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Cine-Concerto di Harry Potter a Roma!

L’Associazione Orchestra Italiana del Cinema è lieta di annunciare in prima nazionale il Cine-Concerto Harry Potter e la Pietra Filosofale che si terrà nei giorni 2, 3 e 4 dicembre 2016 presso l’Auditorium Conciliazione di Roma.

Il film-concerto di Harry Potter è un’altra fantastica esperienza tratta dal mondo magico di J.K. Rowling: la prima opera della serie, realizzata nel 2001 e nominata per sette BAFTA e tre premi Oscar, tra cui Miglior colonna sonora originale al 74° Academy Awards, segna ora il debutto della “Harry Potter Film Concert Series” un tour mondiale di Cine-concerti lanciato da CineConcerts e Warner Bros. Consumer Products a partire dallo scorso giugno e che ha già fatto registrare il sold-out all’Hollywood Bowl e in tutti i più importanti teatri in cui è stato annunciato.

Il tour italiano, che vedrà coinvolti sul palco 80 musicisti della OIC, mostrerà al pubblico degli appassionati potteriani l’ambizioso progetto di riformattare ogni pellicola della saga, in funzione del format “Cine-Concerto”. La formazione eseguirà dal vivo la straordinaria colonna sonora del premio Oscar John Williams, in sincrono con le immagini, i dialoghi e gli effetti speciali del film proiettato su uno schermo in alta definizione di ben 12 metri. I biglietti per Harry Potter e la Pietra Filosofale saranno in vendita a partire dal XXXX sul sito www.ticketone.it

A dirigere l’Orchestra sarà Justin Freer, acclamato specialista del genere “film with live orchestra” nonché presidente e produttore della CineConcerts: “La serie di film di Harry Potter è uno di quei fenomeni culturali che capitano una volta nella vita e che continuano a deliziare milioni di fan in tutto il mondo. È con immenso piacere che offriamo, per la prima volta in assoluto, l’opportunità di ascoltare la premiata colonna sonora eseguita dal vivo da un’orchestra sinfonica, il tutto mentre l’adorato film viene proiettato in simultanea sul grande schermo. Sarà un evento indimenticabile”.

Per Brady Beaubien, co-produttore dell’intero progetto “Harry Potter è sinonimo di euforia in tutto il mondo. Speriamo che, eseguendo questa musica incredibile in simultanea con il film intero, il pubblico si diverta a fare ritorno in questo mondo e a riconfrontarsi con le tante, magnifiche personalità e avventure che lo abitano.”

Così Marco Patrignanipresidente dell’Orchestra Italiana del Cinema e produttore dello spettacolo in Italia: “Siamo orgogliosi di portare in Italia questa nuova e straordinaria forma di spettacolo rappresentata dal Cine Concerto. Il ruolo della musica nel film è determinante e questa è un’occasione unica per scoprire come il talento di un grande compositore come John Williams possa contribuire al successo di un’opera cinematografica. E’ altresì straordinario poter ammirare i singoli musicisti mentre creano un unico grande suono e scoprire i colori e le suggestioni che ogni strumento è capace di creare in relazione a ogni momento del film. Harry Potter è una delle opere editoriali e cinematografiche di maggior successo della storia e credo che questo cine-concerto possa rappresentare una occasione imperdibile per tutte le età, di rivivere o scoprire, dall’inizio, questa appassionante avventura e lasciarsi trasportare dalla magia della musica.

CineConcerts è una delle maggiori società produttrici di esperienze musicali dal vivo accompagnate da mezzi visivi. Fondata dal produttore e direttore d’orchestra Justin Freer e dal produttore e scrittore Brady Beaubien, ha intrattenuto milioni di spettatori in tutto il mondo grazie a presentazioni musicali che ridefiniscono l’evoluzione delle live performance. Alcune delle recenti esperienze di musica dal vivo includono Il gladiatore, Il padrino, La vita è meravigliosa, DreamWorks Animation In Concert,Star Trek: The Ultimate Voyage 50th Anniversary Concert Tour e Colazione da Tiffany. Justin Freer è diventato in poco tempo uno dei direttori di colonne sonore più ricercati, con un lungo elenco che va dai grandi live sinfonici alle proiezioni olografiche. Ha fatto la propria comparsa in alcune delle maggiori orchestre del mondo, incluse la Chicago Symphony Orchestra, la London Philharmonic Orchestra, la New York Philharmonic, la Philadelphia Orchestra, la Philharmonia Orchestra, la San Francisco Symphony e la Sydney Symphony Orchestra. Dalle proiezioni di film con orchestre dal vivo agli eventi sportivi con musiche interattive, fino alle programmazioni di vacanze in ambientazioni originali 3D, CineConcerts si trova in testa all’intrattenimento dal vivo.

Intervista a Nicola Guaglianone, l’uomo che sta dietro a “lo chiamavano Jeeg Robot”

[show_avatar email=1 user_link=authorpage avatar_size=50]Nicola Guaglianone è uno scrittore creativo romano che a noi piace molto. Insieme a Gabriele Mainetti è l’uomo dietro il “robot” del film evento “lo chiamavano Jeeg Robot” che esordisce OGGI (25 febbraio) in tutte le sale italiane. Ci ha risposto con molta cordialità appena lo abbiamo contattato e tra me e lui (siamo coetanei) è iniziata subito l’empatia nerd anni 80, l’ho riassunta tutta qui, ma siamo andati anche in radio e, dopo aver letto TUTTA l’intervista (non fate i furbi) potrete anche ascoltare la sua voce, ci ha svelato tante interessanti novità.

Nicola Guaglianone, sceneggiatore di Lo Chiamavano Jeeg Robot
Nicola Guaglianone, sceneggiatore de Lo Chiamavano Jeeg Robot
T.: Caro Nicola, tu come me fai parte di quella generazione cresciuta nel mito dei cartoni animati giapponesi (anime) che hanno invaso il nostro paese tra la fine degli anni 70 e la metà degli anni 80. Come è nata l’idea di questo progetto? Come l’avete “assemblato” tu e Gabriele (Mainetti) ?

N.G.: Come hai detto tu, siamo quella generazione cresciuta a “pane e Bim Bum Bam”, siamo quella generazione che veniva lasciata ore e ore davanti alla TV, che ci faceva un po’ da balia. Quando io e Gabriele abbiamo iniziato a pensare a LCJR abbiamo fatto riferimento a quello che era il nostro immaginario, il nostro rapporto col MITO.

Il MITO è quello che porta un po’ del nostro peso sulle sue spalle, quel mito che è stato il nostro compagno di giochi da bambini e che abbiamo cercato di riadattare ad una realtà prettamente italiana.

La sfida è stata proprio quella di unire dei generi che, per definizione, non si appartengono. Da un lato il mito degli eroi (giapponesi o USA) e dall’altro il cinema che abbiamo sempre amato, penso a Sergio Leone, Pasolini, Calligari, che, quest’ultimo, con Amore Tossico ci ha influenzato non poco.

Abbiamo cercato di prendere due immaginari ed unirli insieme, cercando un’armonia.

Foto di Emanuela Scarpa
Foto di Emanuela Scarpa
T.: Perché la scelta della periferia romana per il film?

N.G.: Anche per Basette e Tiger Boy noi abbiamo attinto al mito (Lupin e l’Uomo Tigre) ma lo abbiamo adattato ad un ambiente tutto italiano, utilizzandolo per raccontare la realtà di una periferia spesso dimenticata. Abbiamo usato il MITO per raccontare le storie degli ultimi, degli emarginati, di coloro che spesso sono dimenticati. E in lo chiamavano Jeeg Robot questo tema ritorna più forte che mai.

La mia esperienza di lavoro in un centro di integrazione sociale a Tor Bella Monaca mi ha dato la spinta e la voglia di parlare di questa parte della capitale che in pochi raccontano.

Raccontare quel tipo di umanità mi ha sempre stimolato.

L’emarginazione è a 2 ore dal centro…

T.: Jeeg Robot c’entra poco con il film, giusto?

N.G.: Io non direi, Jeeg c’entra poco come c’entrava poco Lupin con Basette o Tiger Man con Tiger Boy, abbiamo utilizzato il mito, come ti ho detto prima, per raccontare storie umane. In realtà è proprio grazie al mito si può raccontare questa storia.

Nello specifico Alessia usa Jeeg Robot per sfuggire ad una realtà difficile per lei, per il suo trascorso e per quello che ha subito fin dalla tenera età.

D’altro canto nello stesso tempo la fragilità di Alessia è il mezzo attraverso il quale un uomo supera la sua chiusura verso il mondo.

Lo chiamavano Jeeg Robot è la storia della rieducazione sentimentale di un misantropo che pensa solo a se stesso ma che grazie all’amore di una donna arriverà a quel principio morale che ispira molti supereroi e cioè che “da un grande potere derivano grandi responsabilità”.

T.: I tre personaggi principali della storia, a loro modo dei giganti. Enzo, Alessia e lo Zingaro ma come mai questo riferimento alle icone pop italiane anni 80?

N.G.: Volevamo creare un cattivo che non fosse un villain e basta, ci piaceva dotarlo di fragilità, la fragilità di un uomo che si sente sempre insoddisfatto, che non si sente mai abbastanza, sempre alla ricerca di una “grande occasione” che gli è sfuggita dalle mani una volta. Un uomo legato al passato, legato ad un appuntamento mancato.

Se da un lato la “svolta” di Enzo è una svolta principalmente sentimentale per lo Zingaro, invece, svoltare significa guadagnarsi il rispetto degli altri, e questo gli farebbe compiere qualsiasi atto.

T.: Avete sdoganato il supereroe italiano, andando anche al di là del Ragazzo Invisibile di Salvatores, come prevedi che risponderà il pubblico?

N.G.: Mi auguro che ci sia una risposta forte del pubblico, calorosa e numerosa. Nelle proiezioni a cui ho assistito ho visto tantissimo entusiasmo, mi è sembrato davvero di vedere quei film di Bud Spencer e Terence Hill, dove il pubblico partecipava con grande trasporto.

Questo film è intrattenimento puro ma è anche un film duro, dove si intrecciano generi e sottogeneri, c’è una storia d’amore legata ai 2/3 del racconto. Molto della trama gira su questo perno.

T.: Lo chiamavano Jeeg Robot avrà un seguito?

N.G.: L’idea c’è, abbiamo tracciato un percorso, ora la sfida è trovare un altro tema forte, fare un racconto che sia prettamente italiano, perché LCJR è un film assolutamente italiano, un film dove ci si relaziona al potere nella maniera assolutamente e totalmente italiana.

Accompagneremo le persone in un viaggio, “cosa succederebbe ad un ladruncolo di periferia italiano se all’improvviso si ritrovasse, per caso, un superpotere?”.

Dobbiamo dare la connotazione di unicità alla prossima storia, deve essere un film che potrebbe essere girato solo in Italia.

Ho già scritto la bozza di un soggetto che potrebbe essere il nostro prossimo lavoro, ma, in ogni caso, ci confrontiamo e cerchiamo sempre di tirare fuori, come per i cortometraggi, qualcosa di unico.

Se riusciremo (io e Gabriele) a conservare il “pischelletto”, il fanciullino, che è in noi, allora continueremo il progetto, altrimenti lo accantoneremo.

T.: Quanto ha bisogno in questo momento l’Italia di un supereroe?

N.G.: C’è sempre bisogno di miti per crescere, poi è importante, dopo andare avanti con le proprie gambe.

Se devo dire la mia, credo che in questo momento in Italia manchi la MERITOCRAZIA, parlando del mio lavoro, mi piacerebbe che un giovane che scrive in questo momento possa emergere. Per un giovane, in questo momento, fare lo scrittore in Italia è difficilissimo. Per fortuna oggi, con internet, con costi limitati, o quasi pari a zero, riesci farti conoscere, e alla fine, se sei bravo, perché non credo nei geni incompresi, vieni fuori.

T.: Cosa vogliamo dire ai nostri lettori per concludere questo nostro incontro?

N.G.: Andate a vedere il film, “correte ragazzi laggiù”, al cinema.

Siamo d’accordo, CORRETE AL CINEMA STASERA,  non ve ne pentirete.

lcjr

L’intervista su Radio OIM:

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“Hai visto Lucio? Ce l’abbiamo fatta !”. Gli Stadio vincono Sanremo nel segno di Dalla

Un sodalizio che ha certamente raggiunto il suo apice sabato scorso ma che rappresenta molto più di una vittoria: gli Stadio vincono il Festival di Sanremo nel segno di Lucio Dalla. Una storia appassionante, un mix di emozioni reciproche artista/artisti-pubblico che resta nei cuori degli ascoltatori. Gli Stadio, composti nella formazione originale, da Gaetano Curreri (voce e tastiera), Giovanni Pezzoli (batteria), Roberto Drovandi (basso elettrico), Andrea Fornili (chitarra) hanno vinto la prestigiosa e più importante manifestazione musicale nazionale con il brano “Un giorno mi dirai”. stadioLi immaginiamo tempo fa in compagnia di Lucio in qualche bar bolognese: “Vedrai, vedrai… un giorno ci dirai”, a scommettere sul loro destino inevitabilmente legato a quello del grande cantautore.dalla4 Fu proprio Dalla a dare loro il nome “Stadio”. Era la fine degli anni ’70 e gli Stadio erano il gruppo spalla di Lucio Dalla. Il tour ‘Banana Republic’, che vede Dalla al fianco di Francesco De Gregori, è il trampolino di lancio della band che da lì in poi inizierà a mietere grandi successi. La prima esperienza degli Stadio con Lucio risale però all’album Anidride solforosa del 1975 seguita poi dall’incisione di “Com’è profondo il mare”. Nel 1981 nascono ufficialmente gli Stadio che accompagneranno ancora una volta Dalla nella sua tourné estiva proponendo anche le loro prime due canzoni:dalla3 ‘Grande figlio di puttana’ e ‘Chi te l’ha detto’. Le due canzoni furono inserite anche nella colonna sonora del film ‘Borotalco’ di Carlo Verdone. Nel 1983 esce il 45 giri che segnerà la loro carriera: Acqua e sapone, per l’omonimo film sempre di Carlo Verdone. Ormai gli Stadio sono una band importante del panorama musicale italiano e l’anno seguente, nel 1984, si esibiscono per la prima volta all’Ariston. Purtroppo arriveranno ultimi con il brano “Allo stadio”. Dall’esperienza sanremese verrà fuori l’Album “La faccia delle donne”. Ma il riscatto arriva pochi mesi dopo. Alla fine dello stesso anno esce infatti “Chiedi chi erano i Beatles”, vera e propria pietra miliare del repertorio della band. Un successo clamoroso. Un brano immancabile nei loro tour e concerti. Nel febbraio 1986 gli Stadio tornano nuovamente a Sanremo con il brano Canzoni alla radio, con la quale per la seconda volta consecutiva si classificano ultimi. Nell’album omonimo che segue sono incluse Lunedì Cinema, già da alcuni anni sigla di apertura di Lunedifilm, rubrica del lunedì sera dedicata da Rai Uno alla trasmissione di grandi film, Incubo assoluto (scritta per loro da Roberto “Freak” Antoni) e Giacche senza vento. stadio4dalla 1Nello stesso anno gli Stadio accompagnano nuovamente Lucio Dalla nel grande e epico tour negli USA “DallAmeriCaruso”. Ennesimo trionfo del cantautore bolognese accompagnato dai fedelissimi Stadio. Nel 1987 esce la raccolta “Canzoni alla Stadio”. Gli anni ’90 sono anni di intense collaborazione (da Bergonzoni, che tura i titoli, a Luca Carboni, Roberto Vecchioni, Francesco Guccini, Edoardo Bennato, Vasco Rossi e Saverio Grandi, quest’ultimo ancora oggi loro autore principale). Nel 1991 gli Stadio vincono il loro primo “disco d’oro” con il singolo Generazione di fenomeni sigla del telefilm di Rai 2 I Ragazzi del muretto che anticipa album Siamo tutti elefanti inventati (ritenuto dai critici il più riuscito insieme a La faccia delle donne). stadio3dalla5Nel 1999 avviene la loro terza partecipazione al Festival di Sanremo con il brano Lo zaino scritto per loro da Vasco Rossi: stavolta arriveranno quinti. Ad inizio anni 2000, esattamente nel 2002 arriva uno dei loro ultimi grandi successi: “Sorprendimi”, subito in vetta alle classifiche. Il brano è presente nell’album“Occhi negli occhi” e ancora oggi è considerata una delle più belle canzoni del gruppo. Nel 2007 ancora una partecipazione a Sanremo con la canzone “Guardami”. Nel 2012 il gruppo festeggia i 30 anni di carriera. Intanto album, concerti, tour. E infine la vittoria, la più dolce , la più gradita. Non è stato certo un caso se nella serata sanremese dedicata ai duetti gli Stadio si sono presentati con una bellissima cover de “La sera dei miracoli”.dalla2 stadio5

Lucio torna sempre. Una sua foto (con la quale gli Stadio dialogano) alle loro spalle accompagna l’esibizione. Per l’occasione, il gruppo si è riunito nella sua formazione originale, da Ricky Portera col cappello da Generale Custer a Marco Nanni, seduto in platea. Un successo che premia un sodalizio quarantennale che ha donato tanto alla musica italiana. stadio2Sul viso degli Stadio nel corso della premiazione sembrava stampa la frase: “Hai visto Lucio? Ce l’abbiamo fatta!”. Si, alla fine gli Stadio (e Lucio) hanno vinto.

David Bowie, l’ultima nota del “Duca Bianco”

Grande commozione per la scomparsa del “Duca Bianco”. Anche per David Bowie, come per tanti altri grandi della musica, più che durante la carriera artistica, è la morte ad aver acceso i riflettori della critica e dell’opinione sulla sua opera. I fan di tutto il mondo hanno appreso con la sua scomparsa della lotta contro il cancro che dopo 18 mesi lo scorso 10 gennaio, a 69 anni, ha fatto calare il sipario sulla sua esistenza. Bowie5L’8 gennaio ironia della sorte, era uscito il suo ultimo album “Blackstar”, un vero e proprio testamento. Mentre impazzano le polemiche circa una sua “morte assistita”, addirittura “pianificata” (Ivo Van Hove, il regista del musical Lazarus, scritto da Bowie, in un’intervista alla radio olandese Nos non eslude che il cantautore possa essere stato aiutato per l’ultimo passo. In attesa di eventuali disposizioni testamentarie,si stima che la sua fortuna si aggiri intorno ai 230 milioni di dollari e l’eredità dovrebbe essere divisa tra la seconda moglie Iman, il figlio Dancun, 44 anni, regista, avuto dalla prima moglie Marie Angela Barnett, e la figlia di 15 anni, Alexandria Zahra, nata dal secondo matrimonio), il mondo esprime il suo cordoglio in particolar modo attraverso i social network. Le foto e le canzoni di Bowie praticamente sono ovunque (spesso non senza ipocrisie), meritatamente. La carriera di Bowie è stata folgorante e istrionica, come il personaggio stesso. Vero portavoce della “libertà sessuale”, con le sue maschere e personaggi bisessuali e androgine, Bowie si “trasforma” continuamente, anche artisticamente, cercando sempre nuovi “alter ego”. David Robert Jones (il vero nome di Bowie) nasce a Brixton, Londra, l’8 gennaio del 1947 e pubblica il primo singolo Can’t help thinking about me nel ’66 con i The Lower Third. bowie 3In precedenza, a metà del 1962, David e George Underwood si uniscono ad altri studenti che suonano in un trio chiamato The Kon-rads, che esegue cover. È in questo periodo che, durante un litigio a causa di una ragazza, Underwood colpisce David con un pugno all’occhio sinistro causandogli una midriasi permanente e lasciandolo con una percezione alterata della profondità e della luce. Per questo motivo l’occhio sinistro di David verrà spesso erroneamente creduto affetto da eterocromia. Bowie ha attraversato cinque decenni di musica rock, ora come Ziggy Stardust, ora come Halloween Jack, Nathan Adler o The Thin White Duke (il “Duca Bianco”). Dal folk acustico all’elettronica, passando attraverso il glam rock, il soul e il krautrock, Bowie ha inevitabilmente influenzato molti artisti che sono venuti successivamente alla ribalta. Nel 1967 l’incontro cruciale per la sua carriera, quello con Lindsay Kemp. Dall’artista apprende i segreti della teatralità, della mimica, dell’uso del corpo, elementi fondamentali della sua personalità artistica che si affermerà attraverso le sue tante “personalità”. Dopo tante collaborazioni e fasi “sperimentali” (anche nel cinema e nel teatro), arriva il primo vero successo musicale di Bowie: Space Oddity, uscito l’11 luglio 1969, dopo sole tre settimane dall’incisione e in tempo per l’impresa dell’Apollo 11. La vera esplosione di David Bowie avviene però con l’album The Rise and Fall of Ziggy Stardust and the Spiders from Mars del 1972 (fondamentali per il nuovo corso di Bowie risultarono in quegli anni i contatti con l’artista Andy Warhol, Lou Reed dei Velvet Underground e Iggy Pop, altri miti indiscussi), in cui è accompagnato dal gruppo musicale eponimo The Spiders from Mars, che contiene una enorme fetta dei suoi classici, da Starman a Moonage Daydream, da Rock ‘n’ Roll Suicide a Ziggy Stardust, brani immancabili nei suoi concerti. David Bowie in 1973Lo “Ziggy Stardust Tour”, iniziato il 10 febbraio 1972 al Toby Jug di Tolworth, con 103 date in 60 città, ideato per promuovere l’album omonimo, è un successo clamoroso. Il disco, letteralmente venerato, racconta la storia del primo dei suoi alter ego scenici, Ziggy Stardust, un extraterrestre bisessuale e androgino trasformato in rockstar. Dopo Station to station (’76) e The Thin White Duke (’76). In quell periodo David si trasferì in Svizzera acquistando uno chalet sulle colline a Nord del Lago di Ginevra. Nel nuovo habitat, il suo consumo di cocaina incrementò ancora di più, causandogli seri problemi di salute. Per distrarsi dallo stress dell’ambiente musicale, Bowie iniziò a dipingere, producendo svariate opere post-moderniste. In tour, prese l’abitudine di portarsi un blocco degli schizzi per disegnare quando preso dall’ispirazione, e fotografare qualsiasi cosa colpisse la sua immaginazione. Visitando gallerie d’arte a Ginevra e il Brücke-Museum di Berlino. Successivamente Bowie lascia Los Angeles dove era rientrato e si trasferisce a Berlino. Con la collaborazione di Brian Eno registra tre degli album più importanti della sua carriera, Low, Heroes e Lodger, la cosiddetta “Trilogia di Berlino”. bowie4Nella capitale tedesca riesce a liberarsi dalla cocaina e inaugura gli anni Ottanta con una nuova, clamorosa svolta stilistica che gli frutterà il più grande successo commerciale della sua discografia, Let’s Dance, un raffinato viaggio attraverso il rock’n’roll, il funky, la dance più elegante. Nel 1981 Bowie collabora con i Queen per la preparazione del loro album Hot Space, nello specifico, per la traccia Under Pressure, estratta poi come singolo. Il duetto si rivela un grosso successo, diventando il terzo singolo numero 1 di Bowie in Inghilterra. Sempre nel 1981 David ottiene il ruolo principale nell’adattamento televisivo della BBC dell’opera di Bertolt Brecht Baal. In contemporanea con la messa in onda del programma, viene pubblicato un EP a cinque tracce con brani tratti dal lavoro teatrale incisi a Berlino, intitolato David Bowie in Bertolt Brecht’s Baal. L’anno precedente, il 1980, Bowie fa un’apparizione cameo nel film tedesco Christiane F. – Noi, i ragazzi dello zoo di Berlino, basato sulle esperienze dei giovani tossicodipendenti berlinesi negli anni settanta. La colonna sonora del film è dello stesso Bowie. Tra le altre principali apparizioni cinematografiche si ricordano quella in Furyo di Nagisa Oshima del 1983, Absolute Beginners e Labyrinth del 1986 fino a Basquiat di Julian Schnabel del 1996, nel quale ha interpretato il ruolo di Andy Warhol. Gli anni 2000 lo vedono lontano dalle scene. Il suo penultimo album fu The Next Day del 2013, contente inediti. bowie 1Nel 2007 ha ricevuto il Grammy alla carriera, nel 2008 era stato inserito al 23º posto nella lista dei 100 migliori cantanti secondo la rivista “Rolling Stone”. Se sui costumi del personaggio (in particolare il periodo del consumo di droghe, così come per tanti suoi colleghi) si può discutere, il “vuoto” artistico lasciato da Bowie sarà incolmabile. Precursore e innovatore con una lungimiranza che oggi sembra inesistente nel panorama musicale. bowie6Intanto sono già iniziati i preparativi per il concerto tributo che si terrà il 31 marzo alla Carnegie Hall a New York. Tra gli artisti ci saranno The Roots, Cyndi Lauper, the Mountain Goats, Heart’s Ann Wilson, Perry Farrell, Jakob Dylan.

A Santa Maria Capua Vetere “La città sotto la città”: in concerto Nek, Mario Biondi e tanti altri

La serie di concerti organizzati a Santa Maria Capua Vetere in occasione dell’evento “La città sotto la città” si aprirà  con Nek che si esibirà il 9 dicembre 2015 all’Anfiteatro, alle ore 21.30. Il 16 dicembre sarà la volta del catanese Mario Biondi sempre all’Anfiteatro alle 21.30, mentre il 19 dicembre ci sarà Sal Da Vinci. Il 20 dicembre in Piazza Mazzini Rosalino Cellammare in arte Ron, si esibirà in  un concerto fra ricordi e canzoni. Il 22 dicembre al Teatro Garibaldi  con inizio sempre alle ore 21.30 si esibiranno i New Trolls, mentre il 23 dicembre Enzo Avitabile nella Chiesa di Santa Maria Maggiore presenterà lo spettacolo Sacro Sud.

Oltre ai concerti, visite guidate accompagneranno l’intero evento alla scoperta dei monumenti più antichi della zona, la cosiddetta Altera Roma.

città sotto la città

Rolling Stones, una lunga storia … ben oltre il rock

A vederli ancora sul palco suonare con una energia e una grinta pari a quella dei tempi d’oro si potrebbe pensare che in realtà siano i loro “Avatar” e invece sono proprio loro: i “Rolling Stones”. Giustamente qualcuno li ha definiti non la “storia” del rock, semplicemente “il Rock”. stones5Quello vero, quello che ti prende nelle viscere dandoti una carica vitale incredibile, motore delle istanze e anche delle illusioni di generazioni e generazioni. In questi giorni è in uscita l’ennesima raccolta dell’immenso lavoro discografico di Jagger e soci. Un cofanetto che ripercorre la lunghissima carriera artistica di una delle band (la Band per eccellenza) più amate di sempre. Il contraltare “ribelle” e senza regole dei Beatles, definiti sin dalle origini “brutti, sporchi e cattivi”, composto da Mick Jagger, Keith Richards, Ronnie Wood e Charlie Watts ha fatto la storia della musica rock con le sue preziose venature blues e “jazz skiffle” (da giovanissimi gli Stones suonavano solo il repertorio di Chuck Berry e si chiamavano “The Little Blue Boy And The Blue Boys”). stones3Il legame con il “rhythm and blues” è evidenziato anche successivamente quando sarà scelto il nome definitivo della band: ‘Rolling Stones’ infatti è il titolo di un celebre brano di Muddy Waters. L’esordio ufficiale delle “pietre rotolanti” avviene nel 1962 ed è subito un successo travolgente. Ma la consacrazione arriva con il brano “(I can’t get no) Satisfaction”: un vero e proprio inno per le giovani generazioni (e anche per quelle future). Agli albori delle contestazioni giovanili (il ’68 era alle porte), gli Stones incarnano lo spirito che pervade i giovani di tutto il mondo che invocano pace, amore, giustizia, rivendicando una nuova società. stones 2Tante speranze ben presto disattese con la guerra del Vietnam e con una società sempre più capitalista e consumista. Musicalmente i Rolling Stones si caratterizzano subito per un sound molto particolare basato sulla cosiddetta “guitar weaving”, ossia l’intreccio contemporaneo di chitarra ritmica e solista (tale tecnica era detta Chicago style, dai grandi bluesman anni ’50 originari di quella città). Da “Out of Our Heads”, passando per “Between the Buttons”, “Beggars banquet”, “Let it Bleed”, “Sticky Fingers”, “Black and Blue”, fino a “Emotional Rescue”, “Undercover”, “Steel weels” e “A Bigger Bang”, sono solo alcuni degli album prodotti dagli Stones nella loro incredibile e longeva carriera. Se si escludono gli ultimo decenni che evidentemente hanno visto il gruppo abbandonarsi alle categoriche logiche delle case discografiche, pur mantenendo comunque intatte molte caratteristiche, gli Stones vantano oltre 50 anni di attività, tutti incarnati in the-rolling-stones-Mick Jagger l’indiscusso simbolo e punto di riferimento, insieme alla nota “linguaccia”, divenuta icona modiale (oggi fin troppo commerciale) dei teenager. Hanno attraversato la storia della musica e dell’umanità come nessun altra formazione musicale, non senza problemi e periodi negativi (la morte di Brian Jones e la crisi di ispirazione di metà anni ’70 sono le punte più negative), conservando sempre intatta la loro forza. stones 4Eccessi, vizi, mondanità sfrenata, certo, ma rock ineguagliabile. Folle oceaniche ai concerti, veri eventi collettivi. Sarà forse per quella nota “Sympathy for teh Devil” che si spiega la loro longevità? Spesso gli Stones ci scherzano su ma non è certo un patto col diavolo il loro segreto: è semplicemente il rock che è vita, energia inesauribile.

“The Wall”, 36 anni fa il capolavoro che cambiò per sempre la musica

36 anni fa uscì l’album che ha rivoluzionato per sempre la musica. “The Wall” dei Pink Floyd. Era il 30 novembre del 1979 quando David Gilmour, Roger Waters, Richard Wright e Nick Mason pink 6(storica formazione della band della quale faceva parte in precedenza Syd Barrett) raggiungono la popolarità mondiale grazie alla pubblicazione di un capolavoro assoluto: pietra miliare del rock (inizialmente molto psichedelico poi nettamente progressive). La band era attiva dalla metà degli anni sessanta ed era venuta già alla ribalta per lavori quali Atom Heart Mother e Meddle e si afferma a livello mondiale con The Dark Side of the Moon, Wish you were here e Animals. “The Wall” fu l’album più venduto negli Stati Uniti d’America nel 1980. Il successo planetario fu ottenuto grazie anche al tour colossale che ne seguì e all’uscita dello storico film “Pink Floyd The Wall”,pink 2pink 5 regia di Alan Parker, con le “rivoluzionarie” animazioni di Gerald Scarfe e l’interpretazione di Bob Geldof nel ruolo del protagonista “Pink”. Il personaggio fittizio del film pink 3(basato probabilmente su Roger Waters e in parte su Barrett) è un artista che, anche a causa dei tragici avvenimenti della propria esistenza (la morte del padre in guerra durante i suoi primi mesi di vita, la disumanizzante spersonalizzazione della scuola, l’iperprotettività della madre, l’alienante vita da rockstar, le grottesche avance delle groupie, il divorzio dalla moglie), si chiude in un muro psicologico, protettivo ed invalicabile, che lo soffoca inesorabilmente, trascinandolo ai limiti della follia.pink 4 Con il film Waters denuncia la perdita di identità delle masse degli adolescenti che è determinata e sfruttata anche dal sistema delle rock star, il cui seguito acritico potrebbe, addirittura richiamare gli incubi del nazismo. “In the flesh?”, “The Thin Ice”, “Another brick in the wall” part. 1,2 e 3, “The Happiest Days of Our lives”, “Mother”, “Empty Space”, “Young Lust”, “One of my turns”, “Don’t live me now”, “Goodbye cruel world”, “Hey you”, “Is there anybody out there?”, “Nobody home”, “Vera”, “Bring the boys back home”, “Comfortably numb”, “The show must go on”, “In the flesh”, “Run like hell”, “Waiting for the worms”, “Stop”, “The trial”, “Outside the wall”, “Masters of ceremonies”, “What shall we do now?”, “The last few bricks”, sono le 28 meraviglie (per stile, tecnica, arraggiamenti, parole con le quali artisticamente e musicalmente si sono raggiunte vette altissime mai più raggiunte) dell’album che ha cambiato per sempre il modo di fare ed ascoltare musica nel mondo.

SCOTCH im-BALLATI vivi VA IN SCENA AL TEATRO VILLA PAMPHILJ – ROMA

Martedì 28 e Mercoledì 29 luglio alle ore 21.30 presso il Teatro Villa Pamphilj va in scena SCOTCH im-BALLATI vivi lo spettacolo multidisciplinare ideato da Marina Michetti Coreografie di Froz e Bandits crew  Regia Alessio Tagliento e Walter Leonardi .

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Se è vero che la danza è un linguaggio per manifestare e comunicare sentimenti ed emozioni, ne fanno parte anche il sorriso, l’ironia, la joie de vivre, quasi mai rappresentati dalla danza italiana. Proiezioni video, animazione, mimo e danza caratterizzano lo spettacolo SCOTCH im-BALLATI vivi in un crescendo di ritmo ed energia che coinvolge il pubblico in un vero e proprio happening comico surreale. In un mondo dove tutto ormai sta andando in pezzi, tre uomini visionari cercheranno di trovare una risposta al problema testando le soluzioni più disparate, ma alla fine scopriranno e cercheranno di far capire che basta poco per aggiustare le cose: pezzi di scotch comico al posto giusto e un po’ di fantasia riusciranno a tenere unito il mondo e a far tornare il sorriso! La comicità, la gestualità ed il mimo di Enzo Polidoro, Andrea Viganò e Didi Mazzilli sono costantemente accompagnati dalla danza scatenata dei Bandits, una crew di breakdance fra le più affermate a livello nazionale ed europeo che, in duetti ed ensemble, travolge gli attori ed il pubblico.

BANDITS CREW
Il gruppo di breakdance nasce nel 2001 a Milano e rappresenta oggi una delle più affermate formazioni europee. I 7 componenti Mad Lucas, Esom Rock, Froz, Japo, Base, Alex Kidd e Philgood, hanno vinto numerosi premi sia nazionali che internazionali come il Bboy Event, il Freestyle Session, il Born to the Floor ecc… Hanno partecipato a diverse trasmissioni televisive come Hip Hop Generation su Rai3, Mtv Dance Show su Mtv, Rapture su Alla Music, Hip Hop Tv su Sky ecc… Hanno inoltre partecipato al video musicale Da Grande della cantante Alexia oltre che allo spot pubblicitario Tribe di Breil. Da diversi anni realizzano tournée in tutta Italia presentando spettacoli di grande impatto visivo e musicale.

FALAPPA PROJECT
Andrea Viganò
Studia danza, mimo, recitazione e tecniche circensi. Nel 2004 partecipa a numerosi festival di teatro di strada e cabaret per approdare poco dopo al teatro. Durante una lunga tournée che lo vede in numerose capitali europee incontra a Barcellona Jango Edwards, un genio dell’arte mimica con il quale perfeziona la tecnica del nouveau clown e crea lo spettacolo Art Wars. Nel 2008 debutta, da protagonista, al Teatro Nuovo di Milano con lo spettacolo Flying Clown; nello stesso periodo inizia la collaborazione con Didi Mazzilli ed Enzo Polidoro con i quali parteciperà a numerosi programmi televisivi, di cui curerà spesso anche musica e costumi.

Didi Mazzilli
La sua comicità prevede l’uso della provocazione come arma principale con cui sgretolare il pregiudizio. Il suo lavoro si avvale delle contaminazioni più varie che vanno dal mimo alla gestualità, al canto. Nei suoi spettacoli, spesso surreali, la quarta parete viene demolita con il contributo attivo del pubblico, in un vortice di gag, depistaggi, avventatezze espressive. Dal 2009 collabora con Enzo Polidoro ed Andrea Viganò sia in televisione che in spettacoli teatrali.

Enzo Polidoro
I suoi studi artistici iniziano al Centro Teatro Attivo di Milano per entrare poi nel laboratorio de La Corte dei Miracoli da cui uscirà con i colleghi Gianluca Fubelli, Stefano Vogogna e Gianluca Impastato con i quali formerà il gruppo I Turbolenti che, per diversi anni parteciperanno alle più importanti trasmissioni televisive di intrattenimento. Parallelamente prosegue la sua formazione con corsi di musical, mimo-danza, pantomima. Fondamentali a Cannes le masterclass di “performance d’acteur” con Jango Edwards. Numerose le sue esperienze sul grande schermo fra cui ricordiamo, accanto a Diego Abatantuono, Ecceziunale Veramente e I Mostri Oggi.

INVITO ALLA DANZA  – XXV edizione
Direzione Artistica: Marina Michetti
dal 16 luglio al 3 agosto 2015
Info +39 06 39738323-+39 06 39738323 fax 06 39372574 mob. +39 348 7029364- +39 348 7029364 info@invitoalladanza.it
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