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Henri Cartier-Bresson, il fotografo del XX secolo

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Roma, Museo dell’Ara Pacis

dal 26 settembre 2014 al 25 gennaio 2015

Il museo dell’Ara Pacis di Roma ospita, dopo il successo ottenuto a Parigi, la mostra retrospettiva: Henri Cartier-Bresson (1908 – 2004), a dieci anni dalla morte del fotografo, realizzata dal Centre Pompidou di Parigi in collaborazione con la Fondazione Henri Cartier-Bresson e curata dello storico della fotografia Clément Chéroux.

Domenica in riva alla Senna, Francia, 1938. © Henri Cartier-Bresson/Magnum Photos-Courtesy Fondation HCB
Domenica in riva alla Senna, Francia, 1938. © Henri Cartier-Bresson/Magnum Photos-Courtesy Fondation HCB
Roma, 1959. © Henri Cartier-Bresson/Magnum Photos-Courtesy Fondation HCB
Roma, 1959. © Henri Cartier-Bresson/Magnum Photos-Courtesy Fondation HCB

Il percorso espositivo è diviso, dopo una introduzione, in sezioni che ripercorrono le diverse fasi della vita e del lavoro di Cartier-Bresson. Nella prima sezione: gli anni Venti dell’apprendistato, le influenze fotografiche, il viaggio in Africa e l’influenza del costruttivismo russo. Nella seconda sezione i viaggi fotografici in Spagna, Italia, Germania, Polonia, Messico e il Surrealismo, a cui si accosta nel 1926 attratto dal gusto per la libertà, il carattere ribelle e l’aspetto ludico del movimento, senza mai aderirvi. In mostra il suo, grazioso e acuto, collage su carta: Per l’amore e contro il lavoro industriale (1931).

Haifa, Israele, 1967. © Henri Cartier-Bresson/Magnum Photos-Courtesy Fondation HCB
Haifa, Israele, 1967. © Henri Cartier-Bresson/Magnum Photos-Courtesy Fondation HCB
Roma, 1959. © Henri Cartier-Bresson/Magnum Photos-Courtesy Fondation HCB
Roma, 1959. © Henri Cartier-Bresson/Magnum Photos-Courtesy Fondation HCB

Cartier-Bresson, denominato ‘l’occhio del secolo’, ha saputo testimoniare con sensibilità ed acutezza la storia del secolo scorso: dal Surrealismo alla guerra civile spagnola, alla seconda guerra mondiale, alla decolonizzazione fino alla guerra fredda. Questa retrospettiva, diversa da altre mostre fotografiche divise per temi o luoghi geografici, sviluppa cronologicamente – attraverso circa 500 opere (350 stampe vintage d’epoca, 100 documenti, tra cui filmati, disegni e collage) – le tappe del suo percorso. Rimarrà sempre fedele alla scelta del bianco e nero e alla Leica («È meglio essere disponibili, con una Leica a portata di mano») per ritrarre il suo soggetto, la vita. «La fotografia è… un modo di urlare, di liberarsi, non di dimostrare o affermare la propria originalità. È un modo di vivere»; ma usa come strumenti anche il pennello, la matita e la cinepresa.

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Nella terza sezione emerge l’impegno politico: «Io mi occupo quasi esclusivamente dell’uomo», sostiene i repubblicani spagnoli, è contro il fascismo e il colonialismo. In occasione dell’Incoronazione di Giorgio VI, Trafalgar Square (1933) non inquadra il sovrano ma il suo popolo. La stampa comunista gli commissiona i primi reportage e partecipa a Parigi alle attività dell’Associazione degli scrittori e artisti rivoluzionari (AEAR). Anche la sua esperienza nel cinema è legata alla sua militanza politica: «La fotografia è qualcosa di visivo che si guarda su un piano… Il cinema è un discorso». Tra il 1935 e il 1945 si dedica unicamente al cinema: a New York frequenta Paul Strand e la cooperativa militante Nykino con cui realizza il suo primo cortometraggio e a Parigi diventa assistente di Jean Renoir (che nel 1936 gira due film su commissione del partito comunista). Nella quarta sezione (Le guerre): i documentari sulla Guerra civile spagnola e la sua attività durante la Seconda guerra mondiale (fotografo dell’esercito, prigioniero, fugge e si unisce a un gruppo della Resistenza francese). Nella quinta sezione: i suo reportage in Cina e in India e la sua straordinaria testimonianza dei funerali di Gandhi. Nel 1947 partecipa alla fondazione dell’Agenzia Magnum Photos. Nella sesta sezione i suoi scatti da reporter professionista: «Per me la fotografia non è un lavoro, ma piuttosto un duro piacere… essere una lastra sensibile». È il primo fotogiornalista a entrare in URSS dopo la morte di Stalin e poi va a Cuba. La settima sezione segna la fine del reportage in favore di una fotografia più contemplativa. Straordinari i suoi ritratti di Henri Matisse nella sua casa, Vence (1944) e Alberto Giacometti alla Galleria Maeght (1961): «per me la cosa più difficile è il ritratto… Bisogna cercare di collocare la macchina tra la pelle di una persone e la sua camicia, e questo non è facile». L’ottava sezione è dedicata alla ricognizione degli archivi, alle mostre retrospettive e ai libri. Negli anni Settanta Cartier-Bresson si ritirò dalla Magnum e dall’attività professionale, ma avendo da sempre «avuto la passione per la pittura» non smise mai di dipingere: il suo Autoritratto a matita è del 1992. Il visitatore vivrà l’esperienza di ripercorrere, attraverso le foto di Cartier-Bresson, un viaggio mozzafiato attraverso gli eventi più importanti del Ventesimo secolo. Antonella Cecconi, 29.9.2014

INFORMAZIONI

Sede: Museo dell’Ara Pacis, Lungotevere in Augusta, Roma

Orari: dal martedì alla domenica ore 9.00 – 19.00

il venerdì e il sabato la mostra è aperta fino alle 22.00

Info: 060608 (tutti i giorni ore 9.00 – 21.00)

www.arapacis.it, www.museiincomuneroma.it

Biglietto “solo mostra”: € 11 intero; € 9 ridotto; € 4 speciale scuola ad alunno

22 speciale Famiglie (2 adulti più figli al di sotto dei 18 anni)

Integrato Museo dell’Ara Pacis + Mostra: € 18 intero; € 14 ridotto

Mostra promossa da Roma Capitale Assessorato alla Cultura, Creatività e Promozione Artistica – Sovrintendenza Capitolina ai Beni Culturali e prodotta da Contrasto e Zètema Progetto Cultura

La Spider-Woman di Manara che ha fatto impazzire il mondo del fumetto

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I lettori di fumetto quest’estate si son trovati tutti coinvolti in un ciclone da cui nessuno è riuscito a scappare: come avrete capito ,parlo del terribile “scandalo” della Spider-Woman di Milo Manara. Andiamo con ordine : la Marvel negli ultimi anni ha visto imporsi con forza e merito il “girl power” sia a livello di autori (Sara Pichelli su tutte) e a livello editoriale (siamo intorno alle dieci testate dove il protagonista principale è una donna), ma mancava ancora la testata del personaggio che più di tutte ha avuto il merito di sdoganare i personaggi femminili da semplici oggetti ammiccanti e vestiti in modo sexy: ovvero Spider-Woman (un pedsonaggio forte con un background da spia e doppio giochista e che aveva la caratteristica grafica di essere completamemte coperta dal costume , se si esclude la bocca). Sfruttando un evento che coinvolge tutte le testate dei “ragni Marvel” la casa editrice decide che i tempi son maturi per rilanciare il personaggio ma commette un enorme errore . L’editor a cui viene affidare la gestione autoriale della serie contatta alle matite della serie Greg Land , disegnatore famoso per “barare sulle tavole” ricalcando spesso volti direttamente da riviste adulte, ma soprattutto contatta Milo Manara per realizzare una variant cover .

La Marvel decide di mostrare la copertina di Manara per promuovere l’albo ed èsplode l’inferno: Manara viene accusato di maschilismo per via della posa e tutto il mondofumetto, dai lettori agli autori, sente il dovere di intervenire pro o contro l’autore …perdendo spesso il vero punto della questione. La questione assume dei toni grotteschi quando una blogger decide di “correggere” la posa del maestro italiano e Manara stesso , piuttosto stizzito decide di rispondere con uno schizzo che dimostra l’ inesattezza delle correzioni della blogger.

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Intanto la cover schizza in vetta ai preorder dei distributori di comics, i giornali generalisti fanno passare i lettori di fumetti come persone bigotte e la Marvel decide di rallentare la produzione di variant firmate Manara in uscita per altre testate pur non rompendo la collaborazione col maestro italiano. E pensare che sarebbe bastato semplicemente dire “l ‘editor di Spider-Woman poteva scegliere un altro cover artist”. Occasione sprecata per dimostrare che il mondo del fumetto può trattare degli argomenti controversi con maturità. Peccato.

“Domenica di carta, 05 ottobre 2014” – La voce dei libri

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Maratona di lettura

La Biblioteca universitaria di Sassari partecipa al progetto di apertura straordinaria, predisposto per le biblioteche e gli archivi, dal Ministero dei beni e delle attività culturali e del turismo, che si svolgerà su tutto il territorio nazionale domenica 05 ottobre 2014.

Nell’arco della giornata si darà corso, con il coinvolgimento del pubblico presente, alla lettura del testo Alberi erranti e naufraghi dello scrittore Alberto Capitta, vincitore del “Premio Brancati” (2013), e “Libro dell’anno” di Fahrenheit in onda su Radio3, il più importante programma radiofonico italiano dedicato ai libri. Sarà presente l’autore.

L’occasione permetterà di visitare l’esposizione di significativi documenti bibliografici posseduti dalla Biblioteca e i locali della nuova sede, recentemente inaugurata, all’interno dell’ex Ospedale di piazza Fiume.

Programma

Domenica 05 ottobre 2014

Maratona di lettura del libro Alberi erranti e naufraghi dello scrittore Alberto Capitta

Orario maratona lettura: dalle 10 alle 13,15, dalle 15 alle 18,15

Visita guidata: dalle 13,15 alle 14; dalle 18,15 alle 19

Si allega locandina

Referente comunicazione evento

Funzionario Bibliotecario Daniela Canopulo

Daniela.canopulo@beniculturali.it

Tel. 079 235179

Bu-ss@beniculturali.it

Sito web: http://www.bibliotecauniversitariasassari.beniculturali.it

Le Quattro Giornate di Napoli

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I segni della memoria civica

Si sono aperte domenica 28 settembre le celebrazioni del 71 ° Anniversario delle Quattro Giornate di Napoli volute l’Istituto Campano per la Storia della Resistenza fu fondato nel 1964 per iniziativa di un gruppo di intellettuali antifascisti e democratici campani. È associato all’Istituto Nazionale per la Storia del Movimento di Liberazione e fa parte di una rete di Istituti omologhi sparsi su tutto il territorio italiano. Il suo impegno civile e culturale si concretizza in attività didattiche e di divulgazione di valori universali quali la democrazia, l’antifascismo, la pace e la giustizia sociale, nonché nel recupero e nella valorizzazione del patrimonio documentario. Dispone di una biblioteca di circa 20.000 volumi, di un archivio fornitissimo, di una mediateca e di una fonoteca. È sede del MUDIM, Museo Didattico Multimediale, accreditato dal Ministero della Pubblica Istruzione come agenzia formativa. In questa ottica organizza corsi di aggiornamento per insegnanti ed alunni e programmi cultura della Commissione Europea. Supporta la regione Campania e le Pubbliche Istituzioni nella scansione di un calendario di ricorrenze di rilievo. Gli incontri e i dibattiti su grande evento si potranno seguire fino a giovedì 2 ottobre.L’insurrezione delle Quattro Giornate di Napoli, che permise la liberazione della città, nacque come reazione ai rastrellamenti dei tedeschi, che riuscirono ad internare 18.000 uomini, all’ordine di sgombero di tutta l’area occidentale cittadina, alla sistematica distruzione delle fabbriche e del porto, ma ebbe anche un significato politico e militare. Militare perché impegnò per più giorni e costrinse alla resa le forze tedesche che si erano rafforzate, politico perché nel corso della rivolta crebbero gli elementi di autorganizzazione, anche se non fu possibile creare un comando unificato. La presenza antifascista fu numerosa e significativa. Valga per tutti l’esempio di Antonio Tarsia in Curia che assunse la direzione del quartiere Vomero costituendo il Fronte Unico Rivoluzionario, il quale ebbe sede nel liceo Sannazzaro. Ma è da segnalare anche la presenza di soldati e soprattutto ufficiali in cui l’odio antitedesco era rafforzato da un forte sentimento di lealismo al re ed all’istituto monarchico. Più difficile invece il discorso sul rapporto tra rivolta e strutture antifasciste organizzate. Ad esempio il Cln di Napoli non fu presente in quanto tale perché la proposta di costituirsi in organismo insurrezionale, con funzioni di governo provvisorio, fu accolta con scetticismo dai suoi componenti. Le Quattro Giornate hanno avuto un destino alterno sul piano della memoria. R. Battaglia nella sua ormai classica “Storia della Resistenza” ne sottolineò il carattere di rivolta popolare “in cui all’odio contro i tedeschi si unisce la ribellione del popolo meridionale contro le sofferenze secolari da esso sopportate”.

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Ma essa fu conosciuta anche e forse soprattutto attraverso il film “Le Quattro Giornate” di N. Loy realizzato nel 1962, quando nel paese andava maturando l’esperienza di centro-sinistra, in cui si esaltava la dimensione antinazista della rivolta anche mediante l’utilizzazione di alcuni stereotipi come quello dello “scugnizzo”. In realtà la memoria delle Quattro Giornate ha conosciuto una lunga fase di oblio ed è entrata con difficoltà nella tradizione storico-politica della città. In ogni caso la rivolta partenopea non deve essere considerata un fatto isolato. Essa fu preceduta e seguita da un insieme di stragi, eccidi, veri e propri momenti insurrezionali in provincia di Napoli e nell’area di terra di Lavoro. Come ha scritto Francesco Paolo Casavola: “L’insorgenza di una cittadinanza così organicamente eterogenea per ceti sociali, istruzione, generazioni non è dovuta ad una improvvisa illuminazione collettiva, che tiene luogo di un’assente direzione politico-militare. È stata forse la paura dello sfollamento coatto di tutte le famiglie e delle retate dei maschi ordinate dal colonnello Schöll, giunta sulla soglia della disperazione e dello sdegno per la violenza dei soldati, che ha prodotto il coraggio del rifiuto. Come non c’è nulla di più contagioso, tra i sentimenti umani, della paura, così nulla si diffonde tanto rapidamente e infrenabilmente del coraggio nato dalla paura. Va aggiunto che quella popolazione aveva attraversato 43 mesi di guerra subendo centocinque bombardamenti aerei, piangendo ventitremila morti, contando centomila vani di abitazione distrutti, soffrendo disagi infiniti negli approvvigionamenti e nei servizi essenziali. Ed ora, estrema provocazione, i tedeschi divenuti nemici corrono nelle strade con le loro autoblindo, sparando, uccidendo, rastrellando gli uomini per deportarli altrove, nelle organizzazioni del lavoro obbligatorio. Il loro comandante ne voleva trentamila di questi uomini da lavoro. La collera collettiva di un popolo matura lenta nella ingiustizia crescente, assorbita sempre con minore sopportazione. Un popolo non si domina con il terrore se non per qualche giorno, poi lo si ha contro, protagonista della lotta”. A parte il dolore della gente che aveva visto i loro figli partiti per il fronte (molti dei quali non fecero più ritorno a casa), i napoletani ebbero il vero impatto con la guerra solo il primo novembre del 1940, quando vi fu un bombardamento aereo inglese. Dal 1940 al 1944 Napoli fu fatta oggetto di più di cento indiscriminati bombardamenti che procurarono quasi 30000 morti. Due giorni infausti visse la città: il 4 dicembre 1942 ed il 28 marzo 1943; il primo, oltre ad ingenti danni e alla distruzione di Santa Chiara, provocò 3000 morti; il secondo fu dovuto allo scoppio della nave Caterina Costa. Questa nave, che era ancorata nel porto era sovraccarica di armi ed esplosivi ed era in partenza per l’Africa. Si sviluppò, a bordo, un tremendo incendio che i marinai non riuscirono a domare, per cui nel pomeriggio esplose provocando oltre 3000 feriti e 600 morti, l’esplosione fu immane, basti pensare che pezzi della nave furono rinvenuti sulla collina del Vomero. Napoli, sventrata dai bombardamenti, s’era come svuotata, abbandonata da intere famiglie in fuga nelle campagne. Erano rimasti i rassegnati, gli indifferenti, i fascisti, e i disperati.

le quattro giornate di napoli

Furono questi ultimi a ribellarsi, a passare dalla disperazione all’esasperazione per i soprusi nazisti, dopo l’occupazione della città. «Anche qui, come nelle altre città, all’8 settembre le autorità militari non presero alcuna iniziativa per preparare un’efficace resistenza alle truppe tedesche, si rifiutarono di consegnare le armi ai napoletani che a mezzo dei rappresentanti i partiti antifascisti le chiedevano per organizzare la difesa, né seppero dare a quei comandi subalterni che le cercavano, delle direttive serie. Incredibile la risposta data dal Comandante la difesa territoriale di Napoli, generale Del Tetto al colonnello Barberini comandante del 2° reggimento artiglieria acquartierato nella caserma Scandigliano: “Cercate di tergiversare, non irritate i tedeschi e trattate bene gli inglesi che stanno per arrivare”. Malgrado quest’insipienza che rasentava il tradimento, da parte degli alti comandi, l’occupazione tedesca della città non avvenne pacificamente. Il 10 e 1’11 settembre soldati e ufficiali italiani assieme a popolani resistettero tenacemente in alcuni fortilizi, costringendo il nemico a conquistare con le armi alcune caserme e la centrale telefonica. I tedeschi erano ancora indecisi sul da farsi, temevano la rapida avanzata degli Alleati sbarcati a Salerno e, mentre cercavano di disarmare le truppe italiane, si preparavano ad abbandonare la città dandosi al saccheggio dei negozi. Numerosi furono gli episodi di resistenza. In via S. Brigida un carabiniere ed un gruppo di cittadini riuscirono a catturare alcuni militari tedeschi; il combattimento accesosi all’angolo di palazzo Salerno si allarga e raggiunge l’imbocco del tunnel della Vittoria ove sono parcheggiate diverse macchine nemiche. I tedeschi che si trovano nel palazzo reale sono fatti prigionieri; a piazza Plebiscito la battaglia si protrae per due ore, conflitti scoppiano anche in via Foria, a Porta Capuana, a piazza Umberto, in via Duomo, in via Chiaia, alla caserma Metropolitana, nel quartiere Vicaria. Uomini, donne, ragazzi, soldati e marinai danno prova in cento episodi di audacia e patriottismo. Il 12 settembre i tedeschi decidono di sospendere i preparativi per la ritirata e di instaurare col terrore il loro pieno dominio sulla città. I contingenti della Va Armata sbarcati a Salerno l’8 settembre, erano riusciti si, a costituire una testa di ponte, ma non avevano colto di sorpresa i tedeschi che fecero affluire rapidamente delle formazioni corazzate per impedire la loro avanzata. Le unità alleate s’erano mosse lungo la strada turistica che da Salerno, Vietri, Cava dei Tirreni porta sino a Napoli; ma ai margini dell’Agro Nocerino erano state bloccate dalle forze tedesche e investite da una tempesta di fuoco e quindi costrette a retrocedere. Il Comando tedesco pensò addirittura di riuscire a cacciare a mare gli americani e obbligarli a rimbarcarsi, comunque non doveva più temere una minaccia immediata su Napoli. Un corriere da Berlino portò al comandante tedesco Scholl l’ordine di non lasciare la città e in caso di avanzata degli Alleati di non abbandonarla prima di averla ridotta “in cenere e fango”. Nel pomeriggio del giorno stesso, il colonnello faceva avanzare una colonna motorizzata che, proveniente da Capodichino, penetrò in città sparando a zero sulle case e lungo le strade. L’ordine era di annientare gli ultimi caposaldi della resistenza italiana distruggendo, per rappresaglia, case e quartieri dove i patrioti si erano battuti.

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Dopo alcuni minuti di bombardamento a scopo terroristico, gli unni penetrarono nelle case e cominciarono l’opera di saccheggio, di violenze e di distruzione. Gli abitanti venivano cacciati fuori, spogliati di ogni loro avere, incolonnati e costretti ad assistere all’incendio delle loro abitazioni. Anche l’Università venne invasa e incendiata, distrutti migliaia di volumi. L’obbiettivo non era scelto a caso, i tedeschi sapevano che dopo il 25 luglio l’Università era divenuta uno dei centri di raccolta dell’antifascismo. Il professor Adolfo Omodeo il l° settembre, all’inaugurazione dell’anno accademico, aveva indirizzato agli studenti un appello nel quale tra l’altro era detto: “Studenti, in questo momento amaro, l’Università vi apre le braccia, i vostri maestri sono della generazione del Carso e del Piave.” Mentre l’opera vandalica si estendeva ai vicoli circostanti, altri reparti tedeschi saccheggiavano la caserma Zanzur che resisteva ancora, attaccavano le batterie contraeree italiane e la caserma dei carabinieri Pastrengo che furono sopraffatte dalle forze soverchianti. Particolarmente aspro fu il combattimento, impegnato dai tedeschi, contro il 21° Centro di avvistamento arroccato al Castel dell’Ovo. Gli artiglieri e i marinai italiani si difesero sino all’ultimo; i tedeschi furono costretti ad espugnare il forte con i cannoncini dei carri armati. Tratti prigionieri gli ultimi difensori, otto marinai e soldati furono fucilati di fronte al palazzo dell’Ammiragliato.Domenica di sangue per i napoletani il 12 settembre ed anche il lunedì, nelle due giornate furono uccisi per le strade della città decine di militari italiani, 27 civili e 185 persone ricoverate negli ospedali. Oltre quattromila tra militari e cittadini vennero tratti prigionieri e immediatamente portati alla stazione per essere avviati alla deportazione ed al lavoro obbligatorio. Il 13 settembre veniva pubblicato il drastico proclama emanato il giorno prima dal Comando tedesco:
1. Con provvedimento immediato ho assunto da oggi il Comando assoluto con pieni poteri della città di Napoli e dintorni.
2. Ogni singolo cittadino che si comporta calmo e disciplinato avrà la mia protezione. Chiunque però agisca apertamente o subdolamente contro le forze armate germaniche sarà passato per le armi. Inoltre il luogo del fatto e i dintorni immediati del nascondiglio dell’autore verranno distrutti e ridotti a rovine.
Ogni soldato germanico ferito o trucidato verrà rivendicato cento volte.
3. Ordino il coprifuoco dalle ore 20 alle ore 6. Solo in caso di allarme si potrà fare uso della strada per recarsi al ricovero vicino.
4. Esiste lo stato d’assedio.
5. Entro 24 ore dovranno essere consegnate tutte le armi e munizioni di qualsiasi genere, ivi compresi i fucili da caccia, le granate a mano, ecc. Chiunque, trascorso tale termine, verrà trovato in possesso di un’arma, verrà immediatamente passato per le armi. La consegna delle armi e munizioni si effettuerà alle ronde militari germaniche. [Erano indicate le località]
6. Cittadini mantenetevi calmi e siate ragionevoli. Questi ordini e le già eseguite rappresaglie si rendono necessarie perché un gran numero di soldati e ufficiali germanici che non facevano altro che adempiere ai propri doveri furono vilmente assassinati o gravemente feriti, anzi in alcuni casi i feriti anche vilipesi e maltrattati in modo indegno da parte di un popolo civile.Napoli, 12 settembre 1943 firmato SCHOLL Colonnello» .Vedersi ridotti alla condizione di schiavi, doversi nascondere per sopravvivere in una città dilaniata, per sottrarsi ai rastrellamenti e alle catture indiscriminate, per evitare quel servizio obbligatorio di lavoro che altro non era che l’anticamera della deportazione e dello sterminio: ecco, tutto questo insopportabile bagaglio di prevaricazioni determinò la svolta, aprì le porte agli eventi. La rabbia dei nazisti per il fallimento del servizio obbligatorio venne espressa nel manifesto del 26 settembre emanato dal comandante Scholl, che gridava al sabotaggio e minacciava di fucilare all’istante i contravventori: Al decreto per il servizio obbligatorio di lavoro hanno corrisposto in quattro sezioni della città complessivamente circa 150 persone, mentre secondo lo stato civile avrebbero dovuto presentarsi oltre 30.000 persone. Da ciò risulta il sabotaggio che viene praticato contro gli ordini delle Forze Armate Germaniche e del Ministero degli Interni Italiano. Incominciando da domani, per mezzo di ronde militari, farò fermare gli inadempienti. Coloro che non presentandosi sono contravvenuti agli ordini pubblicati, saranno dalle ronde senza indugio fucilati Il giorno dopo, il 27 settembre, ebbe inizio la caccia all’uomo: le strade vennero bloccate e tutti gli uomini, senza limiti di età, furono caricati con la forza sui camion per essere avviati al lavoro forzato in Germania. A questo punto, per i napoletani non c’erano alternative: se volevano sfuggire alla deportazione dovevano combattere contro i tedeschi e impedire che attuassero i loro piani. Cosi, senza essere né preparata né organizzata, scoppiò l’insurrezione di Napoli, una risposta spontanea in cui erano presenti anche i partiti antifascisti ma senza avere quella funzione di guida che avranno invece durante la lotta partigiana. I napoletani uscirono allo scoperto nelle prime ore del 28 settembre: erano armati alla meglio, con vecchi fucili, pistole, bombe a mano, bottiglie incendiarie che avevano subito imparato a costruire e qualche mitragliatrice leggera nascosta nei giorni dell’armistizio. Altre armi se le procurarono combattendo. Tutto ciò sconcertò il comando tedesco che non si attendeva questa reazione. La scintilla scoppiò al Vomero. Erano da poco passate le nove, quando al Vomero giunse la notizia che un marinaio era stato freddato con un colpo di pistola, mentre stava bevendo alla fontanella che si trova all’angolo di via Girardi, proprio di fronte all’Ospedale Militare. Una decina di giovanissimi, il più avanti con gli anni non aveva ancora vent’anni, stavano sorbendo il caffè al Bar Sangiuliano in Piazza Vanvitelli, quando… come un segnale convenuto uscirono di corsa dal bar e si precipitarono addosso ai tre tedeschi che occupavano una jepp di stanza nella Piazza, li costrinsero a scendere dall’auto e la incendiarono. I tedeschi approfittarono di questo momento per fuggire e dare l’allarme. Giunsero soldati in massa ma i giovani non desistettero e si rifugiarono nel Museo di San Martino, mentre la voce si spandeva sulla città come pioggia col sole. Fu un attimo. Tutte le strade che portavano fuori della città furono bloccate da suppellettili, che piovevano dalle finestre per ostruire il passaggio all’uscita come all’entrata. Per quattro giorni, dal 28 settembre all’1 ottobre 1943, i napoletani scelsero la lotta aperta, imbracciarono le armi, eressero barricate, lanciarono bombe, tesero agguati, costringendo le truppe tedesche alla resa, alla fuga. Resistettero al nemico artisti, poeti, scrittori, anche Sergio Bruni, che diventerà il re della canzone napoletana, fu ferito. Il corso di queste quattro giornate, anche gli ufficiali dell’esercito italiano spariti in un primo momento e gli antifascisti si unirono ai sollevati e si misero alla loro testa. Quanti presero le armi, vecchie armi italiane meno efficienti, meno micidiali di quelle tedesche (i fucili ’91 dell’altra guerra e perfino i moschetti dei balilla senza otturatori, che dovettero essere recuperati altrove), furono dunque qualche centinaio. Le azioni di scontro in ogni quartiere della città e soprattutto al Vomero, all’Arenella, a Capodimonte, a Ponticelli, infittite e protratte negli ultimi quattro giorni del settembre e nella mattinata del primo ottobre, furono decisive per affrettare l’abbandono della città da parte delle truppe tedesche proprio per la attiva solidarietà della popolazione con quel pugno di combattenti, che si moltiplicava in ogni punto della città. I tedeschi avrebbero voluto ridurre l’abitato a cenere e fango, avevano minato, fatto saltare in aria, incendiato case, alberghi, battelli in mare, impianti di servizi, l’Archivio di Stato. Le distruzioni sarebbero state infinitamente maggiori se la popolazione non fosse coralmente insorta a sostenere i suoi studenti, i suoi operai, i suoi uomini più consapevoli nella lotta aperta. Questo il bollettino delle 4 giornate: oltre 2.000 combattenti, 168 furono i patrioti caduti in combattimento, 162 i feriti, 140 le vittime tra i civili, 19 i morti non identificati, 162 i feriti, 75 gli invalidi permanenti. I tedeschi, all’alba del primo ottobre, si ritirarono (compiendo vili rappresaglie tra le popolazioni che incontravano sul loro cammino). Quando gli alleati entrarono in città, non trovarono un nemico che fosse uno. Napoli s’era liberata da sola. Nel dopoguerra, oltre alla medaglia d’oro alla città di Napoli, furono conferire agli insorti 4 medaglie d’oro alla memoria, 6 d’argento e 3 di bronzo. Le medaglie d’oro furono assegnate ai quattro scugnizzi morti: Gennaro Capuozzo (12 anni), Filippo Illuminati (13 anni), Pasquale Formisano (17 anni) e Mario Menechini (18 anni). Medaglie d’argento alla memoria di Giuseppe Maenza e di Giacomo Lettieri; medaglie d’argento ai comandanti partigiani Antonino Tarsia, Stefano Fadda, Ezio Murolo, Giuseppe Sances; medaglie di bronzo a Maddalena Cerasuolo, Domenico Scognamiglio e Ciro Vasaturo.

 Programma celebrazioni 4 Giornate di Napoli

28 settembre 1943 – 28 settembre 2014 – 71° Anniversario delle Quattro Giornate di Napoli

Programma delle celebrazioni:

domenica 28 settembre
deposizione di corone d’alloro da parte del Sindaco di Napoli
ore 10,30 Mausoleo di Posillipo
ore 10,45 Piazza Bovio – lapide edificio Camera di Commercio
ore 11 Piazza Carità – Stele a Salvo D’Acquisto

lunedì 29 settembre
cerimonia commemorativa di Maddalena Cerasuolo
ore 10 Ponte Maddalena Cerasuolo – Via Santa Teresa degli Scalzi
omaggio a Roberto Bracco
ore 17 Salone della Biblioteca della Società Napoletana di Storia Patria (Maschio Angioino)

martedì 30 settembre
ore 11,00 cinema modernissimo – commemorazione Zvab
ore 12,30 Via Cisterna dell’Olio, 5 – scoprimento lapide in memoria di Federico Zvab

mercoledì 1° ottobre
ore 9 – 13 visite guidate – per le scuole – alle Mostre sulle “Quattro Giornate di Napoli” presso la sede dell’Istituto Campano per la Storia della Resistenza “Vera Lombardi” in via Costantino 25, Napoli (Fuorigrotta). E’indispensabile la prenotazione: tel. 081 621225081 621225 (dalle 9,00 alle 13,00).
ore 17 “LLe Quattro Giornate” di Nanni Loy in mostra, presso l’Archeobar in via Mezzocannone, 101 bis

giovedì 2 ottobre
ore 9,30 corteo dal Liceo Sannazaro che ricorda i martiri dello Stadio Collana del Vomero

FESTIVAL “IL GUSTO DELLA MEMORIA”

Vintage Film Festival

III edizione

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Si inaugura a Roma presso la Sala Cinema Trevi  sabato 27 e domenica 28 settembre 2014 la terza edizione del festival “Il gusto della memoria,” rassegna di film ispirati alle immagini d’archivio, fondato e diretto dalla montatrice e regista Cecilia Pagliarani e dall’artista Manuel Kleidman. L’unico festival in Italia che presenta film, documentari e spot realizzati con immagini d’archivio amatoriali. Tra i film presentati a Roma, Il partigiano Carlo,che racconta la vita da partigiano del compianto regista Carlo Lizzani. Tre le sezioni del festival: Fiction, con cortometraggi della durata massima di 12 minuti;Documentari, per opere di reportage o di docufiction della durata massima di 30 minuti e infine la sezione Advertising dedicata a spot pubblicitari per prodotti attuali o vintage, della durata massima di 45 secondi. Tutti i lavori presentati contengono almeno il 60% di immagini di cinema amatoriale tratte nell’archivio nosarchieves.com che custodisce in full HD film realizzati tra il 1922 ed il 1984 girati in formato ridotto (8mm, 9,5mm, 16mm, 17,5mm e Super8). Il tema di quest’anno è : Ero quello che non sono più. Il cambiamento, un tema di certo non facile, lirico, filosofico che si pone una domanda esistenziale: Cosa vuol dire cambiare? Novità di questa edizione, il contest Junior, dedicato a agli studenti under 18 delle scuole medie e superiori, dal tema Questo sono io: biografie e autobiografie, vere o false, ispirate dalle immagini tratte dall’archivio nosarchives.com. Tutte le informazioni sul festival al link comeeravamocontest2014.webnode.it .Oltre alle proiezioni dei film, dei corti edegli spot in concorso, sono anche previste numerose proiezioni fuori concorso, tra cui Vogliamo anche le rose, alla presenza della regista Alina Marazzi,quindi il film Il partigiano Carlo, di Roberto Leggio, che racconta la vita da partigiano del compianto regista Carlo Lizzani. Il film, ultima intervista video del regista, sarà proiettato alla presenza, tra gli altri, di Roberto Faenza, domani, sabato 27 settembre alle ore 21.

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Un evento unico, ispirato dall’opera di salvaguardia della memoria dell’archivionosarchives, che possiede, restaura e digitalizza secondo i più innovati dispositivi dagherrotipi, negativi su vetro,  diapositive, Polaroid, filmini familiari e di viaggi e di fatto costituisce il primo archivio mondiale di video ed immagini amatoriali. Il portale ospita più di 10mila filmati e un innumerevole repertorio di immagini che hanno fatto la storia del Ventesimo secolo. Il festival, fondato e diretto dalla montatrice e regista Cecilia Pagliarani, montatrice del documentario di Gianni Amelio, Felice chi è diverso, presentato al Festival del Cinema di Berlino e dall’artista Manuel Kleidman, è organizzato dall’Associazione per la salvaguardia della memoria filmica amatoriale Come Eravamo, in collaborazione con l’archivio di cinema amatoriale nosarchives.com e il portale di cinema cinemaitaliano.info.

La giuriadell’edizione 2014 è composta da: Emiliano Morreale, conservatore della Cineteca Nazionale; la regista Alina Marazzi (Tutto parla di te, Vogliamo anche le rose, Un’ora sola ti vorrei);  Ciro Giorgini, regista, scrittore e autore di Fuori Orario e Blob; Marco Chiani, giornalista di Cinemonitor, la regista Fiorella Infascelli (Il vestito da sposa, Zuppa di pesce); il regista documentarista Marco Santarelli (Lettera al Presidente, Milleunanotte, Scuola Media) e Luigi Vernieri, direttore di IED Visual Communication.

Per maggiori informazioni:
http://comeeravamocontest2014.webnode.it
associazionecomeravamo@gmail.com
Facebook: https://www.facebook.com/IlGustoDellaMemoria2014?ref=hl
tel. 06 97240308

 

Il nuovo corso della Bonelli entusiasma gli appassionati

Tra anni or sono moriva Sergio Bonelli.

Oggi la SBE con una mossa inedita nella sua storia decide di tenere una conferenza per presentare i suoi prossimi progetti. Inutile dire che c’ era molta attesa attorno a questa mossa e nei primi minuti della conferenza si è forse avuto il momento più emozionante e sentito di tutte le due ore : Tiziano Sclavi, sul palco , passa in maniera simbolica il testimone a Roberto Recchioni che da domani esordisce in edicola come coordinatore editoriale di Dylan Dog ( in realtà lo sarebbe già da un anno … ma è stato solo un periodo di transizione per arrivare a questo nuovo corso).

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Ma subito dopo un piccolo teaser video dove vedevamo i nomi degli autori che faranno parte di questo nuovo corso ( Barbato, Uzzeo, Cestaro,Brindisi ,Roi sono i primi che ho notato) si è parlato di una nuova serie Bonelli ovvero Adam Wild .

Da quel poco che si è detto, il progetto ha ricordato un Django Unchained in salsa Bonelli e con uno stuolo di disegnatori di natura internazionale alla corte dello scrittore Gianfranco Manfredi .

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Poi si è tornati su Dylan Dog e sul tanto atteso nuovo ciclo .

Recchioni ha parlato di cose più o meno note, ha parlato degli speciali che avremo nel corso degli anni … niente di esaltante ma mi ha colpito in un passaggio : una giornalista gli chiede se farà riapparire mai un avversario classico e lui ha risposto “… voglio creare cose nuove perché basarci su cose passate rende pigri”.

Inutile dire che qui , Roberto ha fatto bella figura…ma ha anche alzato la posta non di poco .

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A Roberto è rimasto il microfono in mano anche per parlare della seconda stagione di Orfani, progetto che nei suoi primi 12 numeri ha profondamente diviso la critica tra chi ne ha esaltato il coraggio e chi invece ha trovato la trama telefonata e scontata.

La seconda stagione si chiamerà Orfani: Ringo , avrà come protagonista principale Ringo appunto e sarà ambientata in Italia. La volontà di Recchioni è di creare una serie che faccia contenti i lettori della prima stagione e possa convincere anche chi sale a bordo direttamente da questa nuova avventura.

Poi a sorpresa parte un teaser : Orfani diventa un MOTION COMIC in coproduzione con la Rai!

Il progetto è studiato per essere anche esportato all’estero e dalla grafica ricorda molto i progetti che la Marvel spesso distribuisce sulle “pay per view” o in DVD per il mercato americano .

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Ma il progetto è ancora in fase embrionale; ma sul palco dicono che è solo la prima fase di una trasformazione totale di Bonelli sul versante crossmediatico.

E a fine conferenza arriva l’ ultima sorpresa : a Lucca Bonelli avrà delle variant esclusive tra cui segnalo quelle di Gipi per Dylan Dog (dove non compare il protagonista ed è stata la ragione tra un duro braccio di ferro di idee tra Sclavi e Recchioni ) e quella di Gabriele Dell’ Otto per Ringo.

Alla fine, cosa trarre da questa conferenza? Sicuramente notiamo che la Bonelli si sta muovendo molto dopo decenni di immobilismo, ma il rischio di scimmiottare Marvel e Dc è altissimo.

Per il momento domani vado in edicola e do una possibilità al nuovo corso di Dylan…fatelo pure voi!

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Valeria Fondi in GV635[vs]Divoratori

Si inaugura sabato 27 settembre presso La galleria Il ritrovo di Rob Shazar la prima personale di Valeria Fondi “GV635[vs]Divoratori “, un progetto cooprodotto con Open Art House, la mostra si potrà visitare fino al 16 novembre . Valeria Fondi si affaccia sul panorama contemporaneo dopo diverse collettive (dal 2011 ad oggi) con il lavoro che più la rappresenta: GV635[vs]Divoratori. Un progetto fotografico ricco e dettagliato che oggi emerge nella sua totalità e in tutta la sua forza. Formato da 16 scatti, di cui 14 si focalizzano sulle dipendenze che divorano l’animo umano e due che ne suggeriscono la via d’uscita. La riflessione dell’artista parte dalla fame di eternità che l’essere umano ha fin dalla sua nascita e di come essa, quando non viene riconosciuta, possa trasformarsi in un’arma di distruzione invisibile.

Human Fatherless condition

GV635[vs]Divoratori porta alla luce le devianze che legano la nostra vita in meccanismi nocivi e senza freno e invita lo spettatore a liberarsene attraverso la scelta di nutrire il proprio spirito con il giusto cibo (quello di Gv635). Ciò che caratterizza questo lavoro è l’attenzione di Valeria Fondi nel catalogare le dipendenze, numerandole e nominandole; atto che sottolinea la specificità di ognuna di esse, come armi, strumenti di precisione che necessitano di essere riconosciute per poterle distruggere e dalle quali difendersi. Così ogni opera si completa nel proprio titolo, attraverso il quale ogni spettatore può ritrovare la propria dipendenza e dal quale viene sfidato a porsi delle domande. Un tema sviluppato con coraggio che ri-apre la strada dell’arte, come strumento per rivelare l’invisibile e la connessione dell’essere umano al mondo spirituale che lo circonda.

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Biografia di Valeria Fondi
Valeria Fondi nasce a Carrara, in Toscana. La sua famiglia si trasferisce, qualche mese dopo la sua nascita, a Lodi, dove l’artista passa la sua infanzia e la sua adolescenza. A otto anni inizia a studiare pianoforte presso l’accademia di musica locale, luogo in cui nasce il suo interesse verso la composizione.

valeria fondi

Durante il liceo frequenta diversi laboratori creativi tra cui, fotografia, teatro e voce. Dopo la maturità scientifica viene selezionata e ammessa alla scuola Civica di Cinema di Milano. Da lì a poco comincia il suo percorso artistico personale, segnato dall’inizio dello studio delle scritture. Il vangelo segna fortemente la sua esistenza, e dà inizio alla fase più creativa della sua vita, in cui sperimenta diversi linguaggi artistici, da autodidatta. Installazioni, composizioni musicali e poetiche, video sperimentali, caratterizzano le sue prime produzioni artistiche. Mentre nell’ultimo anno e mezzo ha concentrato il proprio lavoro nel progetto fotografico, GV635 [vs] Divoratori. La sua sensibilità la porta a ricercare costantemente ciò che l’occhio umano non riesce a vedere. Non è il mezzo che l’appassiona ma il rivelare l’invisibile traducendolo in un linguaggio contemporaneo

Info:
Valeria Fondi in
GV635[vs]Divoratori
27 settembre –16 novembre 2014

Opening: sabato 27 settembre 2014 ore 18,00
Galleria Il ritrovo di Rob Shazar, Via Diaz, 26 – Sant’Agata De’ Goti (BN)
tel. +39 0824 832837 mob. +39 339 1532484 shazar@virgilio.it www.galleriashazar.com
Ven/Sab/Dom 16,30/20,30 – altri giorni a richiesta su appuntamento

IN WALL WE TRUST – Esibizione internazionale di Street Art

International Street Art Exhibition

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A tutti gli amanti della Steet Art noi di Planetmagazine.it consigliamo l’evento che si svolgerà domani e sabato nel beneventano, precisamente nella cittadina di Airola, intitolato: IN WALL WE TRUST – International Street Art Exhibition.

Il festival ideato e curato dall’artista Domenico Tirino, in arte Naf-Mk, in collaborazione con l’associazione no profit Textures, ha già fatto parlare molto di sé nelle edizioni precedenti, soprattutto per l’iniziativa che li ha visti a fianco dei detenuti dell’Istituto Penitenziario Minorile di Airola.

Cosa ci aspetta in questa edizione?

-La giornata di domani 26, sarà caratterizzata dai posters, affissi in Via Campo, inviati per l’occasione da artisti di ogni parte del mondo.

Sabato, invece, si potrà assistere alle performance dei writers: ELKEMI, NOIRE, ER7, PIG , URKA, CARLITOP, IRONMOULD e NAF-MK disegneranno su un grande muro in Via Lavatoio, mentre, in serata la manifestazione continuerà nel Chiostro comunale con Live Painting, Stickers Expo, Live set/Dj set.

Iniziative di questo genere danno la possibilità di toccare con mano il cambiamento che la Street Art o Postgraffitismo ha avuto in questi anni, spesso si fa fatica a definirla: qualcuno ha parlato di arte, altri di gioco e altri ancora di protesta politica, unica certezza è che rientra nel nostro quotidiano. Ogni qualvolta mi soffermo a riflettere su questo tipo di linguaggio penso ad una sorta di arte povera e a quel tipo di comunicazione che si presta bene ad un attenta analisi semiotica; rispecchia i contesti sociali e culturali diversi, esprime la condivisione di alcuni ideali e con essi anche la critica ad un sistema ormai omologato in tutto il mondo.

Programma dettagliato dell’evento:

26 SEPT.

• POSTERS WALL

ORE 15.00 VIA CAMPO AIROLA – BN

27 SEPT.

• WALL PAINTING

ELKEMI / NOIRE / ER7 PIG / URKA / CARLITOPS IRONMOULD / NAF-MK ORE 15.00 VIA LAVATOIO AIROLA – BN –

• LIVE PAINTING ALT97 / CANCELLETTO RED / BIODPI VENOM / ROBERTA GARZILLO GIOVANNI COLANERI / CAESAR-T

• STICKERS EXPO

• IPM PROJECT EXPO

LIVE SET – BRIAN NOIZE / ODEENO / SCISSOR / F.THORO

 

SUBSONICA: Una nave in una foresta – Recensione

subsonica-coverUscito il 23 settembre 2014, “Una nave in una foresta” è il nuovo album dei Subsonica. Ci sono voluti tre anni, esperienze parallele e voglia di raccontarsi, per mettere in piedi un album capace di smentire e sorprendere le voci di chi inneggiava al declino creativo e artistico della band piemontese che, dopo Eden, album molto pop che ha disincantato anche i fan più accaniti, sembra essere tornata alle sue origini. Risulta difficile riuscire a collocare “Una nave in una foresta” in un solo genere: si passa dall’elettronica alla dub, si salta sulle note rock fino a ballare sull’energia del d&b, il tutto in chiave pop. Tempi dispari, bpm che smuovono i corpi e sonorità fuori da ogni schema, testi profondi ed empatici, legano questo settimo album, estremamente concettuale, allo stile marchiato Subsonica. È un album che parla di tutto e parla di niente, a partire dalle tematiche più rilassate (Ritmo Abarth), agli argomenti di spessore (Specchio, chiaro riferimento all’anoressia); c’è l’incertezza sulle sorti del mondo (Il Terzo Paradiso), calore e trasgressione (Di Domenica), malinconia e disagio (la titletrack). Più che di tematiche, si potrebbe parlare di stati d’animo, stati d’essere molto razionali e poco individualisti. C’è da dire che i Subsonica, sui suoni, non si sono risparmiati affatto: la maggior parte delle tracce, infatti, è colma di eccessivi stimoli sonori che, alla lunga, potrebbero stancare anche l’orecchio più allenato. È forse per questo motivo che l’album ha bisogno di essere ascoltato almeno un paio di volte per essere metabolizzato del tutto; basta ascoltarlo profondamente, per affezionarcisi immediatamente, e per comprendere la rivoluzione artistica che fa da legante alle dieci tracce di un lavoro che, con totale certezza, non ha nulla a che fare con la corrente mainstream italiana. Nonostante le lievi congiunzioni alle sonorità dei Daft Punk nel caso de “Il Terzo Paradiso(con Michelangelo Pistoletto) , di matrice simile a “Giorgio By Moroder”, l’album può rappresentare tranquillamente la stele di rosetta mediante la quale interpretare i linguaggi, le visioni, la mentalità e gli sperimentalismi sonori dei Subsonica.
“Una nave in una foresta” potrebbe essere la metafora perfetta dell’uomo moderno, un uomo rinchiuso e decontestualizzato nel proprio mondo fatto di dubbi, incertezze, caos e riflessioni.

Un album che vale un’esperienza di vita; promosso a pieni voti.

Questa è la tracklist di “Una nave in una foresta”

  1. Una nave in una foresta
  2. Tra le labbra
  3. Lazzaro
  4. Attacca il panico
  5. Di domenica
  6. I cerchi degli alberi
  7. Specchio
  8. Ritmo Abarth
  9. Licantropia
  10. Il terzo paradiso

 

Clicca qui e ascolta “Una nave in una foresta” su Spotify

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Serie Tv sui comics, una storia che parte da lontano

In principio ci fu il Batman interpretato da Adam West.

Poi arrivò l’ Incredibile Hulk e la sterminata raccolta di camicie distrutte e di body builder strafatti di anabolizzanti che ne derivò.

Poi fu il momento di Flash , che nel titolo aveva la velocità con cui si sperava di dimenticare la serie stessa .

Toccò a Smalville , progetto che andò avanti per svariate stagioni , l’ingrato compito di far capire che partendo da personaggio famosissimi si poteva creare serie tv che potevano raccogliere due piccioni con una fava ( comics-utenza e casual tv user).

Ma la vera rivoluzione parte con The Walking Dead : la serie , basata su un fumetto Image, è un successo assurdo e diventa un tormentone ( pur mostrando una qualità nettamente inferiore al fumetto e avendo difetti nel tenere un ritmo omogeneo durante le varie stagioni ).

TWD ha aperto le porte ad una vera invasione , ormai non passa settimana senza che i grandi network non annuncino una serie o di aver in progetto un pilot su qualche fumetto .

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Ma la “guerra “ che si è giocata in questi due ultimi due giorni è la più classica che ci si poteva aspettare : la seconda stagione del primo serial “made in Marvel Studios “ , Agent of S.H.I.E.L.D. , e il primo episodio della serie che parlerà della città e del cast più iconico di tutto il mondofumetto , Gotham.

E come è andata questa guerra ?

Al momento con un nulla di fatto da entrambe la parti perché se da un lato Gotham ha fatto un gran risultato a livello di audience ha però fortemente diviso la critica per via dell’approccio usato , dall’altro Agent of S.H.I.E.L.D ha confermato la buona strada presa con la fine della prima stagione dopo numerosi episodi che giravano a vuoto ma , allo stesso tempo, ha dimostrato che il progetto , che comunque conserva il merito di essere cross-mediatico ( si interfaccia con i progetti cinematografici della Marvel e con alcuni fumetti distribuiti su piattaforme digitali), non ha coraggio di osare e alla fine della visione ti lascia solo la sensazione che gli autori abbiano “svolto il compitino”.

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Aspettando la valanga di serie che nel 2015 e nel 2016 invaderanno i nostri canali, liberi o a pagamento, fatemi sapere quale di queste due serie vi ispira di più e perché … naturalmente aspettando tutti il Daredevil di Marvel / NetFlix che con ogni provabilità sarà la serie che alzerà il livello di questo filone!