “Canzone per un’amica”, da “La Locomotiva” a “Incontro”, da “Piccola città” (dedicata alla sua natia Modena) a “Il Vecchio e il bambino”, da “Eskimo” a “Quello che non…”, passando per “Via Paolo Fabbri 43” (indirizzo della residenza bolognese di Guccini) fino alle recenti “Autunno”, “Don Chisciotte”, e tantissime altre. Una carriera “immensa” ricchissima anche di collaborazioni illustri: da Lucio Dalla, a Samuele Bersani, da Caterina Caselli a Claudio Baglioni, da Ligabue a Giorgio Gaber, da Francesco Guccini a Claudio Lolli, da Maurizio Vandelli dell’Equipe ’84 a Augusto Daolio. Proprio i Nomadi sono stati tra i principali artefici della diffusione del repertorio e del successo di Guccini. guccini2Storico infatti l’album “Album Concerto” registrato dal vivo e cantato a due voci proprio con Daolio. Un’opera “monumentale” quella di Guccini che vanta anche esperienze in altri campi quali cinema e teatro. Ma è soprattutto la “scrittura” che non abbandona mai Francesco. Se da tempo ha messo la chitarra nella custodia, il modenese dalla inconfondibile “r” moscia, idolo da sempre della sinistra (lui che si professava anarchico pur moderandosi negli ultimi tempi) continua la sua produzione letteraria. guccini5Esistenzialismo, metafisica, linguaggio colto e popolare sono le caratteristiche principali della sua poetica e che parla al cuore e alla mente delle persone. Lo scorso 3 novembre è uscita infatti la raccolta di racconti montanari, “Un matrimonio, un funerale, per non dire del gatto” , con in cantiere già il prossimo giallo, l’ottavo con Loriano Macchiavelli, il protagonista, tra gli elfi, “gli hippy venuti a vivere tra noi sulle montagne negli anni ’70”. guccini6Protagoniste sempre le montagne, i suoi adorati Appennini. Dunque “Se io avessi previsto tutto questo…” non solo può essere un gradito regalo da fare in queste festività ma rappresenta il meglio dagli studio album, con inediti riscoperti, tante collaborazioni e rarità, live memorabili introvabili. E inoltre contiene un book con foto e introduzioni ai brani scritti dallo stesso artista. guccini7Forse non lo può (possiamo) prevedere, ma certamente Guccini sarà cantato e suonato ancora a lungo anche dalle generazioni future.

La Divina Commedia in scena alla Reggia di Caserta il 9 e 10 Gennaio

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Martedì 29 dicembre alle ore 12.30 nella Reggia di Caserta, nella sede del Rettorato della Seconda Università di Napoli, si terrà la conferenza stampa di presentazione della “Maratona Dantesca” di Caserta, ovvero della lettura ininterrotta della Divina Commedia, manifestazione unica nel suo genere, che chiude le celebrazioni nazionali per il 750esimo di Dante Alighieri, che si terrà nel Casertano il 9 e 10 gennaio 2016 e avrà come cuore la Reggia di Caserta.

Nella conferenza stampa interverranno per la Seconda Università il prorettore, Rosanna Cioffi; il direttore della Reggia, Mauro Felicori;- si legge nella nota – il presidente dell’Ucsi Caserta, Luigi Ferraiuolo; il direttore del Centro residenziale e studi della Scuola Nazionale dell’Amministrazione, Walter Acierno; il presidente de La Dante Caserta, Marcello Natale; il presidente dell’Assostampa, Michele De Simone e un rappresentante della Scuola Specialisti dell’Aeronautica.
Saranno presenti altresì i dirigenti delle Scuole di Caserta e in  particolare dei Licei del capoluogo e le associazioni che sostengono la Maratona Dantesca.

Lo chiamavano jeeg Robot, nelle sale il 25 febbraio, il secondo trailer

RECENSIONE

Lo chiamavano Jeeg Robot è un titolo forte, altisonante, che lascia presagire un gran film. Ma come adattare una storia di supereroi all’Italia? Come farlo visto che non c’è uno storico, non ci sono fumetti da cui prendere spunto?

Il duo Mainetti/Guaglianone (regia e sceneggiatura, conosciuti già per il cortometraggio Basette, ispirato a Lupin III) invece ha stupito tutti, dando forza, credibilità e spessore ad un supereroe “made in Italy”. Sul grande schermo un Claudio Santamaria straordinario, ingrassato di quasi venti chili, per entrare nella parte, che interpreta il tipico ragazzo di borgata cresciuto in un quartiere difficile che si ritrova, suo malgrado, ad avere dei poteri straordinari.

Mainetti, primo esperimento nel suo genere, sdogana il Supereroe Italiano, perfettamente adattato a quella che è la realtà del nostro Paese, utilizzando l’ironia e la comicità, ma senza mai far cadere il suo personaggio nel demenziale o nel ridicolo o la sua storia in qualcosa di poco credibile. Il “patto narrativo” con il pubblico è salvo che dopo un po’ Enzo Ceccotti (è il nome del supereroe de noantri) comincia ad essere “adottato” da tutti, tanto che in sala, durante alcune scene particolarmente significative, partono una serie di applausi spontanei.

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Molti si chiederanno “cosa c’entra Jeeg Robot in questa storia?”, rispondo facilmente, poco o niente. Jeeg robot un omaggio del regista (come detto da lui stesso durante la conferenza stampa) ad un personaggio che amava particolarmente, ma anche un spunto di riflessione per il protagonista che da una vita senza significato trae l’esempio per svoltare e cambiare direzione. Jeeg diventa il simbolo della sua rinascita, anche grazie alla “sua donna” che è una ragazza con grandi problemi, letteralmente ossessionata da Jeeg e da Hiroshi Shiba.

Un messaggio importante quello che ci lascia il film, uno verso lo spettatore, che viene coinvolto in una storia godibilissima e credibilissima, tutta ambientata in una città italiana, agli addetti ai lavori, dimostrando che da sempre, in Italia, il cinema lo si fa con le idee e con i progetti seri, anche se questo film costa un duecentesimo di Avengers.

Da segnalare anche il cameo dell’ottimo Salvatore Esposito (protagonista della serie Gomorra), che interpreta il classico camorrista napoletano, un po’ stereotipato, ma ci sta benissimo.

In ogni caso a me è piaciuto molto, anche quando ho sorpreso Mainetti (straordinario in questo film, di cui ha realizzato anche la colonna sonora, ma d’altra parte ci aveva già ampiamente stupito con Basette) con un dettaglio che nessuno delle persone presenti in sala aveva notato, una chicca da Nerd, ma Jeeg Robot, per me, è stato materia di studio approfondito.

Detto questo, voi cosa fareste, da italiani, se all’improvviso vi ritrovaste con un potere fantastico come quello che si ritrova ad avere Claudio Santamaria?

Io non lo so, ma alcuni pensierini strani li farei 😉 .

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Mostra fotografica “La Storia siamo noi”: Casapulla Amarcord

“La Storia siamo Noi…” . Questo il nome della mostra fotografica presentata dalla Pro Loco di Casapulla nell’ambito della Notte Bianca, organizzata per lo scorso 18 dicembre e ispirata alla nota canzone De Gregori. Le foto sono tratte da Casapulla Amarcord, una pagina facebook in cui ciascun iscritto può condividere scatti d’epoca conservati negli album di famiglia, mettere a parte tutti gli altri dei propri ricordi, riannodare la memoria con la terra d’origine quando, da emigrante, sente il bisogno di tornare a casa. Le foto partono dalla fine Ottocento e arrivano ai giorni nostri, passando per le esperienze della prima e della seconda guerra mondiale, durante le quali molte madri videro i propri figli scomparire, giovanissimi, sotto i colori anonimi di una divisa. Alla seconda guerra mondiale appartengono certamente le scene con un gruppo di soldati stranieri sullo sfondo del campanile di Sant’Elpidio e quella in interno con i soldati in attesa del rancio, preparato in enormi pentoloni. Giorni sereni in cui la guerra c’era sul serio e mieteva miseria e paura. A consolare la paura c’era la fede, che si trasformava in momento collettivo durante le messe e le processioni: per la festa di Sant’Elpidio (26 maggio); per la Madonna del Rosario (seconda domenica d’ottobre); per il Corpus Domini. La tradizione vuole che per la processione di Sant’Elpidio la statua del santo lasci la chiesa attraversando il piazzale Giovanni XXIII, portata in trionfo dagli accollatori e attraversi le vie della città, cogliendo volti, divise, fogge sempre diverse a seconda delle epoche storiche. Nei cortei spiccano la banda del paese e i membri della Congrega del SS. Corpo di Cristo; ancora si riconoscono Don Andrea della Chiesa di Sant’Elpidio e Don Filippo della Chiesa di San Luca che portano la teca piramidale con le sacre reliquie, rubate insieme alle preziose vesti negli anni ’80 del secolo scorso. Casapulla riuscì a riavere altre reliquie solo dalla Cattedrale di Salerno, dove il corpo del santo è attualmente conservato. Le inquadrature delle scene spesso sono prese dall’alto o dai balconi, da cui si poteva assistere alla processione senza mischiarsi alla calca. Qualcuno, dalla strada, alza lo sguardo e sorride all’obiettivo di un amico, un parente, un familiare.

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Tra le processioni storiche si ricordano la vestizione da prete di Don Raimondo Pasquariello e il più antico funerale di Bonaventura Natale, esponente del partito fascista morto in un incidente aereo durante la guerra e celebrato secondo il protocollo militare. Bonaventura era parente della maestra Pia Natale, ritratta nella sezione delle foto scolastiche che riprendono alcune classi materne, elementari e medie dell’Istituto comprensivo Giacomo Stroffolini, inamidate nei severi grembiulini con i colletti bianchi corredati dal nastro tricolore. Un tempo l’educazione era un valore, i professori erano stimati e apprezzati e rappresentavano un punto di riferimento affettivo molto forte per il futuro adulto, specie nei piccoli paesi. A Casapulla altre indimenticabili istituzioni furono, oltre alla maestra Pia, la maestra Marmo, che insegnava alle materne, e il professore Lieto, che insegnava alle elementari. Per alcuni invece c’erano le più severe scuole delle Ancelle dell’Immacolata il cui fondatore, don Donato Giannotti, era originario proprio di Casapulla.

Forza viva dell’economia erano i mestieri, molti dei quali sono ormai scomparsi portando via odori, sapori, tradizioni, abilità. Spesso erano lavori che duravano tutta la vita, a volte gli unici possibili, ma avevano il pregio di creare simpatiche relazioni di amicizia e sentimenti di affezione. Le donne trascorrevano molto tempo a fare il bucato, che stendevano al sole nei portoni. Molti altri pomeriggi li dedicavano a cucire, rammendare e ricamare, avendo imparato da bambine a confezionare molto di quanto serviva alla famiglia in caso di necessità. Altra fonte di reddito erano le fornaci, presso le quali lavoravano anche i bambini che non avevano possibilità di garantirsi un’educazione. Ve n’erano diverse, che producevano manufatti in creta e mattoni, consolidati in apposite formine di legno.

Altra tipica produzione era quella del torrone: quello dei “Maddaluna” era esportato in tutto il mondo e si spartiva il mercato con il torronificio dei Santillo, a via Stroffolini. Il laboratorio dei Maddaluna, fondato nel 1913, era affiancato ad un bar-pasticceria in cui lavorava la bravissima “Nennella”, che figura in una posa inedita con i nipoti. Gli eredi Maddaluna conservano ancora l’antica ricetta del torrone ma hanno abbandonato del tutto la produzione. In epoca fascista il torronificio ricevette numerose onorificenze, che furono poste sotto le ali spiegate dell’aquila a guardia del negozio. Un membro della famiglia Maddaluna ebbe anche una parte nel film “Sciuscià”, pellicola del 1946 per la regia di Vittorio de Sica, considerata uno dei capolavori del neorealismo italiano.

Tra le attrazioni di Casapulla vi era il ristorante Mastroianni, meta di raffinate cerimonie. Il proprietario compare ora nelle cucine, accanto ad un compìto cameriere mentre procede alla marinatura della carne da arrostire, ora alla cassa con la moglie, ora a tavola con un gruppo di amici, dinanzi a una vetrata con vista sulla bella campagna casapullese sgombra dal cemento. Spesso Mastroianni offriva il ristorante come sede per spettacoli teatrali, scene di cabaret o per la “Cantata dei Pastori”, durante le festività natalizie. Era anche molto attivo presso il Comune: lo vediamo in prima linea, in giacca e cravatta, nella Sala consiliare mentre riceve una Delegazione di cinesi per scambi interculturali.

E poi c’era un mondo fatto di pelle, legno e rasoio. Le scarpe rotte non si gettavano via ma andavano in riparazione dal calzolaio. Alfonso, l’ultimo “scarparo”, è ritratto nella sua bottega sulla strada dove con calma e pazienza rimette a nuovo le scarpe con calma e precisione. Tradizioni di alta falegnameria consentivano di fabbricare mobili su misura, porte e portoncini in pregiato legno massello. Un rito era poi il passaggio alla bottega del barbiere: ci si radeva, ci si tagliava i capelli, si chiacchierava, si leggeva il giornale. A volte ci si faceva persino la doccia, pratica fino agli anni ’80 per nulla diffusa nelle case, ma che tornava utile dopo un allenamento o una partita di calcetto. Appuntamento quotidiano era poi quello con la “munnezza”, prima che fosse necessario ricorrere alla differenziata. I due simpatici spazzini, ritratti con le scope di saggina e il loro fedele cane da compagnia, erano attesi con simpatia ad ogni angolo di strada.

Oltre al lavoro, a scandire le vite del paese c’era il matrimonio. La sposa casapullese usava lasciare la casa paterna per giungere fino in chiesa a piedi, accompagnata dal padre, tra l’ammirazione dei passanti che gettavano riso, petali di rose e confetti. Al rito seguivano i festeggiamenti: quando non era possibile offrire un ricevimento al ristorante, gli sposi pranzavano con i parenti nel cortile di casa, appositamente addobbato. Anche allora non si poteva sfuggire alle foto, da soli o con i parenti, a memoria del grande giorno che doveva unire la coppia per tutta la vita. Tra i personaggi in mostra si riconoscono Michele il barbiere, che fa baciamano in chiesa alla sua amatissima moglie; i coniugi Maddaluna; i coniugi Loasess- D’Albore e i famosi fuochisti Di Vico.

Ma la famiglia non era tutto. C’era l’amicizia. E quale strumento più utile del cibo per superare tutti i contrasti e i dissapori? Cene tra amici e pranzi istituzionali rappresentavano momenti di utile convivialità. In una foto si riconoscono i vigili urbani di Casapulla in divisa e, tra loro, Tonino o’ funtaniere, simpatico idraulico del Comune. Era lui a prendersi cura dei lavori privati presso le famiglie o delle fontane che si trovavano nelle piazzette principali o agli angoli delle strade per erogare acqua gratuita e sempre disponibile. Era divertente bere e rifocillarsi, dopo tante chiacchiere di piazza!

Momenti di condivisione più antichi erano invece gli incontri in cortile, in cui si tenevano spesso anche animali e un granaio per il fieno. Irrinunciabile momento di aggregazione come sempre era lo sport. Premi, gare e campionati vedevano impegnati uomini e donne, come testimonia il fatto che la squadra femminile di calcio di Casapulla giocasse in serie C. I maschietti cominciavano da bambini: eccoli in maglia gialla mentre posano nel campo di Don Andrea, sotto la guida del professore Berni, mitico insegnante di educazione fisica. Da grandi invece ci si allenava nell’antico campo sportivo “Bellarmino”, nell’attuale zona del mercato rionale. Ai nostri non piaceva solo il calcio, ma anche il basket. Tra gli appassionati di questo sport c’era Vittorio “Yamamonto”, soprannominato così perchè ricordava l’orso di un cartone animato a bordo di una motocicletta rossa.

Ogni tanto capitava di fare gite fuoriporta, in genere organizzate dalla chiesa, e scattare qualche foto ricordo come avvenne in occasione di un pellegrinaggio Casapulla – Montevergine. Di più antica tradizione l’irrinunciabile pic nic che si svolgeva il giovedì dopo Pasqua nel Vallone di Centopertose. L’antichità del rito è testimoniata dalla bellissima foto in cui al Vallone si arrivava con i carretti trainati da asinelli, oppure con le bici, invece che con le automobili.

Più recenti le foto a colori, che cominciano a diffondersi a partire dagli anni ’80. A questi anni risalgono: la cerimonia della posa della prima pietra della Chiesa di San Luca, che vede in prima linea il sindaco Granatello, il vescovo Diligenza e don Andrea; le foto scattate alla via Appia, ora innevata ora allagata a causa dell’inadeguata rete fognaria; la ristrutturazione della cupola del campanile della Chiesa di Sant’Elpidio, crollata a seguito di un fulmine.

Documenti, le foto. Immagini che possono raccontare, che possono ricordare. Un viso, un familiare che non c’è più, un momento felice, gli abiti diversi a seconda delle mode, del gusto, del ceto sociale. Un’esigenza antica e moderna scattare foto. E quando, agli inizi del Novecento, queste non erano così diffuse, si ricorreva alle foto dipinte, ritoccate a mano con il pennello. Certo le più romantiche sono quelle in interno, esaltate dal colore seppia che ne testimonia l’antichità oppure quelle che documentano lo stato degli antichi palazzi nobiliari, come il Palazzo Santoro. Ma sfilano con piacere anche quelle estemporanee, che immortalano icone di un tempo che fu, individuate dagli anziani con i loro soprannomi, mormorati sottovoce nel corso della Notte Bianca e rapidamente appuntati dalla sottoscritta: Carmela “a scagnata”; Vincenzo “o’ scheletro”; Bartoluccio o’ rre; Salvatore “Conciosse”; il ragioniere Omaggio…

E se molti casapullesi restarono nel paese e nella memoria, altri furono costretti ad andare – addirittura oltreoceano – in cerca di lavoro o di fortuna. Sono loro che ancora oggi “postano” da tutte le parti del mondo sulla pagina di Casapulla Amarcord per raccontarci il prosieguo delle storie. “…Perché è la gente che fa la Storia”, cantava De Gregori.

#StarWars – L’ordine d’uscita di tutti i prossimi film della saga fino al 2019

Saranno ben 5 i film che riguarderanno questa nuova saga di Star Wars. Episodio VII è appena arrivato nei cinema e già si parla dell’ VIII, ma tra questi due ci sarà una sorpresa nel 2016, “Rogue One: a Star Wars story” una storia parallela di cui ancora sappiamo poco.

Nel 2017, invece, arriverà Episodio VII, mentre nel 2018 arriverà una pellicola tutta per Han Solo, una chicca per gli appassionati.

Nel 2019, la terza trilogia si chiuderà con Episodio IX.

Tutta la timeline in un’immagine:

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Galaxy hair: la novità su instagram per capelli come una galassia

Su Instagram ormai spopola l’hashtag #galaxyhair, la nuova moda delle più coraggiose per avere capelli supercolorati, proprio come una galassia. Tantissime sfumature di blu, rosso, viola, verde e tante altre per avere un look originale e grintoso.  Questa tipologia di colorazione riproduce sulla chioma le sfumature multicolor delle galassie, stile manga giapponese che stanno letteralmente facendo impazzire giovani e giovanissimi su Instagram. La mente che ha creato questo estroso trend è di Jenny Regec, proprietaria del salone di bellezza The Paint Box a Brooklyn. Cosa aspettate a farci vedere i vostri galaxy hair?

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