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Army of the dead, la recensione

Army of the dead è il nuovo film di zombi di Zack Snyder uscito per Netflix.
Credo che non ci sia bisogno di presentare chi sia Zack Snyder, a oggi è uno dei registi più conosciuti degli ultimi anni, famoso per i film dei supereroi DC, in modo particolare la Snyder-cut della Justice League, ma qui scrivendo una recensione su Army of the dead e non su cinema di Snyder che fra altro piace molto come regista.

Army of the Dead: recensione del film Netflix - Cinematographe.it

Questo è il secondo film di zombi di Snyder, il primo è stato l’alba dei morti viventi, remake del 2004 del film di John Romero del 1978, in pratica è il film in cui un gruppo di sopravvissuti per salvarsi va in un centro commerciale.
Diciamolo subito, non sono proprio un grande estimatore di film o serie di morti viventi, secondo me a parte i film di John Romero e quelli del nostro Lucio Fulci ci sono state davvero poche novità nel genere.
Un genere che purtroppo è oramai stratificato e fin troppo conosciuto, che non riesce più andare oltre i suoi stessi stereotipi, che sia film, o serie tv o fumetti o videogiochi, la storia di zombie resta sempre la stessa, i protagonisti armati fino ai denti sparano alla testa degli zombi, e questi muoiono definitivamente.
In pratica quando vedi una storia di zombi sai già cosa stai vedendo, sai già cosa succederà e puoi persino anticipare le singole scene, a volte le uniche differenze sono il modo in cui gli uomini uccidono gli zombi o viceversa.
C’è da domandarsi se rivedere sempre la stessa storia non sia altro che crearsi una comfort zone o la classica coperta di Linus, dove allo spettatore piace rifugiarsi, arrivando persino ad odiare qualsiasi tipo di storia alternativa; per esempio tra il pubblico c’è chi non sopporta se in una storia gli zombi questi non vanno lenti ecc. per molti gli zombi devo essere sempre gli stessi, cretini, lenti, putrefarti, affamati mai niente che vada oltre questi stilemi.

Army of the dead: Netflix dei morti viventi — Mondospettacolo

Tornado al film di Army of the dead, la storia è facile da riassumere, c’è un convoglio militare che sta attraversando lo stato del Nevada con un carico misterioso, questo ha un incidente, e si scopre che il carico altro non è che un militare che è diventato uno zombie, uno zombie molto veloce e dotato di una certa intelligenza, questo dopo aver attacco la scorta e averla infetta si dirige con loro verso la città più vicina Las Vegas. La città viene presto contaminata e il governo decide di circondarla con dei container per tenere gli zombi rinchiusi. Passano gli anni e alcuni cittadini di Las Vegas sopravvissuti viene proposto di tornare in città per rubare l’incasso di un casinò chiuso in una cassaforte. Questo comando improvvisato è comandato da Scott Ward, interpretato da Dave Bautista, l’ex lottatore di Wrestling e famoso soprattutto per il ruolo di Drax il Distruttore nei guardiani della Galassia.
Army of the dead vuole essere un film di rapina in una storia di zombi, e dopo aver raccontato la distruzione di Las Vegas nei titoli di testa, con una sequenza che ricorda opening di Watchmen, si concentra con la presentazione e il reclutamento dei personaggi protagonisti.

Interessante ambientazione nel vedere Las Vegas come una città distrutta circondata da un muro fatto di container, che può anche ricordare alla lontana l’anime attacco dei giganti; e con qualche piccolo accenno socio-politico dove il governo e l’opinione pubblica americana non sa cosa fare degli zombi o dei sopravissuti sfuggiti alla città. La tendopoli costruita sotto il muro di container sembrano molto simili ai campi profughi di troppe parti del mondo e mentre le persone in quarantena somigliano a degli immigrati ai confini che cercano di rifarsi una vita; ma questi sono argomenti solo accennati, ma dopo tutto le storie di zombi hanno da sempre avuto un sottotesto politico più o meno forte, anche se in Army of the dead gli argomenti sono trattati in modo abbastanza superficiale, perché quello che si vuole raccontare è un action movie dove si vedono zombi fatti a pezzi in tutte le maniere e diciamolo è anche giusto così.

I personaggi vengono introdotti uno per volta, ma sono veramente pochi quelli che restano impressi, tanto che diventa difficile persino ricordarne i nomi, forse ce ne sono troppi, alla fine quello meglio caratterizzato resta il protagonista Scott Ward, cioè Bautista, che ha pure un’interessante dinamica con la figlia. Bautista rende bene il personaggio e in pratica da solo tiene in piedi l’intera storia, e che prende a piene mani dagli eroi action degli anni 80, in particolar modo da Arnold Schwarzenegger nella fisicità del personaggio e dal’umanità di Bruce Wills.
Gli altri sono quasi di contorno e seguiamo in modo abbastanza separato le loro storyline mentre cercano di raggiungere il casino evitando o uccidendo zombi.
Zombi che si dividono in vari tipi tra quelli lenti e quelli più veloci, cioè gli Alpha che hanno persino una certa intelligenza e una specie gerarchia sociale, e sembra essere usciti dai film le colline hanno gli occhi e persino io sono leggenda del 2007 con Will Smith.
Il vero problema è di questo film è che davvero non riesci più di tanto a provare empatia o a simpatizzare con i protagonisti, a parte il personaggio di Bautista e pochi altri, fra altro il piano della rapina fa acqua un po’ dappertutto, e lo spettatore lo capisce ancora prima dei protagonisti a questo s’aggiunge che il film, nonostante alcune piccole novità, non riesce mai ad andare veramente oltre gli stereotipi dei film precedenti, e per tutta la visione ti sembra di vedere qualcosa di già visto in altri lungometraggi e videogiochi, tanto che si può persino giocare a indovinare il destino dei personaggi nella prima mezz’ora.

Alla fine Army of the dead si chiude con il più classico dei cliffhanger dei zombi movie; e dopo aver passato due ore e mezza a vedere questo film, in realtà non ti resta molto, più che altro perché non vuole essere molto di più di quello che è, cioè un film di zombi con alcune piccole variazioni sul tema, resta il dubbio di come sarebbe andato questo film al cinema, anche se forse la durata lo avrebbe penalizzato non poco, e forse qualche taglio in più anche in streaming, non sarebbe stata una cattiva idea.

Perché ci sono ufo e zombie robot in Army of the Dead? I segreti del film di Zack Snyder

E’ un vero peccato che Zack Snyder da grande regista e narratore, non abbia voluto rischiare più di tanto con questo zombi movie, ma forse anche non avrebbe potuto neanche volendo tentare qualcosa di nuovo, un vero peccato perché mi aspettavo qualcosa di più da lui di un compitino svolto, tenendo anche presente che andando su un servizio streaming, si sarebbe davvero potuto fare qualcosa di più coraggioso e originale, se non si rischia oggi su Netflix o su Amazon, dove si vuole rischiare?

Oggigiorno purtroppo stiamo vivendo un momento d’omologazione dei generi cinematografici (e in alcuni casi anche nello streaming), oramai lo spettatore si vede un film già sapendo cosa aspettarsi, soprattutto in certi generi, tanto che sembra davvero vedersi sempre lo stesso film. Vogliamo davvero vedere in un loop infinito storie di zombi e di supereroi per anni e anni? Alla fine non diventeremo noi stessi degli zombi a cui ci viene dato da divorare sempre il medesimo cadavere?

La Signora che parlava “italiano” – recensione di Daniela Persico

Giuseppina, La signora che parlava italiano, è un racconto breve di Thomas Scalera.Thomas Scalera, come molti di voi sapranno, è il nostro editore, qui su Planet Magazine.

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Ma, per tutti noi suoi collaboratori, da quelli occasionali come me, a quelli della redazione, Thomas Scalera è anche molto di più: un confronto costante, un sorriso, una parole delicata, tante confidenze, una guida, due coccole.

Nel mio caso in particolare, è una delle persone che sento a me più affini e vicine.

Lo conosco oramai da oltre tre anni, ci siamo parlati lunghissime ore, abbiamo condiviso momenti belli e momenti difficilissimi.TH SCALERA

Reciprocamente.

Con la voce, con un click, con un grande affetto.

Perché fare tutta questa lunghissima e, forse anche un po’ stucchevole premessa, se il mio unico scopo, in questo frangente, non è certo massaggiare l’Ego del mio Th, ma parlare di una sua opera d’ingegno?

Perché voglio che sia chiaro: io adoro Thomas, ma questo non mi esenterà dall’essere obiettiva nel criticare una sua piccola e preziosa opera letteraria, sia pure all’interno di una testata web da lui ideata, creata, custodita e finanziata.

Io sono una critica, come sapete. E come se ciò non bastasse sono anche un legale. E una donna.

Insomma sono l’essere ipoteticamente più a rischio di gratuita cattiveria che si possa prefigurare.

Certo nella mia oramai lunga carriera di scribacchina web e non, ho eletto una teoria: salvo casi eccezionali e volontariamente punitivi, se si deve parlare male di un evento, di una persona, di una situazione, di un’impresa, è meglio tacere pubblicamente.

Chi è così ardimentoso da chiedermi privatamente la mia opzione, per quel che valga ed interessi, l’avrà sempre, e sarà, se necessario, perfino cinica. Ma se non parlo mediamente è perché o non conosco o non ritengo di poter parlare perché la mia opinione è decisamente contrastiva.

 

Uno dei miei maestri web, Rudy Bandiera, in tutta la sua mission su internet ed in particolare nella sua ultima opera (le 42 leggi del digital Carisma) postula da sempre questo.

Sia nella sua vita reale, sia durante i suoi corsi, sia chiaramente nella sua lunga tortuosa e iperprofittevole vita web: tutto quello che di inutilmente acrimonioso divulghiamo on line si ritorcerà prima o poi contro di noi.

Io me ne sono fatta persuasa, anche da prima e nella vita reale.

 

Per questo se non ho scadenze, obblighi o necessità per “etica professionale”, raramente nei miei fiumi di parole troverete critiche sferzanti.

Ma non perché diversamente da tutti a me non piaccia farne: mi piace tantissimo.

Il critico, del resto, è uno che sa fare poco e ama distruggere chi ha avuto il coraggio di fare, sostanzialmente per punire la propria codardia.

 

Io non voglio parlare male delle cose.

 

Ugualmente, però, parlando solo di quello che realmente mi piace e mi interessa, anche se mostro spesso un’entusiasmo febbrile, non vuol dire che sia innamorata delle mie idee (o almeno non necessariamente), vuol dire che sono proprio convinta di quello che dico.

Oggi, dopo circa dieci minuti verrete a scoprire, cari amici di Planet Magazine, che quello che voglio affermare è che “Giuseppina, la signora che parlava italiano” di Thomas Scalera, scaricabile gratuitamente a questo link (sull’interessante piattaforma di free literature sharing “20 lines”) è un piccolo denso gioiello.

Ad una storia che potrebbe da sola valere tre romanzi di medie dimensioni, si unisce una perfetta e coinvolgente padronanza della lingua italiana che Thomas Scalera regala ai suoi lettori con levità.

Uno stile colto, puntuale, attento, (emergente dalla scelta precisa dei vocaboli, l’uso profittevole della punteggiatura, perfino da una certa eleganza nel succedersi del ritmo delle frasi), si bilancia infatti con un atteggiamento dello scrittore Scalera discorsivo, colloquiale, quasi amichevole.

Quasi, si potrebbe dire, familiare.

Perché di questo, del resto poi, tratta La signora che parlava italiano: di una incredibile storia familiare, appena tratteggiata, nelle parole e nel racconto.

Nel delineare di una donna “larger than life”, come dicono gli americani, Giuseppina, appunto, che pur collocata temporalmente dal racconto in uno spazio socio-culturale-storico ben definito e determinato, è in realtà una sorta di archetipo dell’eroina materna di stampo classico: bella, sofisticata, semplice, dedita, ma pugnace, pugnace sino alla morte ed oltre la morte, per difendere quello che di più caro ha per se stessa.

Non se stessa, ma suo figlio nascituro, poi nato, poi addirittura riprodottosi, anche quando lei, Giuseppina , ci si fa intuire non esista più da anni.

E poi lì a tratteggiare con lievità altri topoi letterari che non sono esercizio di maniera, ma cuore della storia (i porci che non sono maiali e i maiali che non sono porci), le invidie omicide, la serva fedele che è sorella e riporta alla vita. E tante altre cose che un critico non può certo scrivere e che un lettore deve solo vivere.

Io credo che un racconto così, che l’app sulla quale è scaricabile, ripeto, gratuitamente, consiglia di leggere in cinque minuti, regali invece ore di riflessioni, ore di rimandi, ore di riletture.

Ore di ideali conversazioni con Giuseppina, la signora che parlava italiano e che seppure fosse mai esistita io non avrei mai potuto conoscere.

Ti ringrazio ancora una volta Th, per avermela invece regalata.

Ora è con me, insieme a Madame Bovary, ad Atreyu, al Matto, Harry Potter, alle perle di David Foster Wallace e a tutti gli altri personaggi che ho scelto nel tempo abitassero la mia mente contorta.

Jurassic World, mostri genetici e dinosauri ammaestrati per il nuovo, e speriamo ultimo, capitolo della saga

Dopo aver visto il film, sono lieta di annunciare che Jurassic World è il miglior sequel che ci si poteva aspettare! Il che sarebbe fantastico, ma una valutazione tanto felice è possibile solo perché i primi due seguiti erano veramente pessimi. Questo nuovo lungometraggio non è all’altezza del mitico capostipite della saga ma è comunque meglio dei due obbrobri che l’hanno preceduta.

Cerchiamo di non essere troppo cattivi: il film non è completamente da buttare. Innanzitutto siamo stati piacevolmente colpiti dai buoni effetti digitali grazie ai quali le creature protagoniste hanno preso vita. Sono poi da sottolineare alcune singole scene che riescono ad intrattenere e a centrare il segno, regalando al pubblico delle sequenze d’azione mozzafiato.

Purtroppo però un paio di scene ben orchestrate e un buon comparto grafico non fanno un film, specialmente se questo è tenuto in piedi da una sceneggiatura che fa acqua da tutte le parti, lasciatecelo dire.

Un’altra nota dolente è il cast poco incisivo, con personaggi decisamente debolirispetto ai protagonisti caratteristici del primo film della saga. In questa pellicola i comprimari superficiali e poco credibili non sono però solo gli umani, ma proprio quelle creature che sono la colonna portante del film: i dinosauri. Dovrebbero essere i veri protagonisti, ma rappresentano purtroppo una grossissima pecca a causa delle scelte poco felici in fase di creazione.

Infatti, oltre alla pessima decisione di continuare lo spunto di Jurassic Park III per quanto riguarda i Velociraptor, siamo rimasti delusi proprio dall’Indominus Rex, la fantomatica creatura geneticamente modificata che rappresenta la grossa novità introdotta nella saga da Jurassic World ma che crediamo fortemente sia del tuttopriva di carisma.

Questo film, benché sia visivamente di forte impatto, è riuscito a prendere un mito della nostra infanzia e calpestarlo senza pietà. Di certo, i tre o quattro riferimenti scialbi al capolavoro del ’93 non riusciranno a riportare in vita quella magia capace di colpirci nel profondo che era stata protagonista del primo film, grazie al quale questa saga è diventata un cult.

La videorecensione di Valentina Serafin

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Mad Max: Fury Road, la follia esplosiva di George Miller

Il 14 Maggio arriva al cinema Mad Max: Fury Road, l’esplosivo film di George Miller che, a distanza di trent’anni riporta sul grande schermo la leggenda degli anni ’80 con una nuova veste estetica e uno stile accattivante e coinvolgente. “Voglio trascinare via gli spettatori dalle loro poltrone e coinvolgerli in un viaggio intenso e turbolento, lungo il quale potranno conoscere i personaggi e gli eventi che hanno portato a questa storia” ha dichiarato il regista. E ci è riuscito.

Oltre quarant’anni dopo la fine del mondo, la Cittadella è l’unica comunità sopravvissuta guidata dall’inquietante Immortan Joe, che vive avvolto dai canyons, seguendo regole e principi alquanto discutibili. Max Rockatansky, interpretato da Tom Hardy, vaga da solo per la Terra Desolata, convinto che questo sia l’unico modo per sopravvivere, fino a quando viene catturato dai War Boys e ha inizio un’avventura esplosiva e frenetica al fianco dell’Imperatrice Furiosa, interpretata da Charlize Theron. Le “potenziali madri” giovani e belle che Immortan Joe utilizza per assicurare al mondo una prole forte e sana a discapito della loro volontà, si ribellano alla condizione di schiave e Furiosa le aiuta a fuggire, sperando in un luogo sicuro che può proteggerle da quella violenza e perfidia. Nella sua fuga dalla Cittadella, Max resta coinvolto in questa missione e non ha altra scelta che affiancare l’Imperatrice nella sua sfida.

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Fin dalla prima scena il ritmo del film di Miller è frenetico ed esplosivo, e il pubblico viene coinvolto in una corsa a tutta velocità, senza alcun tipo di ripensamento. L’ambientazione post-apocalittica suggestiva e desertica fa da sfondo ad un’azione ricca di adrenalina e follia, in cui i personaggi si muovono senza freni, tra inseguimenti, scontri corpo a corpo e confronti sanguinosamente diretti. Si percepisce un processo creativo insolito per la realizzazione di questo film, che attinge al mondo dell’arte, del fumetto e della graphic novel, sia nella caratterizzazione dei vari personaggi, sia nella resa dei mezzi di trasporto, delle armi e dei luoghi, sospesi tra una cruda realtà ed un immaginario affascinante intriso di fantascienza e storia. Ogni inquadratura trasuda creatività e il film sembra assumere la forma di un’azione visuale, in cui l’estetica è unica e affascinante, e la musica accompagna la storia con una carica emotiva data dalle percussioni incisive, e la chitarra elettrica penetrante. Potremmo definire Mad Max: Fury Road un’avventura action rock che corre senza sosta sui fili della follia e dell’eccesso, diventando una pura fonte di intrattenimento da non perdere.

TRAILER

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TELL ‘EM I’M GONE – Cat Stevens/Yusuf Islam – RECENSIONE

 Tell ‘Em I’m GoneCat Stevens ritorna alla grande sulla scena musicale, dopo un lungo percorso interrotto quasi otto anni fa con An other cup. Blues vissuto, sonorità afroamericane, rock, rabbia, personalità: non ci sono altri modi per descrivere Tell ‘Em I’m Gone, un disco carico di carisma e abbellito dalla ruggente timbro di voce di Yusuf Islam, che sembra aver finalmente ristabilito un rapporto pacifico con il suo alter ego, Cat Stevens.

Tell ‘Em I’m GoneDieci brani in scaletta, dieci brani inediti e cinque cover selezionate con molta cura, rendono Tell ‘Em I’m Gone un viaggio introspettivo, un sonoro abbraccio caldo che riporta alle sonorità dell’epoca d’oro del blues e della musica in generale. L’album è stato prodotto a quattro mani da Yusuf e Rick Rubin, per poi essere mixato da Paul Samwell-Smith, storico protagonista di un’epoca andata, ed oggi, ritornata. Un album che brilla di nomi noti: Richard Thompson, Charlie Musselwhite, Bonnie ‘Prince’ Billy, Tinariwen e il chitarrista Matt Sweeney, tra le file dei collaboratori di questo interessante, quanto intrigante, progetto musicale.

TRACKLIST:

I was raised in Babylon
Big boss man
Dying to live
You are my sunshine
Editing floor blues
Cat & the dog trap
Gold digger
The devil came from Kansas
Tell’em I’m gone
Doors

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Tell ‘Em I’m Gone

Recensione: Bryan Adams – Tracks of my years (2014)

bryan-adamsAvreste mai pensato di sentire un big della musica internazionale, reinterpretare brani storici di altri artisti della scena mondiale? Ebbene si: di ritorno sulle scene musicali dopo sei anni di taciturna assenza, Bryan Adams fa parlare di se con il suo nuovo album Tracks of my years. Un titolo poco originale, nascosto sotto certi aspetti dietro un velo di banalità, potrebbe lanciare un messaggio a tutti i fans dell’artista canadese, conosciuto in tutto il mondo e amato da milioni e milioni di persone: che il suo battito artistico si sia spento per sempre? Questo non ci è dato saperlo, ma dietro un lavoro simile potrebbe esserci tanto una trovata commerciale quanto un’imposizione discografica. Queste sono alcune supposizioni che, dietro il nome Bryan Adams, possono essere anche tralasciate e perdonate.

track of my yearsUn album nostalgico che parla di se già dalla copertina, che ritrae un giovanissimo Bryan Adams dai capelli lunghi. In tutto sono undici i brani proposti in Tracks of my years: dieci cover dei successi intramontabili della scena musicale internazionale, più un inedito, She knows me, che regge a pieno merito il confronto con le hits storiche, entrando a pieni voti nei brani più piacevoli della sua discografia.

Beatles, Ray Charles, Chuck Berry, Bob Dylan, Beach Boys; questi solo alcuni degli artisti approfonditi da Bryan che, all’altezza dei suoi colleghi, interpreta alla perfezione brani come Any time at all, I Can’t stop loving you, Lady lady lay, Sunny, di Bob Hebb, God only knows. Questi titoli, giusto per citare i brani più famosi presenti nell’album, riescono in un certo modo a comporre un quadro generale dell’ispirazione di Bryan Adams, che in questo album, oltre all’inedito, ha preferito non proporre nessuna delle sue hit storiche, lasciando spazio ai suoi brani preferiti che spaziano dagli anni ’50, fino agli anni ’70.

Un risultato finale più che apprezzabile.

TRACKLIST

Any time at all
She knows me
I can’t stop loving you
Kiss and say goodbye
Lay lady lay
Rock and roll music
Down on the corner
Never my love
Sunny
The tracks of my tears
God only knows

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track of my years

Recensione The Fire – Bittersweet

The FireUn passo in avanti per i The Fire, che il 30 settembre hanno lanciato il loro ultimo EP intitolato Bittersweet. Per chi non conoscesse i The Fire, sono un gruppo alternative rock italiano fondato nel lontano 2005 da Olly Riva, produttore del progetto Rezophonic, con la formazione dei Madbones. Alle spalle anni e anni di gavetta musicale e numerose impronte lasciate sui palchi più grandi d’Europa: Deep Purple, Alice Cooper, Fall Out Boy, Kaiser Chiefs, Iggy Pop, giusto per citarne alcuni.
bittersweet
Conciso, creativo, brillante, malinconico e decisamente rock, Bittersweet riesce a conciliare in modo estroso le ballate più cupe con il rock più distorto, creando un mix micidiale di adrenalina e nostalgia. L’album, molto leggero, è formato da tre brani inediti e tre cover, il tutto rivestito dal classico sound ruggente marchiato The Fire e graffiato dalla voce impeccabile di Olly, front-man della band. L’album viene aperto dall’esplosiva Bittersweet, la title track hard rock di cui ci si innamora al primo ascolto e che, a tutti gli effetti, lega questo EP allo stile nativo dei The Fire. Segue Roxanne, cover del famoso brano dei The Police, eseguito in maniera impeccabile e pompato nei punti giusti. Con She’s The One, la sensazione è quella di essere catapultati in un’altra dimensione sonora: sonorità aperte, ritmo pop, ritornello ipnotico. Cupa e introspettiva è Lonely Hearts, un brano che emerge come un fiore nel deserto grazie al suo mood elettronico. Egregia è la reinterpretazione di Dr. Rock, celebre brano dei Motorhead, seguito da Train In Vain, un tributo, acustico e molto minimalista, ai The Clash. Un album che sicuramente ha dato spazio ai The Fire di esprimere la loro innata e confermata creatività.

Questa è la tracklist dell’album Bittersweet:

01. Bittersweet
02. Roxanne
03. She’s The One
04. Lonely Hearts
05. Dr Rock
06. Train In Vain

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Arriva in Italia “I Guardiani Della Galassia”

Nell’articolo Guardians of the Galaxy: Aspettando il 22 ottobre , Pino Cuozzo ha dato il primo e abbondante assaggio del film I Guardiani della Galassia. In questo secondo appuntamento approfondiamo ancor di più la trama e i dettagli del film rivelazione dell’estate americana.

Girovagando nello spazio dal 1988, dopo essere stato rapito da pirati dello spazio, Peter “Star Lord” Quill, diventato oramai adulto, ha a che fare con lavori sporchi fin quando il destino non decide di metterlo di fronte ad una minaccia che rischia di compromettere le sorti di tutta la galassia. Sul suo cammino incontrerà Gamora, un aliena, Drax il Distruttore, il procione geneticamente mutato Rocket e Groot, un albero-umanoide.

Dopo il grandissimo successo riscosso negli Stati Uniti, I Guardiani della Galassia si prepara per approdare in Italia, tra le critiche molto positive del pubblico italiano. Adattatamento del fumetto omonimo di casa Marvel, il film riesce a conciliare un target molto ampio: trentenni e giovani adolescenti sembrano essere stati attirati da questo mix di irriverenza e sarcasmo.

Prodotto dai Marvel Studios e distribuito dalla Walt Disney Company, I Guardiani della Galassia è un film di Gunn e Nicole Perlman. Tra i protagonisti Chris Pratt, Zoë Saldaña, Dave Bautista, Vin Diesel, Bradley Cooper, Lee Pace, Michael Rooker, Karen Gillan, Djimon Hounsou, John C. Reilly, Glenn Close e Benicio del Toro.

GUARDA IL TRAILER DE “I GUARDIANI DELLA GALASSIA”

RECENSIONE “The Equalizer”

The-Equalizer-Official-Photo-Denzel-Washington-Chloe-MoretzUn ex agente della Cia in pensione che lavora come impiegato in un supermercato del fai da te: questo è Robert McCall, il “nonno” a detta dei suoi colleghi di lavoro; un uomo solitario con l’abitudine di cenare senza compagnia al diner sotto casa. La vita di Robert sarà scossa dall’entrata di Alina, giovane prostituta russa sotto il controllo di Slavi, quest’ultimo causa dell’innesco omicida nel cuore di Robert.

 

cdn.indiewire.com

Dopo che Slavi riduce in fin di vita lapovera Alina, in Robert, accecato dalla rabbia, si risvegliano i suoi sensi primordiali, che lo spingono ad eliminare uno dopo l’altro tutti i membri della gang russa, a partire proprio da Slavi. Durante la scalata omicida, McCall si scontrerà con Teddy, un killer psicopatico, e con Vladimir Pushkin (riferimento non puramente casuale a detta di Antoine Fuqua), il suo capo. Ma chi, o cos’è Robert McCall in realtà? È un equalizer, una sorta di vigilantes con l’obbiettivo di ripristinare l’equilibrio della giustizia.

equalizer_aUscito nelle sale italiane il 9 ottobre 2014, The Equalizer, diretto egregiamente da Antoine Fuqua, è un film basato sulla serie televisiva degli anni ’80“Un Giustiziere a New York, The Equalizer”, ha come protagonista un uomo oramai non più giovane, che nasconde il suo vero essere dietro una vita apparentemente monotona e anonima. Interpretato da un eccellente Denzel Washington, Robert McCall trascorre le notti tra libri e sensi di colpa, ingannando in qualche modo la sua indole di sanguinario giudiziere.

 

The Equalizer - 2014The Equalizer è un film di puro intrattenimento, con abbondanti scene violente ed una sceneggiatura, sebbene poco originale, abbastanza articolata. Denzel Washington, attore più che mai azzeccato per questa pellicola, riesce a mostrare a 360° il suo grande talento di uomo d’azione. Carismatico, energico, esplosivo, Danzel Washington è sicuramente il perno portante di questa pellicola; in confronto, gli altri attori presenti, sembrano comparse. Perfetta nei panni di Alina, Chloë Grace Moretz. Tanto espliciti quanto voluti sono i riferimenti a Vladimir Putin e agli aspri rapporti tra Stati Uniti e Russia.

Un film sicuramente interessante e intenso, meritevole di un 7 e consigliato agli amanti del genere.

The Equalizer – Il Vendicatore. Titolo originale The Equalizer. Azione, durata 131 min. – USA 2014. Un film di Antoine Fuqua. Con Denzel Washington, Marton Csokas, Chloë Grace Moretz

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RETROREVIEW – Recensione Risky Business

Una volta o l’altra devi imparare a dire”ma che cazzo!” e poi a buttarti…ficcati bene in testa una cosa, qualche volta nella vita è utile saper dire “ma che cazzo!” Se dici “ma che cazzo!” ti senti subito più libero e quando sei libero impari ad acchiappare le occasioni…e quando acchiappi le occasioni il tuo futuro è assicurato! E finchè non riesci a dirlo non combinerai mai niente…

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Joel (interpretato da Tom Cruise) è un brillante studente diciassettenne, pronto per entrare nel mondo dell’università. Vive una vita agiata nell’epoca del perbenismo americano, quel perbenismo che nasconde ogni qual tipo di eccesso per mirare dritti alla punta della piramide sociale. Nel momento in cui avrà a disposizione la casa vuota, grazie all’assenza dei genitori partiti per una lunga vacanza, la vita di Joel prenderà una piega diversa da ogni sua aspettativa. Sesso e prostituzione diventeranno il perno attorno al quale dondolerà il destino di Joel; l’incontro con Lana (interpretata da Rebecca De Mornay), giovane squillo di lusso, sarà l’occasione per Joel di creare una redditizia attività di incontri “hot”. La calda coppia, però, dovrà fare i conti con Guido, protettore italo americano.

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Risky Business – Fuori i vecchi…i figli ballano, pellicola del 1983 made in USA, è un film scritto e diretto da Paul Brickman. Graffiante, ironico e all’avanguardia, Risky Business è una sovversione di idee e concetti che suonano come barzellette. Paul Brickman è riuscito in un solo colpo a mettere in risalto quel finto perbenismo che ha caratterizzato la società statunitense negli anni che furono, e nello stesso tempo ha reso questa sovversione un punto di comica riflessione sul bigottismo americano. La pungente comicità, mischiata con una buona direzione della fotografia, una trama niente male ed una sceneggiatura scorrevole, fanno di questa pellicola un classico della cinematografia a stelle e strisce.

risky_business1Risky Business, nonostante sia un film degli anni ’80, guardato a distanza di trent’anni rimane comunque attuale; la lungimiranza di questa pellicola è forse una delle caratteristiche più sorprendenti. Inoltre, Risky Business, è il film che ha portato al successo un giovane e talentuoso Tom Cruise, affiancato da una più che mai azzeccata Rebecca De Mornay, perfetta per il ruolo di Lana. Se, da una parte, il vecchio stampo americano viene condannato, da un’altra parte è stato osannato, per fini meramente commerciali, l’aspetto stereotipato del vivere americano, anche se nel complesso, come in altre pellicole, non crea un eccessivo fastidio. Immortale è la scena nella quale Tom Cruise balla come se fosse impossessato, sulle note di Old Time Rock & Roll; questa parte del film, che meglio descrive la vita del “topo” quando i “gatti” non ci sono. Favolosa è anche la scena girata in metropolitana, scena in cui i due protagonisti possono abbandonarsi senza pudore tra le braccia degli istinti.

Risky Business è un film poco impegnativo, divertente e graffiante, meritevole di un 7 come voto finale.

Risky Business – Fuori i vecchi… i figli ballano. Titolo originale Risky Business. Commedia, durata 96′ min. – USA 1983. Un film di Paul Brickman. Con Tom Cruise, Curtis Armstrong, Rebecca De Mornay, Joe Pantoliano, Richard Masur.

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