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AL TEATRO PRATI DI ROMA DEBUTTA I SOLDI NON SERVONO A NIENTE

Secondo spettacolo della stagione per il  Teatro Prati e in scena va il testo di un autore poliedrico, Nino Marino, che oltre a scrivere per il teatro commedie di successo (“Un angelo calibro 9”, “I soldi”, “Gente di facili costumi” scritta con l’attore Nino Manfredi) si divide tra cinema nelle vesti di sceneggiatore e letteratura (tra i suoi romanzi ricordiamo “Interno di famiglia con miracolo”, il giallo storico “Rosso pompeiano” e “Bisturi per signora”). Dall’11 dicembre al 31 gennaio 2016 va dunque in sena la sua pièce I soldi non servono a niente, interpretata e diretta da Fabio Gravina; nel cast anche Tito Manganelli, Arianna Ninchi, Gianni Franco e Matteo Micheli. La storia inizia con l’irruzione inaspettata in una casa rispettabilissima di un personaggio ambiguo che insiste nel dichiararsi il marito appena uscito di galera della padrona di casa. La premessa, evidentemente, non lascia presagire nulla di tranquillo, infatti di lì a poco si scoprirà un segreto che accomuna tutti i personaggi e che determinerà una serie rocambolesca di fraintendimenti e doppi giochi che ben evidenziano, seppur in chiave assolutamente ironica, il cinismo dell’indole umana di fronte alla possibile perdita dell’agiata posizione economica che ci si è faticosamente accaparrati. Posizione raggiunta grazie al fatto che il marito accettò di accollarsi le colpe dei reati commessi da un politico, con la promessa che lo stesso avrebbe garantito il sostentamento della sua famiglia. Evidentemente negli anni di reclusione al sostentamento economico si è aggiunto anche un non pattuito sostentamento affettivo. Così, l’uscita “prematura” di galera del marito a causa di un indulto mette a soqquadro i piani dell’ex moglie e del nuovo amante che prevedevano il suo arrivo solo dopo il quarto anno di detenzione. Il loro stato confusionale li porterà anche a cercare un reato che possa ricondurre in prigione il marito ancora per un anno. Le innumerevoli peripezie forse ricondurranno i protagonisti verso l’amore disinteressato o forse preferiranno ancora scegliere una vita di comfort acquisiti con l’inganno. Ancora una volta il repertorio del Teatro Prati conferma la scelta del suo direttore artistico, Fabio Gravina, di proposte leggere ma ben costruite ed orientate a tematiche divertenti e problematiche attuali che oltre alla risata generano una sorta di autoriflessione e che fanno inesorabilmente parte della quotidiana vita vissuta da ognuno di noi.

TEATRO PRATI
I SOLDI NON SERVONO A NIENTE Commedia in 2 tempi di NINO MARINO Personaggi e interpreti (in ordine di entrata): Ettore – TITO MANGANELLI Lucia – ARIANNA NINCHI Roberto – FABIO GRAVINA Giorgio – GIANNI FRANCO L’avvocato Penna – MATTEO MICHELI Regia: FABIO GRAVINA Scene: FRANCESCO DE SUMMA Costumi: PAOLA RIOLO Musiche originali: MARIANO PERRELLA Tecnico suono e luci: ROBERTO DI LORENZO Sarta di scena: TERESA PERUGINI Foto di scena: MASSIMO DIANA TEATRO PRATI Via degli Scipioni, 98 – 00192 Roma Italy Tel. 06/39740503 – 366 /06/39740503 – 366/3108327 http://www.teatroprati.it Orario Spettacoli: dal Martedì al Venerdì: ore 21.00 Sabato: ore 17.30 e 21.00 Domenica e festivi: ore 17.30 Giovedì 17 dicembre: anche ore 17.30 Lunedì riposo

SUSANNA SALVI IN GISELLE AL TEATRO DELL’OPERA DI ROMA

Sabato24 ottobre alle ore 15.00 e alle ore 21.00 e giovedì 22 ottobre alle ore 21.00 presso il Teatro dell’Opera di Roma si esibirà in Giselle la ballerina Susanna Salvi. Ha soli 25 anni ma un’esperienza internazionale che l’ha portata, con la sua ineccepibile tecnica sulle punte, ad essere apprezzata da compagnie e coreografi di indiscussa levatura artistica che corrispondono ai nomi di Carla Fracci, Francesco Ventriglia, Silvie Guillem, Kathryn Bennetts e, ultima in ordine temporale, Eleonora Abbagnato, che l’ha scelta al Teatro dell’Opera di Roma nella rosa dei migliori talenti della nuova stagione da lei diretta. Susanna Salvi originaria di Rieti ma cittadina universale del balletto  classico, neoclassico e contemporaneo ballerà in ruoli di primo livello nei prossimi giorni. Con la coreografia di Patricia Ruanne, tratta da Jean Coralli e Jules Perrot, e diretta musicalmente da David Garforth, Susanna darà prova della sua tecnica solida e creativa in Giselle (musica di Adolphe Adam) esibendosi nel ruolo della protagonista . In tale ambito Susanna saprà dare risalto alla sua versatilità nonché espressività naturale già dimostrata in passato a fianco di nomi di assoluto prestigio: dall’esperienza in ruoli solisti, proprio all’Opera di Roma con Carla Fracci dal 2008 al 2010 insieme ai coreografi Jean-Yves Lormeau, Paul Chalmer, Bronislava Nijiinska, Galina Samsova, Timur Fayziev e Loris Gai, alle produzioni statunitensi del Tulsa Ballet diretto da Marcello Angelini, Susanna ne ha fatta di strada, notata anche da Francesco Ventriglia che la vuole nel 2012 in compagnia al maggio Musicale Fiorentino  come protagonista di lavori quali La Sylphide (cfr foto), nella versione di Johnny Eliasen, Stabat Mater (con la quale nel 2013 si fece conoscere anche al pubblico di Belgrado) e  The Four Temperaments (coreografia di Balanchine). Sylvie Guillem la sceglie nel 2013 per il ruolo principale in Steptext di William Forsythe senza neanche aspettare la fine dell’audizione, entusiasta alla pari di Kathryn Bennetts, assistente di William Forsythe, che monta lo stesso balletto. Dopo performance oltremare che la portano ad esibirsi in gala e singole performance anche in Tunisia, Susanna torna a Roma nel 2013, prima sotto la direzione di Micha Van Hoecke ed ora con l’étoile Abbagnato con cui Susanna ha ballato recentemente anche alla Versiliana. Una carriera a senso unico, ricca di sacrifici determinazione, grinta e continua crescita professionale, quella di Susanna Salvi, cominciata a soli 8 anni ed approdata, dopo diplomi a pieni voti, premi e costanti corsi di perfezionamento con maestri del calibro di Ofelia Gonzalez, Pablo Moret, Elisabetta Terabust, Gillian Whittingham, Anthony Basile e Patrice Bart, ad un univoco ed indiscusso apprezzamento per la sua eleganza del gesto, repentina capacità di apprendimento, pulizia nei movimenti,  forte controllo del corpo, musicalità incredibile e tecnica straordinariamente invidiabile da qualsiasi ballerina che si rispetti. Un’occasione da non perdere dunque, quella al Teatro dell’Opera di Roma, per apprezzare dal vivo le doti di questa giovanissima e valorosa nuova stella del firmamento della Danza.

 

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RASSEGNA TEATRALE E CULTURALE TEATRO BRAVÒFF 3.0

Teatro Bravò di Bari

Ottobre-Dicembre 2015

Presentata lunedì 5 ottobre al Teatro Bravò di Bari la terza edizione della Rassegna Teatrale Culturale Teatro Bravòff, prodotta dall’Associazione Culturale ed Artistica La Bautta, promossa dall’Assessorato alle Culture, Turismo e Partecipazione del Comune di Bari e dell’Assessorato al Mediterraneo, Cultura e Turismo della Regione Puglia.

Per Stefano Murciano, Direttore Artistico della rassegna, nonché moderatore della conferenza: “Teatro Bravòff è un investimento rispetto alle piccole realtà che nutrono oggi il teatro nazionale e barese attuale. La rassegna è nata con l’intento di credere nelle compagnie pugliesi che faticano a trovare il proprio spazio nei grandi circuiti della distribuzione teatrale. Oggi il pubblico sente l’esigenza di vedere a Teatro qualcosa di differente e noi lavoriamo portando avanti l’arte in uno spazio off per l’eccellenza, il teatro Bravò di Bari, un cinema che è stato sostituito con un teatro, raccogliendo l’esigenza di credere nello spettacolo in periferia”.

Teatro Bravòff 3.0 sarà l’occasione per ascoltare, vedere e vivere le lettere d’amore inviate dal fronte in occasione del centenario dell’in­gresso dell’Italia nella Grande Guerra e alcuni pensieri di Tadeusz Kantor, pittore, scenografo e regista teatrale polacco, tra i maggiori teorici del teatro del Novecento in occasione del centenario della sua nascita. Alcuni pensieri del regista saranno citate, a sipario chiuso, prima degli spettacoli.

A voce unanime gli artisti hanno sottolineato di essere felici di essere stati inseriti in questa realtà che continua a crescere e a dar voce a spettacoli pugliesi. Mariapia Autorino, Presidente dell’Associazione Culturale La Bautta Cultura ed Arte, ha creduto nel progetto investendo e rischiando, con non pochi sacrifici, facendo in modo che un’idea potesse realizzarsi e concretizzarsi. Sono due le date previste per ogni spettacolo registrando già un sold out per il venerdì sera, mentre sono disponibili posti per il sabato.

Quest’anno tre spettacoli inseriti nel cartellone sono stati selezionati dal database della rete teatrale Puglia Off, Partner ufficiale della Rassegna.

Tra ottobre e dicembre, cinque spettacoli, attraverso la prosa e i nuovi linguaggi, daranno l’opportunità allo spettatore di ripercorrere criticamente alcuni passaggi importanti della storia contemporanea e non solo attraverso sensibilità diverse. Si sperimenterà inoltre dando spazio a generi come il teatrodanza e l’improvvisazione teatrale.

Si inizia il 9 e 10 ottobre con “Riccardo e Lucia” del Teatrificio 22 di Corato con la regia di Claudia Lerro. Lo spettacolo, vincitore del Premio Salviamo i talenti -Attilio Corsini 2013, racconta la storia dei nonni della regista: un amore eterno ma imperfetto. Poeta e attivista politico il primo, donna semplice la secon­da, i due si ritrovano naufraghi (sia pure in modo diverso) dello stesso Fascismo, in una Puglia povera ma laboriosa. Una storia vera, pulita, semplice, delicata ed elegante, che parla di fede, rispetto e di amore politico.

Si parla di vita con riferimenti onirici anche in LEMBOS, spettacolo di teatrodanza di Manonuda Teatro di Taranto, in scena il 30 e 31 ottobre. “Nello spettacolo non c’è storia – spiega l’attrice Amalia Franco– si procede per associazioni analogiche, per immagini tipiche di un altro livello di coscienza. Si racconta di anime attraverso grandi maschere di cartapesta che evocano la vecchiaia, la giovinezza e l’infanzia. Non veri e propri personaggi ma anime che aleggiano in una dimensione sospesa e portano humus cercando di coinvolgere il pubblico in una dimensione altra, invisibile. Il corpo diviene scrittura scenica. Quando si racconta con una maschera sul viso, il respiro, che ha a che fare con l’anima, modifica il corpo, diviene voce.”

Durante la creazione dello spettacolo Amalia Franco ed Alberto Cacopardi hanno lavorato sui vuoti della drammaturgia più che sui pieni. Necessario per gli artisti lasciare dei vuoti perché ci possa essere incontro con il pubblico.

Domenico Clemente sarà in scena il 13 e 14 novembre con ‘MITICI – So’ proprio forti ‘sti greci del Teatroinsieme di Mola di Bari. Un monologo che racconta la mitologia greca in modo simpatico, scanzonato, irriverente, con un linguaggio dissacrante. Si viaggia tra le storie degli eroi greci e degli dei per poi scoprire che in quei miti millenari c’è, in realtà, tutto l’oggi: i vizi, le virtù, i drammi e le passioni, le divisioni, i ricongiungimenti, le vittime e i carnefici, le logiche del cinismo e le ragioni del cuore. Un viaggio ricco di contenuti ma anche molto divertente. L’attore, con alle spalle una lunga carriera, ha sottolineato di essere felice di tornare a lavorare in posti piccoli con persone in cui riconosci passione, umiltà: un modo per “ritrovare il palcoscenico che oggi si perde.”

Il 27 e 28 novembre il pubblico sarà il regista dello spettacolo IMPROGAMES di Improvvisart di Lecce. Uno spettacolo di improvvisazione teatra­le. L’intero spettacolo è rigorosamente senza copione, senza scenografia né costumi e gli attori avranno a disposizione soltanto la loro fantasia per dar vita ad una jam session teatrale che alternerà momenti di risate e divertimento a suggestivi attimi di pura poesia.

Si conclude con Giordano Bruno – L’eretico furore, del Carro dei Comici di Molfetta in scena l’11 e il 12 dicembre. Dopo lo spettacolo ‘Giocondo’, che l’anno scorso ha riscosso un gran successo di pubblico, quest’anno proporrà uno spettacolo che parla di filosofia. Protagonista Giordano Bruno, figura profonda e complessa: uno spettacolo ambizioso che si arricchisce delle musiche e canzoni composte da Pantaleo Annese. Un “canto mnemonico del dolore”, degli amori, della vita di Giordano Bruno; filosofo Nolano accusato d’eresia e per questo ucciso il 17 febbraio del 1600 bruciato vivo, a Roma in Campo de’ fiori. Il filosofo è tutt’oggi simbolo della libertà di coscienza e di pensiero.

Anche quest’anno la Bravòff card, riservata agli abbonati, concede sconti stabiliti dagli sponsor Prink, Falvision e B&B Mareen.

La Produzione della Rassegna è affidata all’Associazione Culturale ed Artistica La Bautta; con il patrocinio dell’Istituto Pugliese per la Storia dell’Antifascismo e dell’Italia contemporanea “T. Fiore”; in collaborazione con Prem1ere s.r.l, Università degli Studi di Bari Aldo Moro, Teatro Bravò, B&B Mareen, Associazione artistica culturale Animarsi, Antenna Sud Pop TV ed Ubique Studio; con il sostegno della casa editrice Falvision Editore e di Prink-Bari.

Abbonamenti:

CLASSIC (tre spettacoli) 28€
PLUS (due spettacoli) 17€
GOLD (classic + plus) 43€

Convenzioni abbonamento:
40€ ex abbonati, convenzionati, CRAL, under 25 e over 65

34€ studenti universitari

Biglietti singoli:
11€ intero
9€ convenzionati e CRAL,under 25 e over 65
7€ studenti universitari

Spettacoli presso Teatro Bravò di Bari, via Stoppelli, 18

Ingresso sala ore 20:30

per informazioni 388.9399335 | per prenotazioni 340.7347657 
info@bravoff.com 
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www.bravoff.com

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CINZIA LEONE IN DISORIENT EXPRESS

Uno spettacolo che racconta la confusione generata da una forma di democrazia virtual-virale alla quale eravamo impreparati: milioni di persone che improvvisamente, grazie alle infinite opportunità di espressione offerte dalla tecnologia e dalla virtualità, parlano, esprimono opinioni e aggiungono informazioni. Siamo disorientati da un vento di contraddizioni che ci spettina tutti i pensieri.. Questo è il perno del racconto plasmato dall’intelligente e diretta ironia di una predicatrice, previsionista e affabulatrice comica che si immedesima – tra battute, gag e copioni tratti dalla nostra vita quotidiana – nella mente confusa di ognuno di noi.
Si intitola DISORIENT EXPRESS, l’ultimo lavoro di Cinzia Leone scritto a 4 mani con Fabio Mureddu e prodotto da Cristian Di Nardo in scena a Roma il 3 e 4 luglio a Le Terrazze (Palazzo dei Congressi, EUR) e il 17 luglio nell’ambito della rassegna All’ombra del Colosseo. Come ci dice Cinzia Leone :“Non è la storia di un treno che non sa dove andare e di essersi ispirata dai milioni di input che la giungla tecnologica ci offre  “è una fotografia di gruppo in cui ci siamo tutti e tutti abbiamo un’espressione visibilmente disorientata.  Siamo disorientati, sì. Ci aggiriamo nel mondo con l’espressione di nonna nella foto di Natale, scattata dopo che l’hanno rimbambita cercando di farle ricordare i nomi di tutti e trentasei i nipoti.
E come può non essere disorientata un’umanità travolta ogni minuto da un cambiamento? Come possiamo essere sicuri di noi stessi e della realtà che ci circonda se ad ogni notizia sentita in televisione possiamo trovare contemporaneamente la smentita su Internet? Come possiamo accontentarci anche solo di un lavoro qualunque, in un momento in cui, qualunque sia il lavoro non ti pagano e il massimo che puoi farci è mettertelo nel … curriculum? Come possiamo rilassarci con lo zapping, se, anche potendo scegliere tra centinai di canali, troviamo ovunque la stessa cosa: gente che canta o che cucina?” Per raccontare tutto questo in una sola rappresentazione, che la vede interagire sul palco insieme allo stesso Mureddu e ad una serie di proiezioni, Cinzia affronta i contenuti provando ad aggiornarli in tempo reale, esattamente come avviene nei programmi in diretta, come se ci fosse una redazione costantemente connessa al mondo esterno in tutte le sue inaspettate varianti. Credetemi sulla parola, la realtà vista così è destabilizzante e comica allo stesso tempo perché i cambiamenti e le contraddizioni continue la rendono invisibile. E’ per questo che siamo disorientati, proprio come treni che viaggiano senza un binario e che non sanno dove andare.”

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Biografia di Cinzia Leone

Cinzia Leone nasce a Roma il 4 marzo del 1959 da madre padana e padre americano.
Attratta fin da piccola, ma non del tutto consapevolmente, dal mestiere di attrice, esordisce a teatro nel 1981 con “Polvere di stress”, ma il debutto definitivo avviene nel 1988, quando viene scelta da Serena Dandini per il programma comico “La TV delle ragazze”, nel quale Cinzia dà modo di farsi conoscere al grande pubblico con personaggi come quello di Francesca Dellera e della vicina pazza.
Nello stesso anno Cinzia debutta anche sul grande schermo con la commedia dei fratelli Vanzina “Le finte bionde”. Nell’anno successivo partecipa alla seconda stagione della “TV delle ragazze”, e l’anno dopo è la volta di “Scusate l’interruzione”: memorabile il suo personaggio di Edwige Fenech.
Nel 1990 è nel cast del film di Carlo Verdone “Stasera a casa di Alice”, con Sergio Castellitto e Ornella Muti.
L’anno successivo è tra i protagonisti del capolavoro di Mario Monicelli “Parenti serpenti”, a fianco di altri grandi interpreti quali Pia Velsi, Paolo Panella, Marina Confalone, Alessandro Haber e Monica Scattini.
Nello stesso anno Cinzia Leone entra a far parte del gruppo di “Avanzi”, trasmissione che si propone di dare spazio agli “avanzi”, agli scarti della televisione.
Tra i personaggi indimenticabili di Cinzia c’è senza dubbio quello di Francesca Dellera e di Marisa Laurito. Nel dicembre del 1991, durante la proiezione del film “Donne con le gonne” di Francesco Nuti, in cui Cinzia aveva preso parte, viene colpita da un’emorragia cerebrale causata dalla rottura di un aneurisma congenito, e trasportata inizialmente all’ospedale San Giacomo, e successivamente al San Camillo di Roma, viene poi operata al Barrow Neurological Institute di Phoenix, in Arizona. Tre mesi dopo è di ritorno in Italia e nell’aprile del 1992 è di nuovo in pubblico, alla RAI, in occasione della presentazione di “Senator”, sceneggiato interpretato da Pippo Franco.
Nello stesso anno Cinzia ritorna in televisione con la seconda edizione di “Avanzi”, dove porterà un nuovo e amatissimo personaggio a chiarire le idee sulle nuove tasse da pagare: la signorina Vaccaroni, impiegata all’ufficio imposte.
Ha detto Cinzia sul suo personaggio: “Lo stato dimostra di essere molto creativo sui nuovi pagamenti che devono fare i cittadini. Come impiegata modello dell’ufficio imposte, cercherò di spiegare tutti i meccanismi”.
Arriva anche il personaggio di Rosa Russo Jervolino, che dopo aver bocciato i fumetti di Lupo Alberto, presenta la sua nuova campagna per l’educazione sessuale dei bambini.

”I personaggi messi in scena ad Avanzi” – ha detto Cinzia – “non sono imitazioni come in altri programmi di satira tv, ma sono indicativi di una certa mentalità, di stati d’animo che la televisione in genere, non consente di mettere in ridicolo.” Il 12 marzo del 1993 va in onda l’ultima puntata di “Avanzi”, in cui Cinzia Leone vestirà i panni di Serena Dandini, e la signorina Vaccaroni si trasferirà definitivamente in Camerun con le “pizze di fango”. Il 1994 è l’anno di “Tunnel”, la nuova trasmissione di Serena Dandini che punta come sempre sulla satira politica, sulla cronaca e sull’attualità, dove Cinzia si presenta nei panni di Alessandra Mussolini. Al termine del programma, Cinzia prende parte alla serie poliziesca “Occhio di falco”, in cui interpreta l’inaffidabile e scapestrata sorella del protagonista Gene Gnocchi: “una tipa che si lancia in mille avventure e crede più o meno a tutto quello che le dicono”. Nello stesso anno è a teatro con la commedia graffiante e divertente di Duccio Camerini, “La serva del negro”, in cui divide la scena con Salvatore Marino.
Giada Peroni è una professionista in carriera, agguerrita e arrogante, ossessionata da manie di protagonismo. Viene consigliata dal suo analista di ritrovare la sua femminilità che sta svanendo, accettando un lavoro, il più umile possibile. Seguendo questa indicazione Giada, si presenta come donna delle pulizie a Raul, un uomo di colore in apparenza sicuro, vincente, in realtà continuamente in preda a crisi depressive, perennemente in ansia. Nel 1995 Cinzia è sul set di “Selvaggi” con Ezio Greggio, Antonello Fassari, Emilio Solfrizzi, Leo Gullotta e Monica Scattini, per la regia dei fratelli Vanzina. Il 1996 segna l’inizio della carriera teatrale “One Woman Show”, con lo spettacolo “Questo spazio non è in vendita”, scritto dalla stessa Cinzia Leone, con Fabio Di Iorio. Monica Luccisano, che l’ha intervistata al teatro Erba dopo aver visto lo spettacolo, ha detto: “Ci siamo divertiti un mondo durante lo spettacolo, ci siamo liberati da quelle tensioni che sempre ci portiamo addosso, anche quando entriamo in un teatro, riconoscendoci ridicoli nei nostri luoghi comuni, come lo smitizzato spaghetto aglio olio e peperoncino, o la catena di insulti che lanciamo quando siamo al volante, e nel nostro stupido buon senso, che ci permette di commuoverci di fronte alle tragedie del terzo mondo in Tv, e di negare 500 lire al marocchino per la strada, e ci siamo sentiti, attraverso un sorriso e un’ironia incalzanti, stimolati ad essere più vivi e creativi”. Sempre nel 1996, Cinzia è sul set del film “Metalmeccanico e parrucchiera in un turbine di sesso e politica” di Lina Wertmuller: nel cast Tullio Solenghi, Veronica Pivetti, Gene Gnocchi e Piera Degli Esposti.

Nel 1998 è di nuovo a teatro con il suo secondo spettacolo, “Strana forte la gente”, sempre scritto a quattro mani con Fabio Di Iorio.
Anche in questo testo è la vita di tutti i giorni a fungere da spunto di riflessione per dare vita ad esilaranti momenti di comicità.
“Gente che lascia la macchina parcheggiata in seconda fila, la chiude, mette l’antifurto e poi evapora! Gente che truffa continuamente i propri simili cercando di vendere al prossimo qualcosa di cui ha bisogno di liberarsi ma che descrive all’altro come un affare, perché non se ne vuole solo liberare, ci vuole anche guadagnare. Gente che resta ore ad ascoltare le segreterie telefoniche che ti dicono di attendere, ma noi con le musichette delle attese telefoniche ci facciamo proprio le feste! Strana forte la gente!”  L’anno seguente è la volta della fiction “Ma il portiere non c’è mai?”, con Giampiero Ingrassia e Anna Mazzamauro, dove Cinzia interpreta Angela, una vigilessa sposata con l’aspirante scultore Remo, interpretato da Stefano Masciarelli. Nel 2001 Cinzia debutta a teatro con il nuovo e fortunatissimo spettacolo comico, “Rodimenti”, scritto con Fabio Mureddu ed Enzo Ferrara, e con la partecipazione di Luca Scapparone. 
Ha detto Cinzia: “Lo spettacolo si propone come una sorta di terapia di gruppo contro le ansie quotidiane, per capire cosa c’è sotto i nostri comportamenti più sconnessi.” E aggiunge: “I rodimenti fanno parte della nostra vita, e sono il motore della nostra esistenza.” Dopo aver portato “Rodimenti” nei teatri di tutta Italia, è la volta dello spettacolo “Poche idee ma molto confuse” del 2005, in cui si racconta di una realtà che a detta della Leone, non è mai stata così spettacolare, e in cui ogni banalità viene trasformata in un grande evento, perché ormai nessuno si accontenta più della realtà così com’è.
Se nel precedente “Rodimenti” la realtà del quotidiano era in primo piano, in questo spettacolo è prende piede l’invito a separare i livelli di realtà e di finzione, prendendo di mira i sotterfugi che ognuno di noi adotta per non vedere la realtà, i tentativi che facciamo per spostarla…da un’altra parte, o per renderla più spettacolare di quanto non sia, cercando di darle un valore aggiunto. Nel 2007 ritroviamo Cinzia al cinema con “Nero Bifamiliare”, opera prima di Federico Zampaglione, e nel film di Sabina Guzzanti “Le ragioni dell’aragosta”, dove la preparazione di uno spettacolo progettato per attirare l’attenzione dei media sullo spopolamento delle aragoste nel mare della Sardegna occidentale, diventa l’occasione per riunire parte della banda di “Avanzi” 15 anni dopo. Nello stesso anno Cinzia porta in teatro il suo nuovo monologo, “Outlet”. “Perché” – spiega lei stessa – “siamo molto più outlet noi degli outlet stessi.
Outlet è un’analisi sociale, cerca di indagare sul perché siamo così ossessionati dal risparmio. E’ come se avessimo paura di finire i soldi che ci servono per poter continuare a comprare gli oggetti che sostituiscono le affettività mancanti. Nel mio spettacolo a un certo punto dico: risparmiamo il più possibile, ma soprattutto ci risparmiamo il più possibile, siamo delle centraline di risparmio viventi, siamo outlet che camminano, risparmiamo su tutto. Ma purtroppo anche sull’amicizia, sull’amore, sul coraggio.” Nel 2010 Cinzia interpreta Belinda in “Colpo di fulmine”, fiction di canale 5 diretta da Roberto Malenotti, con Lola Ponce, Roberto Farnesi e Fabio Testi, una rivisitazione in chiave moderna della favola di Cenerentola. Nel novembre dello stesso anno Cinzia debutta nuovamente a teatro con la sua ultima fatica “Mamma, sei sempre nei miei pensieri. Spostati!”, scritto con Fabio Mureddu – che ne cura anche la regia – con la collaborazione di Federica Lugli.
“Non è uno spettacolo sulle mammine” – ci tiene a precisare Cinzia – “bensì sulla “mammità”, sul significato di “essere madre” e sull’analisi della madre che è dentro tutti noi. Perché ognuno pensa di agire per conto proprio, ma c’è sempre il fattore mamma dentro di noi, che è lì pronto a condizionarti. Al di là della figura materna, è la nostra crescita che viene messa in discussione, in ogni nostra azione dobbiamo capire dove finisce il condizionamento materno e dove cominciamo noi.” Attualmente Cinzia è impegnata nella tournée teatrale di “Mamma, sei sempre nei miei pensieri. Spostati!”

Da un’idea di Cinzia Leone

con Fabio Mureddu

Regia: Fabio Mureddu ed Emilia Ricasoli

Musiche: Marco Schiavoni
Scenografie: Adriano Betti
Costumi: Francesca Mescolini
Consulenza artistica: Giuliano Perrone
Un ringraziamento speciale a Gianluca Giugliarelli
Si ringraziano per la preziosa collaborazione:
Daniele Falleri, Mauro Fratini, Pietro Sparacino, Sara Vannelli

3–4 luglio 2015
Le terrazze
Palazzo dei congressi EUR
Piazza J.F.Kennedy 1
Info e prenotazioni Tel: 06 54221107- 06 54221107

17 luglio 2015
All’Ombra del Colosseo
Parco Celio – Colosseo
Ingresso Via Di San Gregorio – Parco Del Celio – Roma
Info: Tel: 366 4188060-366 4188060

Applausi a scena aperta per “La scuola” di Silvio Orlando al Teatro Ricciardi di Capua

Il cast de La scuola
Il cast de La scuola

A distanza di venti anni dall’uscita del fortunatissimo adattamento cinematografico, Silvio Orlando porta in scena “La scuola” in molti dei teatri italiani. Nella scorsa settimana è toccato alle sale campane, con una serie di spettacoli che hanno riguardato il Teatro Diana di Napoli, il Teatro La Provvidenza di Vallo Della Lucania, il Teatro Umberto di Nola, il Teatro Ricciardi di Capua ed il Teatro Comunale Costantino Parravano di Caserta. Incuriositi da tale possibilità, noi di PlanetMagazine.it abbiamo scelto la stupenda cornice del Ricciardi di Capua per gustarci la commedia che nel 1995 Daniele Luchetti portò sul grande schermo, dopo che nei precedenti fu interpretato nelle sale da un gruppo di attori eccezionali.

Silvio Orlando e Marina Massironi
Silvio Orlando e Marina Massironi

In un momento in cui il sistema scolastico sta riscontrando numerose problematiche, primo fra tutti il privilegio degli istituti privati rispetto a quelli pubblici, sembra quanto mai ‘azzeccato’ riportare in auge uno dei film più belli che riguardano il mondo dell’istruzione. Il testo di Domenico Starnone è lo stesso utilizzato per il film, un tema che è sempre di attualità, nonostante si tratti di epoche diverse. Dall’importanza del ruolo degli insegnanti alle problematiche strutturali che riguardano tanti plessi italiani, dall’educazione degli allievi fino all’incapacità di garantire livelli di apprendimento decenti e diffusi, ora come nel 1995 non è cambiato molto e la commedia ideata da Luchetti lo esprime senza giri di parole.

Silvio Orlando e Roberto Citran
Silvio Orlando e Roberto Citran

In un istituto tecnico ubicato nella periferia romana, i professori della IV B sono pronti per effettuare gli scrutini, a pochi giorni dalla conclusione dell’anno scolastico. Da normativa tale atto deve avvenire all’interno della sala insegnanti, ma a causa di un buco nel soffitto, la palestra assurge a tale ruolo in via straordinaria. Con personalità diverse, ogni insegnante si prepara a decidere in pochi istanti del futuro scolastico dei vari allievi. La visione romantica del professor Cozzolino, Silvio Orlando, contrasta con il cinismo del resto dei professori, fatta eccezione per l’insegnante di ragioneria, la Baccalauro interpretata da Marina Massironi. Con lei c’è un’affinità particolare, un legame che inizialmente nascosto, viene scoperto durante la gita scolastica e spiattellato tra le voci di corridoio più infamanti per una donna sposata.

Tanta falsità ed incoerenza in un corpo docenti che è composto dall’insegnate d’impiantistica, il Cerrotta, che non fa altro che pensare al suo secondo lavoro; l’insegnante di religione, Padre Mattozzi, continuamente denigrato per il suo cattivo odore; la prof. di Storia dell’Arte, la Rondanini, determinata più a raccogliere i punti per le raccolte dei succhi di frutta che per il resto ed infine l’insegnante di francese, il Mortillaro, ossessionato dal desiderio di vedere i propri alunni zappare la terra al motto di “la cultura e lo studio non sono per tutti”. Il ruolo di preside viene vestito da Roberto Citran, una figura che lascia aperta spesso la porta ad intrallazzi ed inciuci e che, peraltro, gode di una cultura alquanto limitata.

Marina Massironi e Silvio Orlando
Marina Massironi e Silvio Orlando

7 giugno 1991, il consiglio di classe si riunisce all’interno della palestra ed ognuno è obbligato ad indossare le scarpe di ginnastica per non rovinare il pavimento. Uno ad uno vengono esaminate le posizioni dei vari studenti, con Mortillaro che non approva l’aumento del voto per alcuni allievi. Il tempo scorre lentamente ma assume livelli secolari, quando si valuta la promozione di Cardini, un ragazzo abbastanza introverso che parla poco ed “esce dal letargo” solo quando imita il ronzio delle mosche. Il professor Cozzolino è l’unico, eccetto la Baccalauro, che vede in questo suo comportamento una sorta di arte ed in tutti i modi cerca di salvarlo da una bocciatura certa. Ma tutti si scontrano con la sua tesi, capitanati dalla frase emblematica di Mortillaro: “Se non boccio Cardini, chi devo bocciare io!”. Ma il Cozzolino insiste ed insieme alla Massironi imita anche lui il ronzio di una mosca, tanto da urlare nell’ultimo istante dello spettacolo, davanti all’ipocrisia ed alla riluttanza delle persone, una frase che mette a nudo il suo desiderio di cambiare: “Salvami Cardini”.

Gran successo per “Un anno dopo”: Tony Laudadio ed Enrico Ianniello divertono il Teatro Ricciardi

Tony Laudadio ed Enrico Ianniello (foto Ezio Bevere)
Tony Laudadio ed Enrico Ianniello (foto Ezio Bevere)

Trent’anni di vita nello stesso ufficio. Trent’anni di esperienze che due impiegati si raccontano, dietro le proprie rispettive scrivanie. I due attori casertani Enrico Ianniello e Tony Laudadio portano in scena al “Teatro Ricciardi” di Capua la commedia “Un anno dopo”, prodotto da Onorevole Teatro Casertano e Teatri Nuovi. Atto unico scritto e diretto da Tony Laudadio che è stato scelto come terzo appuntamento della rassegna “Teatro a Primavera”, comprendente spettacoli tra gli altri di Silvio Orlando, Marina Massironi, Peppe Miale e Federico Salvatore.

Collaudata coppia di attori, Tony Laudadio ed Enrico Ianniello hanno condiviso sin dalla formazione, alla Bottega di Vittorio Gassman ed alle prime prove d’attore con Federico Tiezzi e Leo De Berardinis, gran parte delle loro esperienze professionali. Dopo aver fondato la compagnia Onorevole Teatro Casertano, sono insieme sulla scena con Toni Servillo, Andrea Renzi, Francesco Saponaro, Nicoletta Braschi e sullo schermo con Nanni Moretti. Entrambi vengono scritturati dal regista per Habemus Papam, così come Fabrizio Bentivoglio li sceglie per interpretare due parti in Lascia perdere, Johnny. Enrico Ianniello ha raggiunto ancor più popolarità grazie al ruolo del commissario Vincenzo Nappi nella serie TV di Rai Uno “Un passo dal cielo” insieme a Terence Hill, mentre in questi giorni è nelle sale con Mia Madre, il nuovo lungometraggio di Nanni Moretti con Margherita Buy e John Turturro.

Goffredo (Enrico Ianniello) e Giacomo (Tony Laudadio) si ritrovano a lavorare in un ufficio, uno di fronte all’altro. Personalità contrapposte animano i due personaggi. Dopo neanche qualche minuto dall’arrivo, Goffredo cerca subito di entrare in confidenza con Giacomo che, da par suo, è una persona molta riservata e difficilmente esprime i propri stati d’animo, i propri punti di vista. L’espansività dell’uno si controbilancia alla discrezione dell’altro.

I due attori in ufficio (foto Ezio Bevere)
I due attori in ufficio (foto Ezio Bevere)

Ma Goffredo non si fa intimidire da questa sua privacy e con il passare degli anni riesce, in un modo o nell’altro, a scoprire particolari della vita di Giacomo che mai avrebbe immaginato. Molto più espansivo, Goffredo racconta quotidianamente l’evoluzione positiva e negativa della storia con Lorena. Un rapporto abbastanza strano che, dopo aver subito un momento di riflessione corposo, sfocia nel matrimonio. Ma i problemi, che esistevano all’interno del fidanzamento, non vengono risolti durante la convivenza. Neanche la nascita di un figlioletto riesce a dare equilibrio alla loro storia, tanto che sarà obbligatorio per entrambi prendere la via del divorzio.

Per diversi anni Giacomo ascolta le avventure di vita del collega di lavoro, usando ironia per ridicolizzare i suoi difetti e le sue frustrazioni. Anno dopo anno, infatti, Goffredo annuncia che quello sarà l’ultimo in cui vivrà in un paesino di provincia ed andrà a costruirsi un futuro molto più interessante a Roma. Con scadenza giornaliera, questo sogno nel cassetto verrà sempre posticipato, tanto da alimentare le battutine argute di Giacomo. Il volersi discostare per forza dal provincialismo altrui fa di Goffredo l’esempio perfetto del detrattore di se stesso.

Accortosi improvvisamente di parlare sempre e solo di sé, Goffredo obbliga a parlare Giacomo della sua vita. Scocciato da questa curiosità altrui, come mai gli era capitato prima, Giacomo gli rivela della convivenza con la sorella, di una quotidianità abbastanza ripetitiva e di un solo unico hobby: scrivere sinossi. Davanti a tale rivelazione, finalmente Goffredo è contento di aver scoperto un minimo particolare che riguardasse la vita del suo collega. Servirà più di qualche attimo per capire cosa significhi la parola sinossi, tra le risate di Giacomo che si prende beffe del compagno di lavoro.

Tony Laudadio ed Enrico Ianniello discutono (foto Ezio Bevere)
Tony Laudadio ed Enrico Ianniello discutono (foto Ezio Bevere)

Sotto estenuanti turni di lavoro, con gli occhi dal computer che vengono staccati solo per la pausa pranzo, trascorre il tempo ed i due iniziano a fare i conti con i primi capelli bianchi, con i problemi fisici dovuti al primo accenno di anzianità, con una memoria che non è più quella della gioventù. Così si arriva all’anniversario per il trentesimo anno di lavoro insieme, con tanto di torta e spumante. Giacomo resta sorpreso dall’attenzione di Goffredo verso questi particolari e quasi appare commosso.

Solo a fine rappresentazione, quando arriva la prematura scomparsa di Goffredo, Giacomo si accorge che le paranoie, le vicissitudini e le aspirazioni del collega abbiano allietato così tante ore di lavoro. Per la prima volta nell’arco di trent’anni, Giacomo senta la sua mancanza e, guardando il posto ormai vuoto dall’altra parte della stanza, lascia trasparire il dispiacere per aver perso non solo un compagno di viaggio ma soprattutto il miglior confidente ed amico.

UN ANNO SULL’ALTIPIANO Recital di teatro e musica tratto dall’omonimo romanzo di Emilio Lussu Presso il Teatro dell’Orologio Roma

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Nei giorni 27 , 28, 29 marzo in occasione del centenario della Prima Guerra Mondiale, nell’ambito del programma curato dalla struttura di missione governativa per gli anniversari di interesse nazionale, presso il Teatro dell’Orologio di Roma ospiterà lo spettacolo UN ANNO SULL’ALTIPIANO, recital di teatro e musica tratto dall’omonimo romanzo di Emilio Lussu . Adattato per il palcoscenico da Daniele Monachella, voce recitante accompagnato in scena dall’etnomusicologo Andrea Congia a chitarra classica ed effetti e da Andrea Pisu vincitore del Premio Maria Carta alle launeddas e percussioni, il testo è una preziosa testimonianza del popolo sardo che con migliaia di vite umane, pagò l’immane prezzo della Grande guerra. È noto che i dominatori aragonesi vissuti in Sardegna, definivano i sardi “Pocos locos e mal unidos”, mentre l’opera di Lussu, scritta durante la sua lunga permanenza nei sette Comuni dell’Altipiano di Asiago, sottolinea come per la prima volta i sardi rimasero coesi, seppur nella sventura delle trincee, uniti dal motto “Forza paris” – “Forza insieme”, pensiero collettivo dei Diavoli rossi. Il recital tratto dal suo memoriale prende spunto dall’esergo presente nel libro Ho più ricordi che se avessi mille anni, di evidente rimando a I fiori del male di Baudelaire, perseguendo l’alto valore letterario, identitario, civile, storico e sociale dell’opera, traduce in esigenza artistica la volontà di tramandare attraverso il linguaggio performativo prosa-musicale, il messaggio morale contenuto in essa, nonché onorare la memoria del popolo sardo e dei suoi sfortunati combattenti nel ricordo di quei tre lunghi anni di guerra. I Dimonios della Brigata Sassari e gli eventi della trincea; la poesia del ferro e del cognac, del fuoco e del sangue; i flash, le fughe e le ferite della Grande Cagnara; le cadute delle vittime sul fango dell’Altipiano in contemporanea alle disfatte dei Giganti Europei; questi sono alcuni degli ingredienti di cui è intriso questo intenso docu-spettacolo reso maggiormente emozionale dalle parole di un autore che si rivolta moralmente alla guerra e alla classe che la provoca, permeate dal commento sonoro della tradizione musicale sarda e di suoni universali, espressa contrappuntisticamente in relazione alla voce dell’unico attore in scena.
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Un viaggio mnemonico emozionale intriso dal ricordo di una guerra il cui racconto, per la prima volta nella letteratura italiana, denuncia l’irrazionalità e il suo non-senso, oltreché la gerarchia e l’esasperata disciplina militare in uso al tempo.

DANIELE B. MONACHELLA

Attore-doppiatore si forma con C.Leonardi, E. Gallot Lavalleè, M.Bogdanov,J. Sanchis Sinisterra, F. Manetti, A. Alvarado, K. Crawford, G.De Monticelli, S.Tcherkasskij, Gioele Dix, V. Bertinetti, M. Monetta, M.Flach, Peter Clough, Toni Servillo. Frequenta il C.Sp. di Cinematografia, l’Acting Studio di L.A., studia doppiaggio presso il CTA di Milano diretto da N. Ramorino e canto con Tiziana Salvador. Tra le sue interpretazioni teatrali “Due mariti e un matrimonio”  diretto da R.Marafante, il professore ne La lezione di Ionesco e ne Il contrabbasso di Süskind prodotti da MabTeatro. E’ protagonista di vari spot pubblicitari diretto da A.D’alatri e L.Lucini. Partecipa alle fiction “Che Dio ci aiuti”, “I segreti di Borgo Larici”, “Il peccato e la vergogna”, “Mia madre”, “ Squadra antimafia 3”, “Sangue caldo”, “Camera cafè”,  “I Cesaroni”, “Don Matteo 8”, “Bye Bye Cinderella I e II”. Per il cinema è protagonista in “Andarevia” diretto da Claudio Di Biagio per RaiCinema e viene diretto M.Imboden in “Ham Han”g con Martina Gedeck.‎ Riceve la menzione dalla RadioSvizzeraItaliana per il docu-radio “L’invenzione della moka” di Matteo Severgnini, legge “L’universal sterminio” e in Blucomeunarancia su RSI2. Presta la sua voce ai romanzi “Nel tempo di mezzo” e “Picta” di Marcello Fois, per Radio24 in “Destini incrociati” e “Hotel Voi siete qui” di M.Caccia. Diretto da Sergio Ferrentino partecipa su RadioRai3 a “Crediti d’Attore” in diretta dal Teatro dei Filodrammatici di Milano ed è tra gli attori-voce del progetto AutoreVole ne “Il giardino di Gaia” di Massimo Carlotto. Doppia diretto da Luca Ward Moncherino in “Sons of anarchy” e da Raffaele Mertes e’ diretto in “Solo per amore” prodotto da Endemol in onda questa stagione.

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Andrea Congia
Laureato in Filosofia e laureando in Etnomusicologia presso il Conservatorio di Cagliari. Chitarrista (chitarra classica, baritono e fretless), autore e interprete nelle formazioni musicali sperimentali Nigro Minstrel, Mascherada, Antagonista Quintet, Crais Trio, Baska, Hellequin, Orchestrina dei Miracoli, Gastropod, Skull Cowboys, Grande Madre Band, Death Electronics. Da anni prosegue sulla strada della coniugazione tra Parola e Musica in collaborazione con numerosi artisti provenienti da ambienti musicali e teatrali sardi in particolar modo attraverso la direzione artistica della Rassegna di Spettacolo “Significante”.

Andrea Pisu
Studia le launeddas con Luigi Lai e successivamente con Aurelio Porcu, l’ultimo dei grandi suonatori. Alla giovane età di 11 anni partecipa a numerose manifestazioni in tutta Europa e sui palchi di numerosi festival internazionali del folklore (U.S.A., Grecia, Francia, Spagna, Germania, Polonia, Austria, Svizzera, U.K.). Ha all’attivo tre lavori discografici: “Pass’e tresi”, “Oltre il confine” e “Sonadores in Ramatura”. Nel 2005 riceve il Premio Maria Carta che lo inserisce a pieno titolo nel novero dei virtuosi della tradizione launeddistica. In questa veste esegue l’accompagnamento musicale nelle processioni religiose e nelle sagre tradizionali e porta lo strumento oltre i limiti delineati dalla Tradizione, inserendo brillantemente le launeddas nei più svariati generi, dal free jazz al rock, dal country alla musica celtica, dalla musica classica al blues. E’ il pioniere delle nuovissime Elettronettas, create da Francesco Caputzi, con le quali si cimenta in commistioni musicali nei più svariati generi.

Teatro dell’Orologio – Roma

Sala Moretti
Via dei Filippini 17/a

Orario spettacoli:
27 e 28 marzo: ore 20
29 marzo: ore 16

Infoline: 06 50619598- 06 50619598 – biglietteria@teatroorologio.com
Prezzi: Intero € 15 e Ridotto € 12
tessera associativa teatro € 3

Il teatro canzone di Rocco Papaleo e la sua piccola impresa meridionale al Teatro Ricciardi di Capua

Rocco Papaleo a Capua
Rocco Papaleo a Capua

Difficilmente ti capita di arrivare a teatro con anticipo e trovare il protagonista dello show, intento a scambiare due chiacchiere con il pubblico, firmare autografi ed essere immortalato in una serie indefinita di selfie (per dirla all’italiana autoscatto, moda originatasi con l’ascesa degli smartphone). Ancor più strano è sentir dichiarare dallo stesso protagonista, quello che in tanti conoscono per la popolarità in televisione e nel grande schermo, che iniziare in ritardo è un suo cruccio. Ragion per cui alle 21.05 (cinque minuti dopo l’orario fissato sul programma) decide di aprire le danze. Diverse persone vengono prese in contropiede, poiché troppo spesso si è abituati al ritardo, ma il protagonista, quello “famoso” per intenderci, è inflessibile e si inizia mentre gli ultimi sediolini vuoti vengono occupati.

Messo da parte questo inciso su una caratteristica, di cui va rimarcata la natura inusuale almeno nei nostri teatri, ci addentriamo  in uno spettacolo che molti definiscono teatro canzone. Abbastanza diverso da quello che Sandro Luporini e Giorgio Gaber hanno dato vita negli anni ’80 e ’90, questo particolare modo di fare teatro entusiasma il pubblico capuano che si fa accompagnare dalle note musicali e dai testi sempre abbastanza accattivanti del compositore.

Rocco Papaleo e la sua piccola impresa meridionale
Rocco Papaleo e la sua piccola impresa meridionale

Rocco Papaleo porta in scena “Una piccola impresa meridionale” al Teatro Ricciardi di Capua. Spettacolo teatrale che ha poco a che vedere con il film diretto sempre dall’artista lucano, uscito nella sale cinematografiche nell’ottobre 2013. Se una similitudine può essere trovata tra le due opere,  è ovvio che questa va identificata nel soggetto che muove entrambe: il gruppo, la band, la piccola impresa meridionale di cui Papaleo è l’incontrastato “frontman”. A dispetto del lungometraggio di cui sono protagonisti Riccardo Scamarcio, Barbora Bobulova e Sarah Felberbaum, l’esibizione dal vivo è incentrata su un gruppo di artisti provenienti dalle zone più disparate d’Italia.

Il cast del film di Una piccola impresa meridionale
Il cast del film di Una piccola impresa meridionale

Nell’intro Papaleo presenta i componenti di questa fantomatica impresa, “gli scarti di altre orchestre”. In un paesotto vicino Teramo sono nati Guerino Rondolone ed Arturo Valiante, rispettivamente nipote e zio che suonano il contrabbasso ed il pianoforte. Dalla Sicilia, esattamente da Castelvetrano (provincia di Trapani) arrivano invece i fratelli Accardo, il chitarrista Francesco ed il percussionista Jerry. Amici di avventure che accompagnano da tempo il cantante Rocco Papaleo in questo spettacolo, la cui regia è di Valter Lupo, produzione Nuovo Teatro.

Rocco Papaleo sul palco
Rocco Papaleo sul palco

In un’ora ed un quarto, il gruppo poliedrico suona una serie di canzoni che passano in rassegna il repertorio di storielle che Papaleo ha vissuto. Da L’amore che se ne va a I treni che non si possono perdere, continuando con L’orchestra del paese e arrivando al picco con Maria Teresa, canzone in cui viene chiamata sul palco una ragazza del luogo, che cede alle lusinghe dell’attore lucano e si vede protagonista di un bel siparietto. Dopo il break di qualche minuto, la band ritorna sul palco ed esegue La Foca, brano con cui Papaleo si è fatto conoscere nei cabaret meridionali, prima di arrivare al grande pubblico con le esibizioni televisive. Tutti vengono invitati ad eseguire il movimento della foca, tanto che Papaleo conclude: “Alla fine ce l’ho fatta a farvi smuovere dalle poltroncine”.

“La gatta sul tetto che scotta”, Puccini e Marchioni deliziano il Teatro Comunale di Caserta

Vinicio Marchioni e Vittoria Puccini
Vinicio Marchioni e Vittoria Puccini

Sala gremita per la prima dello spettacolo teatrale “La gatta sul tetto che scotta”. Dopo la pausa per le vacanze natalizie, il Teatro Comunale di Caserta ha aperto il 2015 con una rappresentazione che molti in Terra di Lavoro aspettavano sin dalla pubblicazione del calendario dell’attuale stagione. I biglietti sono andati a ruba ed è stato difficile trovare un posto libero in sala. L’opera è tratta dal libro “La gatta che scotta sul tetto” del drammaturgo statunitense Tennessee Williams che nel 1955 ottenne il premio Pulitzer per la sua fatica letteraria. Il secondo riconoscimento di tale importanza per lo scrittore che nel 1948 ruppe gli indugi con Un tram che si chiama desiderio, conquistando per la prima volta nella sua carriera quella che è considerata come la più prestigiosa onorificenza nazionale per il giornalismo, per successi letterari e composizioni musicali. Tale opera è stata portata sul grande schermo dal regista Richard Brooks e vantava come protagonisti Liz Taylor e Paul Newman. Ultimamente anche Scarlett Johansson si è cimentata, con grande successo in tale parte.

La gatta sul tetto che scotta narra la storia di una donna, Maggie, che per alleviare la cocente situazione familiare in cui si trova, imbastisce una rete di bugie. Di bassa estrazione sociale, Maggie la gatta, teme di dover lasciare la casa ed il marito Brick, se non riesce a dare alla famiglia di lui un erede. Tra giochi passionali e abili caratterizzazioni, affiorano sensualità cariche di sottintesi e di contenuti inespressi o inesprimibili; all’ideale della purezza dei sentimenti si contrappone la dura realtà di un mondo familiare e sociale pieno di ipocrisie.

Maggie è impersonificata da Vittoria Puccini, resa famosa dalla serie tv Elisa di Rivombrosa che negli ultimi anni si è divisa tra tivù (dove tra l’altro ha interpretato Anna Karenina e si appresta ad impersonare Oriana Fallaci), e cinema dove ha lavorato con diversi registi tra cui Gabriele Muccino (Baciami ancora) e Lucio Pellegrini (La vita facile). Ad interpretare Brick, marito di Maggie, alcolizzato e sportivo fallito, è invece Vinicio Marchioni, attore reso popolare dall’interpretazione del Freddo nella serie televisiva Romanzo Criminale. Intorno alla loro relazione si fonda il testo di Williams, che è stato riadattato in versione teatrale dal regista Arturo Cirillo, produzione della Compagnia gli Ipocriti e Fondazione Teatro della Pergola.

Paul Newman e Liz Taylor
Paul Newman e Liz Taylor

La storia d’amore tra Brick e Maggie si sta consumando nell’alcol del primogenito di una ricca famiglia americana e nella preoccupazione della moglie che rischia di essere abbandonata, qualora non riesca a regalare un erede alla dinastia. La parte di Maggie la gatta calza a pennello nella Puccini che interpreta nel migliore dei modi una donna insoddisfatta, che vive la sua quotidianità con un malessere enorme. L’impossibilità di avere un figlio ne sta distruggendo l’animo, così come i problemi del suo rapporto trovano riscontro nella decisione di Brick di non dormire insieme nello stesso letto, preferendo passare la notte su un freddo ma più accogliente divano. Logorato dall’alcol e dal malcontento lavorativo, il marito passa le giornate a bere senza interruzioni, pensando al suo passato che sarebbe potuto essere entusiasmante e che invece ha subito un duro colpo a causa della morte del suo migliore amico Skipper.

Per tutta la durata dello spettacolo, Marchioni non cambia di una virgola il suo atteggiamento, riuscendo comunque a dimostrare quanto sia pesante condurre una vita con una persona che non si ami più. Nel loro rapporto entrano spesso a gamba tesa i genitori di lui, il capostipite Henry Pollitt (Paolo Musio) e la povera mogliettina Franca Pennone, che esprimono perfettamente l’amore ed allo stesso tempo la rabbia per il figlio Brick, primogenito preferito rispetto al secondo figlio Gooper che viene interpretato da Francesco Petruzzelli (la moglie è Clio Cipolletta).

Un’ora e quaranta di buon teatro che gli spettatori presenti nella sala del Teatro Comunale di Caserta hanno apprezzato, tanto da riservare un caloroso applauso ai protagonisti della pièce. A conferma che il Teatro Pubblico Campano ha fatto la scelta giusta ed ha regalato alla platea casertana uno spettacolo di buona fattura. Da migliorare la puntualità, poiché non si possono attendere venticinque minuti per l’inizio. In altri teatri italiani, sarebbe stato il finimondo. A Caserta no, perché la gente ama arrivare in ritardo.

TRENT’ANNI FA MORIVA EDUARDO DE FILIPPO

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Trent’ anni fa moriva Eduardo De Filippo era il 31 ottobre del 1984 .L’artista Eduardo non è mai disgiunto dall’Eduardo impegnato nell’analisi e nella critica dei paradossi della realtà. Chi ancora oggi si accosti alla sua opera senza tempo, eterna, non può che esserne profondamente toccato. Grazie Eduardo, rimarrai sempre nelle nostre menti e nei nostri cuori». Così il presidente del Senato Pietro Grasso in occasione della cerimonia dedicata a Eduardo De Filippo a trent’anni dalla sua scomparsa.«Abbiamo voluto intitolare questo percorso “Cantata delle parole chiare. Voci dal teatro di Eduardo in Senato” proprio perché è stato un uomo profondamente radicato nella realtà – della quale ci ha offerto, con estrema originalità, spaccati magistralmente rappresentativi – facendo della sua Napoli lo specchio del mondo», ha detto ancora Grasso. «Al teatro – ha continuato Grasso – De Filippo assegnava una funzione morale, una funzione pedagogica, una funzione di rinnovamento. Esempio ne sia il dibattito stimolante che seguì la prima di Filumena Marturano, dove veniva affrontata la problematica a lui cara della condizione dei figli illegittimi e l’idea stessa di famiglia. A lui dobbiamo una definizione suggestiva del Teatro: “Teatro significa vivere sul serio quello che gli altri, nella vita, recitano male”.

eduardo de filippo tre eduardo de filippo eduardo de filippodue

Noi non possiamo che essergliene grati. Grati per tutto ciò che con la sua ricca produzione ci suscita: le emozioni, i pensieri, le lacrime e i sorrisi. Il lavoro sull‟analisi degli stereotipi eduardiani vuole anche cercare una risposta all‟ossessione dell‟autore Eduardo De Filippo condannato, come attore a cercare la perfezione e come autore a non trovarla. In Eduardo c‟è l‟amarezza di un uomo deluso dalla scrittura che per lui rappresentò sempre un‟amante ideale. Eduardo aveva costruito parole ed emozioni attraverso le opere dei più prestigiosi autori di teatro, i giudici severi della sua scrittura erano Molieré e Shakespeare; perciò l‟assoluto diventava l‟ obiettivo della sua forma letteraria e rendeva maggiormente evidente l‟ urgenza di un cambiamento linguistico rispetto al modello scarpettiano. L‟ossessione per la scrittura si alimentava delle tante ore passate in giovanissima età a ricopiare i copioni di ogni genere drammatico nella compagnia di Eduardo Scarpetta; grazie a questa operazione l‟autore Eduardo De Filippo cresceva in consapevolezza e ridimensionava il manierismo eccessivo del teatro napoletano, a partire dal problema della scrittura scenica. Perciò il tema scarpettiano che pure si può leggere nella trama di Questi fantasmi! viene superato. Il protagonista è Pasquale Lojacono, uomo di mezza età in cerca un riscatto. Gli si offre la possibilità di andare a vivere gratis con la moglie Maria in un palazzo seicentesco, col compito di sfatare la leggenda che lo vuole infestato dai fantasmi. Pasquale, dimostrando l‟inattendibilità delle dicerie, spera di trasformare l‟appartamento in una pensione affittando alcune delle sue diciotto stanze. Il piano viene sconvolto dall‟arrivo in casa dell‟amante della moglie, Alfredo Marigliano, che sfruttando la leggenda dei fantasmi, ha trovato un modo per accedere indisturbato all‟appartamento. Alfredo si rivela per Pasquale un fantasma benigno, infatti lo colma di regali e gli fa trovare denaro in una certa giacca. Maria, disprezzando il comportamento da parassita del marito, decide di fuggire con l‟amante. A complicare la vicenda arriva un esercito di fantasmi: il cognato di Alfredo, i suoceri, i figli e la moglie. Pasquale li accoglie come anime in pena giunte dall‟aldilà. Il fantasma Alfredo disertando la casa di Pasquale lo condanna ad un‟esistenza misera, fino al giorno in cui decide di attuare una fuga d‟amore con Maria e viene fermato da Pasquale. Di fronte alle sue parole, Alfredo si ritira sconfitto, lasciandogli sul tavolo il necessario per uscire dall‟indigenza che lo affligge. Eduardo stesso dichiara che Questi fantasmi è una tragedia moderna: la capitolazione di tutti i sentimenti, la distruzione di tutti i poteri della nostra civiltà. È un momento di sbandamento del dopoguerra, che ha poi rivoluzionato tutto. I fantasmi chi sono? Sono tutti quelli che ovviamente vivono questa nostra vita e sono i fantasmi del passato che vengono agli occhi alterati di Pasquale Lojacono. Infatti, qual è la battuta di Pasquale Lojacono al finale del secondo atto, quando si affaccia al balcone e parla col professore? ‹‹Niente professore, niente! Tutto a posto i fantasmi non esistono i fantasmi siamo noi!››. Siamo noi che consolidiamo e portiamo avanti, a passo lentissimo, le leggi più anacronistiche e distruttive della terra. Nel gennaio del 1946, Eduardo rappresentò al teatro Eliseo Questi fantasmi. La trama può essere sintetizzata brevemente, anche perché gli elementi costitutivi sono gli stessi di tante farse e pochades familiari al pubblico. Il bordo esterno del lavoro tratta di un tradimento, perciò i protagonisti sono necessariamente il marito Pasquale Lojacono, la moglie Maria e l‟amante Alfredo Marigliano. Il lettore si aspetterebbe, quasi sicuramente, una peripezia come soluzione finale, ma l‟arrivo delle anime presenti nella casa, che Pasquale Lojacono si appresta ad abitare, complica la situazione. Eduardo nutriva molte perplessità sulla riuscita della commedia perché era certo che difficilmente il pubblico benpensante avrebbe accettato le verità scomode presenti nel testo. Servendosi di un incipit farsesco, l‟attore di consumato mestiere salva l‟autore e gli consegna le chiavi per entrare indisturbato nelle coscienze del suo pubblico. La commedia si offre alla percezione del lettore con lo stereotipo formale della farsa e con lo stereotipo tematico del triangolo amoroso. Da questa prospettiva l‟intreccio si complica perché gli avvenimenti saranno sempre trasformati in eventi. Le indicazioni della didascalia ci trasportano subito nel mondo di Questi fantasmi e introducono il deuteragonista della storia: un palazzo del Seicento, decisamente barocco. Contrariamente a quanto avviene nelle altre commedie Napoli fa sentire la sua presenza anzi la sua anima, infatti, come viene spiegato nella didascalia, il testo parla di anime, e la città stessa diventa un‟anima. Associare Napoli ad una coralità viva e palpitante è un‟operazione istintiva, direi quasi naturale, ma smorzare i suoni dei vicoli fino a soffocarli dentro la macchinosa architettura di un palazzo barocco è già un‟operazione di senso nuova. Il palazzo con la sua vetusta nobiltà diventa ossimoro della Napoli devastata dalla guerra. L‟anima dolente della storia, lo splendore avvilito dalla guerra, diventa ingombro; dimenticare il passato significa non accettare la sconfitta, nascondere una tradizione, culturalmente, prima che socialmente nobile. Sebbene una vulgata tradizionale, inquadri Eduardo in un ambito strettamente popolare, l‟autore scrisse per un pubblico essenzialmente borghese, perché, contrariamente a quanto si possa pensare, anche Pasquale Lojacono è un borghese, malgrado la sua presentazione sgangherata e goffa. Così acconciato, Pasquale si staglia come un incrocio fra Pulcinella e Charlie Chaplin, ma evoca anche altre figure clownesche, che costellano i drammi di Beckett e Ionesco e che verranno riprese, in contesti e con obiettivi diversi, da altri autori. In questo modo, Donatella Fischer descrive l‟apparenza dell‟anima in pena in Pasquale Lojacono. Nel riprendere la definizione di Anna Barsotti che parla di vinti defilippiani, la studiosa mette in evidenza il carattere particolare di questo personaggio, che rispetto agli altri vinti porta dentro di sé una carica emotiva che induce rispetto e ammirazione, e lo proietta oltre la contingenza di una realtà ostile e difficile. I tentativi di Lojacono di pareggiare i conti con la vita, credendo che il benessere lo possa appagare, sono il portato di una mentalità borghese a cui Pasquale sta consegnando il suo sogno d‟amore. Le sue inquietudini sono ancora intrise di un romanticismo credibile che non si ritrova nei personaggi di Beckett e Ionesco. Anche se diversa è la temperatura emotiva, uguale è la febbre; così il pulcinella chiassoso e scomposto della commedia dell‟arte e lo straniato e malinconico clown del teatro europeo condividono la stessa visione tragica della vita. Lo stereotipo della Napoli folklorica ed eccessiva non è mai utilizzato se non in chiave critica, il testo scritto descrive personaggi in rapporto dialettico con una tradizione filosofica-comportamentale che fa della parola un‟arma di sottile seduzione o di pesante condanna. Nelle farse di scarpettiana memoria, riprese e in alcuni casi riscritte da Eduardo, l‟eccesso è assente e i testi regalano personaggi che hanno già il rigore espressivo di quelli presenti nella Cantata dei giorni dispari. Anche nella commedia Non ti pago, il mondo dei morti dialoga con quello dei vivi suggerendo i numeri “giusti” per il Lotto. Dietro il gioco e l‟innocenza dell‟illusione si nasconde la dispotica volontà di Don Ferdinando, gestore per tradizione familiare, di una ricevitoria. Il protagonista aveva passato tutta la vita accarezzando il sogno di una sua vincita e durante anni di onorato servizio aveva consegnato altre vincite ad illustri sconosciuti, assistiti da anime evidentemente più generose dei suoi trapassati. Quando Don Ferdinando affitta a Bartolini, personaggio di brillante e fortunato avvenire, la stanza del suo appartamento dove un tempo dormiva, gli viene giocato un tiro mancino. I numeri “salvifici” vengono dati dal padre di Don Ferdinando proprio a Bartolini, giovane e futuro genero. L‟inutile tentativo di non risarcire il vincitore è destinato a fallire anche in virtù della motivazione pretestuosa: l‟anima del trapassato in buona fede avrebbe indovinato il posto ma sbagliato persona, non poteva sapere del suo cambio di stanza. Il determinismo empirico di Don Ferdinando, al limite del blasfemo, fonda i suoi presupposti su motivazioni storico-culturali di cui bisogna tener conto per capirne il radicamento sociale e la sua influenza sulle creature eduardiane. Annibale Ruccello, autore di cui si tratterà in seguito, analizza la causa di questa commistione tra sacro e profano nella sua tesi di laurea, recentemente pubblicata col titolo Il sole e la maschera: I problemi connessi alla fede e all‟ortodossia assumono a Napoli delle caratteristiche originali a confronto dei rimanenti stati italiani, venendosi a stratificare su di una problematica religiosa con forti addentellati con la cultura dei dominatori spagnoli e su di una complessità di esigenze e di bisogni propri delle classi subalterne meridionali che per motivi di ordine storico…avevano elaborato un‟esperienza culturale che sfociava nell‟irrazionale e nel fantastico ricoperti da un velo di autentica religiosità. Ruccello si riferisce al particolare momento degli ultimi decenni del Seicento e dei primi del Settecento, epoca in cui opera il gesuita Andrea Perrucci, autore della Cantata dei pastori. Il testo modellizzante delle sacre rappresentazioni campane dimostra come l‟irridente spirito partenopeo non venne fermato neppure dall‟oppressione moralizzatrice della Controriforma. Questa strana religiosità che convive con la credenza senza soggezione culturale è alla base di un vissuto comune che rende serissimo lo sdegno di Don Ferdinando e l‟ 17 incredulità di Pasquale Lojacono. Il lieto fine d‟obbligo nella Cantata dei giorni pari, non basta a costruire l‟illusione di un testo nato per divertire. Lo smarrimento di Don Ferdinando è troppo profondo e nasconde un dolore radicato nella solitudine di una famiglia che non riconosce più l‟autorità paterna e affila le armi del rancore spingendolo al riscatto di un‟improbabile vincita. Il protagonista di Non ti pago porta dentro sé in modo dirompente i segni di una disillusione personale e generazionale, mentre Pasquale Lojacono razionalizza in un ironico distacco la sua marginalità esistenziale, riuscendo a giocare con le sue anime e vincendo la sua partita. La forma drammaturgia della commedia salva Don Ferdinando nello stesso modo in cui la costruzione del personaggio restituisce ad un uomo lacerato e offeso, Pasquale Lojacono, una rinnovata dignità. La caparbietà e la disperazione di Don Ferdinando sono il negativo della fotografia di Pasquale Lojacono. Grazie alle anime, presenti in Questi fantasmi, si stempera la tragedia che i personaggi portano, ciascuno a suo modo, a compimento. La linea di sottile demarcazione che separa la realtà dalla finzione serve a isolare nel tempo e nello spazio la verità indicibile: la realtà non può essere vissuta alla luce della coerenza. Pasquale potrebbe non credere nei fantasmi, ipotesi che il testo non esclude né conferma esplicitamente, ma nessuno potrebbe evitare il tormento di vedere il rivale Alfredo in tutto lo splendore economico, se non intervenisse un‟irrazionale credenza a lenire lo stato di impotenza che lo imprigiona. Se sapesse, dovrebbe vedere, ma lo straniamento vero o presunto gli concede l‟unica via di fuga e libertà possibile in una società, quella dell‟Italia del 1945, dove la coerenza significa cieca obbedienza ai ruoli e una moglie che tradisce viene esposta al dileggio della comunità. Nonostante gli stereotipi utilizzati indirizzino la nostra attenzione in senso opposto, le azioni di Pasquale sono guidate da una logica diversa, non rintracciabile nelle dinamiche comuni, per le quali la delusione legittima di Maria passa per una richiesta di attenzione tacita e imperiosa. La lucida disperazione e lo straniamento conseguente sono l‟effetto più originale di quel pirandellismo che parte della critica ha indicato come attivo nelle opere di Eduardo e soprattutto in Questi Fantasmi. L‟uso dello stereotipo, dunque, gli permette di effettuare un‟operazione che non sarebbe riuscita così bene ad altri autori. Il rapporto con Pirandello gli aveva permesso certe confidenze, autorizzate anche da una naturale inclinazione per il mistero delle contraddizioni che dominano gli uomini perfino nei momenti più felici. Secondo Taffon l’ incontro fondamentale con Pirandello negli anni 1935-36, sia come regista di Liolà (dirigendo il fratello Peppino), sia come attore protagonista nella versione napoletanizzata de Il berretto a sonagli, sia infine, come drammaturgo nell‟elaborazione svolta gomito a gomito con il grande scrittore siciliano della novella di quest‟ultimo L’abito nuovo (che porterà in scena l‟anno successivo alla morte del grande autore) spingerà Eduardo a una maggiore sicurezza e consapevolezza nell‟elaborazione anche tecnico-drammaturgica del suo repertorio che vedrà aumentare le commedie scritte in tre atti; gli permetterà pure di superare quell‟impostazione farsesca troppo legata agli effetti ed ad una ‹‹compressione›› dello svolgimento drammatico che gli aveva assicurato il favore del pubblico, senza doverselo alienare. L‟allievo Eduardo gioca con i testi di Pirandello e osa scrivere alla sua maniera:

ARMIDA. (con tono di voce opaco) Signore, voi in me non vedete una donna, in queste figure vedete una famiglia.. Voi vedete cinque fantasmi.

PASQUALE. (rassicurato dalla dolcezza di voce di Armida) Accomodatevi. [….]

ARMIDA. (accettando di buon grado l’invito) Grazie. (Tutti prendono le sedie e siedono a loro volta) Io sono morta un anno e mezzo fa.

PASQUALE. Ah è recente (Tuono in lontananza).

ARMIDA.Queste due figure di adolescenti (Li mostra) Pulisciti il naso tu.. (Col fazzoletto pulisce il naso alla femmina). E tu… (al maschio che in quel momento è in preda al tic) smettila controllati…Lo fai apposta…(a Pasquale) È uno spirito di contraddizione… Queste due figure di adolescenti, vi dicevo, sono due morticini (Tuono più forte. Armida, tragica per la sua freddezza). Io fui uccisa mentre amavo, nell‟istante in cui le vibrazioni del mio cuore, del mio cuore, del mio animo, dei miei sensi…capitemi, toccavano l‟acme della completa, capitemi, completa felicità…

PASQUALE. Proprio in quel momento?…Che peccato!

ARMIDA. Uccisa perché murata viva in una casa fredda e triste47. 19

Lo stile pirandelliano, così facilmente riconoscibile, viene profanato dal contenuto comico e dalle indicazioni delle didascalie: un gioco che manifesta nella sua realizzazione il desiderio di mostrare la contaminatio e che ha come effetto secondario, ma non trascurabile, quello di regalare all‟autore siciliano una popolarità che in quel momento Pirandello non aveva. L‟ operazione giova al canone perché da un lato rende familiare il pirandellismo e dall‟altro sottolinea la nascita di una forma nuova della scrittura teatrale. In questo senso Eduardo si pone come mediatore culturale d‟eccezione rendendo la costruzione razionale dei personaggi pirandelliani non più eccessiva ma stereotipa. De Filippo inventa lo stereotipo “Pirandello” e porta lo sberleffo del guitto alla serietà dei suoi personaggi, rendendo giustizia ad un desiderio di prossimità e identificazione che segna un distacco intellettuale fra il pubblico e l‟autore siciliano. Questo tributo al grande amico rallenta i ritmi del testo e nuoce all‟unità stessa della commedia o meglio della tragedia moderna, ma risulta un utile travestimento per arrivare ad un pubblico più vasto e traghettare i fantasmi fuori del castello incantato della sua coscienza di scrittore. Secondo Ugo Piscopo:

Di confidenze e di scambi di favore con le forze latenti della vita, la novellistica e il teatro napoletani abbondano. Ma in nessun testo, in nessuna rappresentazione appartenenti alla tradizione si delinea un‟atmosfera allucinatoria-visionaria come in questo lavoro di Eduardo, che, piuttosto nella sua tessitura e nei suoi effetti, fa pensare a quelle cornici di assurdo entro cui molti personaggi pirandelliani, sia della narrativa sia del teatro, liberano solitarie e strane fabulazioni, presentano liste di conti da risarcire, rivendicano per il sogno una dimensione e un significato di valore. Eduardo vuole scuotere il pubblico dalla passività e dall‟indifferenza di fronte ai problemi che chiedono una risposta e si depositano nelle coscienze sino a bloccarle e a limitarne in modo totale la capacità d‟espressione. Quest‟esigenza detta la sua cifra stilistica e nell‟analisi della poetica, sottesa alla scrittura della commedia, la costruzione dei personaggi rappresenta uno degli elementi più significativi. Il testo vive di un‟irrisolvibile ambiguità, perché manca una caratterizzazione psicologica rigorosa e coerente. Grazie allo stereotipo, la soluzione di Questi Fantasmi! sarebbe semplice e consolatoria per tutti, anche per i personaggi se avessero un’anima dolente e vera. Ma pur nell‟evidenza degli esiti niente di scontato si offre alla percezione del lettore. Lo schema attanziale rappresenta un valido aiuto per capire le ragioni dei nostri fantasmi: Il modello attanziale si serve di un gioco di forze per rendere conto delle strutture profonde dell‟opera. Tali forze (simbolizzate da un sistema di frecce) non devono necessariamente coincidere con i personaggi. Esso si presenta nel seguente modo: Si tratta innanzitutto, d‟individuare l‟asse principale che traduce la dinamica dell‟opera, letteralmente il suo motore, isolando il soggetto e l‟oggetto dell‟azione e ciò che li riunisce, la freccia della volontà, del desiderio. Scriviamo, quindi, che S→O. Dobbiamo determinare l‟identità del soggetto nel testo, tenendo presente, però che è impossibile separarlo da ciò che lo lega all‟oggetto e costituisce la ricerca. Il soggetto può quindi coincidere con l‟eroe, benché ciò non sia sempre vero. L‟individuazione di questa coppia centrale è determinante, ma si svolge completamente al di fuori della psicologia, perché il soggetto e l‟oggetto sono necessariamente legati e il punto essenziale è questa dinamica che li unisce. Seguendo questo schema, e volendo rimanere fedeli ad una tipologia che rende attivo lo stereotipo, si possono, senza dubbio, riempire le caselle in modo tradizionale. Alcune caselle non pongono alcun problema e rispettano le nostre attese, ma altre ci conducono alla complessità che il testo manifesta e nasconde. Anne Ubersfield, nel parlare delle forze attanziali, rimarca la necessità di non fermarci ad una sola ipotesi ma di procedere con uno schema diverso, specialmente nel caso di un testo particolarmente complesso. Una comparazione dei due schemi ci permette di entrare nella dinamica di un agire individuale che si trasforma in passività o rassegnata accettazione. Di fatto, l‟interesse dello schema attanziale è quello di offrire una cornice propizia alla manipolazione delle forze che si affrontano nel testo, e attraverso ciò, insegnare, provando diverse soluzioni, a diffidare delle evidenze. Lo schema I rappresenta la storia ponendo al centro Pasquale Lojacono ed il rapporto che unisce il protagonista a Maria, espresso dal verbo amare. Ma quando ci troviamo a rispondere alla domanda proposta dal destinatario (per che cosa?), alcune osservazioni ci fanno propendere per una soluzione inaspettata. Le ombre che si allungano su Pasquale sono insidiose e imperscrutabili, quanto e molto più dei suoi fantasmi. Il dirimpettaio di fronte, l‟illustre professor Santanna, gli ricorda la “sentita partecipazione della gente” allo scialo dei triti fatti, anche quando un rispettoso silenzio eviterebbe deflagranti esplosioni emotive. Pasquale, che potrebbe vivere con strategico distacco la sua situazione sentimentale, è costretto a tener conto dei sussurri e delle chiacchiere così come dello sguardo di silenziosa riprovazione e della ossessiva presenza del professor Santanna. Il controllo sociale condanna l‟ uomo che ha fallito nella realizzazione economica e nel matrimonio: contaminato nella sua essenza più profonda, l‟amore per Maria perde la sua forza. Di fronte al terribile verdetto Pasquale agisce prima di tutto per lavare la colpa e cercare il riscatto. Ma l‟obiettivo non è più Maria e quindi se stesso: un misto di ambizione e appagamento lo ubriacano e gli fanno trovare la strada della rivincita. Il calice amaro viene addolcito dall‟illusione della vittoria anche se il controcanto di Maria rivela il senso di un amore perduto. GASTONE. Ve l‟ ho detto: una santa, siete una santa! E…vostro marito? MARIA. Più agitato che mai. In certi momenti mi fa paura…Pieno di debiti. Ha già venduto diversi mobili. La pensione forse, avrebbe potuto rendere perché cominciava a venire qualcuno, ma sapete manca diversa roba. L‟ uomo che ci fornì la camera da bagno, ci ha fatto il sequestro, e mio marito sapete cosa mi ha detto ieri sera? Non ti preoccupare, quello che mi faceva trovare il denaro non si è fatto più vedere… Ma vedrai che qua torna. Nel lettore rimane molto viva e forte la percezione di uno stato alterato della coscienza che domina Pasquale al punto da confondere la veste istituzionale del matrimonio con la sacralità di un rapporto di affinità elettiva che non ammette trucchi e scorciatoie. In questa visione allucinata i fantasmi rappresentano i suoi alleati, anche se il testo tradisce un‟insofferenza di Pasquale verso queste presenze; infatti la sua costruzione si regge grazie ad un solido impianto razionale. La sua passività apparente gli serve per allontanare i morsi della gelosia e consentire che Maria ami Alfredo; il copione così costruito serve a sollecitare in Maria una scelta che altrimenti non potrebbe essere totale. Cosciente che un‟imposizione non regala alcuna sincerità d‟ affetto, Pasquale martoria il suo essere, animato dalla certezza che la vittoria sarà sua. Ogni nobile convinzione soccombe davanti alle regole della rispettabilità sociale e il sipario si chiude nel momento in cui ogni certezza si spegne nel buio. Lo schema II mette al centro il personaggio di Alfredo Marigliano, l‟amante di Maria. Alfredo entra in scena nel più tradizionale dei modi, nascosto dentro un armadio. Un‟altra volta, come già era accaduto per la prima grande entrata in scena di Pasquale, l‟effetto comico suggerisce una possibilità d‟ interpretazione che viene indicata da uno stereotipo: Vedi Mari‟, io rispetto le tue idee; però tu conosci le mie…Non è colpa tua. Te l‟hanno ditto, l‟hanno predicato, o‟ ssapive primma ‟e nascere ca‟ e cose se fanno ‟e nascosto. Ma il mio progetto non cambia. E se è vero che non si può pretendere di cambiare da un momento all‟altro tutto l‟ordinamento di una vita sociale, ti garantisco che l‟ordinamento di un solo mondo, quello nostro, lo cambierò io. Con mia moglie ho parlato chiaro I figli andranno per la loro strada, so‟ grosse…Pago, pago la penale per essere venuto meno ad un contratto, nu piezzo ‟e carta ca, quanno l‟hê firmato, è comme na condanna a morte… ca te ncatena pe tutta‟ ‟a vita. Il fantasma- Alfredo con poche battute dimostra un‟ insofferenza per il ruolo di mante, un senso di caldo affetto scioglie il lettore e lo induce ad ascoltare le ragioni della sua passione. Questa scelta drammaturgica è dettata dalla forte esigenza di presentare non solo l‟amore clandestino di Maria e Alfredo, ma anche i tanti, gli altri amori clandestini secondo un‟ottica diversa da quella della vergogna e del peccato. L‟ Italia del periodo, dominata dal perbenismo borghese e dal pensiero cattolico, rendeva difficile l‟affermarsi di un pensiero liberale e autoreferenziale. Succedeva così molto spesso che la coscienza del singolo accettasse costrizioni laceranti; pochi erano capaci di scelte radicali, pochissimi sapevano sopportare le inevitabili conseguenze. Eduardo così ci descrive Alfredo: È Alfredo Marigliano. Il suo modo di parlare, il tono della sua voce possono caratterizzarlo a prima vista un mezzo nevrastenico esaltato, al contrario egli è solamente un sentimentale, cultore del libero pensiero e della sua indipendenza. L‟appartenenza di Marigliano allo stereotipo dell‟amante da pochade risolverebbe la problematicità del personaggio che invece si pone come coscienza critica di una società. L‟agire sicuro e determinato riversa su Alfredo una luce di modernità e anticipa necessità e istanze che verranno rivendicate in modo più deciso negli anni a venire. La Fischer mette l‟accento su un aspetto importante per la comprensione di Alfredo e Pasquale. Per quanto prevaricante nella fabula e strutturato in maniera complessa, Pasquale porta avanti la sua battaglia in modo parallelo ad Alfredo. Lojacono lotta per riconquistare il cuore di Maria e quindi il suo posto nella società, Marigliano lotta per conquistare Maria e affermare la sua libertà esistenziale. Le simpatie del lettore sono equamente distribuite fra i due personaggi, perciò il confronto finale è un duello di coraggiosa vigliaccheria. Sottolinea la Fischer: Da un punto di vista teatrale è la prima volta che Pasquale e Alfredo si trovano fianco a fianco di fronte al pubblico, e la loro posizione è significativa poiché ora entrambi si trovano al cospetto della loro giuria, ognuno con la sua storia, con le sue aspirazioni e con i suoi torti. Alfredo è spaventato nel vedere Pasquale e sentendosi colto in flagrante, cerca di sfuggire, ma Pasquale lo ferma e proprio come in un processo (e si ricorda nuovamente il ricorrere di quest‟ immagine), è il primo a prendere la parola e discolparsi per le sue azioni nel suo ultimo lungo monologo54. La pagina scritta rende più evidente questo scontro, in quanto, privati dell‟interpretazione registica, senza le inevitabili coloriture dettate dalle esigenze sceniche, i personaggi, anacronistici e sconfitti, si presentano in tutta la loro vulnerabilità. È una confessione laica: il monologo appassionato di Pasquale, il suo dolore sotto chiave determina la decisione di Alfredo. La frase ‹‹Hai sciolto la mia condanna››, giganteggia nella coscienza del lettore e sbarra la strada ad ogni soluzione positiva. La parola condanna è sapientemente collocata dopo il verbo sciogliere; quanto il verbo suggerisce una sensazione di libertà e piacevolezza tanto in ossimoro il nome ‘condanna’ identifica il limite e la costrizione. La scelta di Alfredo lo porterà a cercare Maria, questo fantasma, in altri sguardi, in altre apparenze, privato della sua ragione esistenziale viaggerà nella vita estraneo a sé e agli altri. La pietà pirandelliana incontra la forma di Eduardo e detta le struggenti parole di Marigliano. La scrittura eduardiana è una partitura di italiano e dialetto in cui i due codici linguistici dialogano tra loro regalandosi a vicenda dolcezza e asperità. Scrive il Bisicchia: nella scrittura, nella sua concezione di far teatro c‟è un “intuito” realistico che diventa espressione teatrale, mezzo immediato di comunicazione, piuttosto che un realismo di maniera. Ma questo intuito è anche poesia. La parola eduardiana è sempre più proiettata alla ricerca di significati universali, diventa contemporaneamente corposa e diafana, la si coglie e poi ti sfugge perché tende all‟assoluto. Se in Questi fantasmi! la costruzione dei personaggi è sempre ambivalente per quanto riguarda Maria, Eduardo riesce a caricare la sua presenza di tanti e tali interrogativi da renderla necessaria malgrado non sia possibile capire in modo chiaro i suoi desideri e le sue ambizioni. Ancora Donatella Fischer: Maria è lasciata nell‟ombra, di lei non si sa niente, non si ha accesso ai suoi pensieri, né si sa veramente perché abbia un amante. Eppure il suo silenzio merita di essere “ascoltato”, in quanto esso appare non come la caratteristica di una donna insignificante e soggetta alla volontà del marito, ma come una condanna di quest‟ultimo. Non a caso Maria non resta mai in sua presenza, ma si ritira in altre stanze, lontano dalle allucinazioni di Pasquale. In tal modo, la rimozione del personaggio e l‟assenza di dialogo che ne deriva, mettono in evidenza la profonda spaccatura tra Pasquale e la moglie Anche se non giganteggia nella commedia, Maria impone una considerazione e un rispetto comune alle “donne di Eduardo”. Di certo soltanto Pasquale continua a pensare che la sua crisi di coppia sia dovuta ai suoi rovesci economici, ma per le coscienze non alterate dai fantasmi, il male di Maria ha la concreta disperazione di un male di vivere, di uno spaesamento che viene da lontano. Maria è una donna del dopoguerra troppo fragile per camminare da sola, ma che sente l‟ impossibilità di dividere la strada con un compagno che le riserva lo spazio della sua ombra. Eppure basterebbe un atto di coraggio da parte di Pasquale perché le ragioni del suo adulterio si dissolvessero. Nelle parole di Maria si legge la delusione per un progetto di vita fallito, ma ancora di più il disprezzo per l‟accettazione incondizionata di un futuro senza dignità. Con imperiosa fermezza, anche con un‟asprezza di toni a lei inusuali, Maria, in 27 un ultimo estremo tentativo, vuole condividere con Pasquale un senso di appartenenza sacrale e biologico, che non ha ancora il sapore della consapevolezza ma che connota la sua qualità d‟amore. Questa strana creatura che sussurra invece di parlare, con rare eccezioni, è un essere dimidiato; l‟ educazione tradizionale l‟ha abituata al silenzio e soprattutto a realizzare se stessa attraverso il matrimonio, perciò nell‟ombra continua a desiderare e a soffrire. Il fantasma della “donna cosmetica” sicura e determinata, non alberga in lei. Le attenzioni di Alfredo non avrebbero possibilità di successo se Pasquale accettasse di giocare la sua partita con i sentimenti, esse rispondono al senso di vuoto di Maria e alla sua remissiva accettazione che da silenziosa si è trasformata in disperata. Colmare il vuoto di Maria è un‟impresa molto al di sopra delle possibilità di Pasquale e anche dei suoi lettori-spettatori a lui contemporanei che avidamente aspettavano di trovare un po‟ di sé in questo strano napoletano dalla flemma inglese. Il vento impetuoso della modernità non può ancora spazzare le certezze sedimentate da secoli di inalterate abitudini. Per questo Eduardo mette in bocca a Pasquale delle parole che risolvono le “bizzarie” di Maria, dettate dal rassicurante stereotipo maschile sulla donna: MARIA. Ma tu che vuoi da me? Ci siamo sposati, cinque anni fa, fidando sulle tue speranze di riuscire a vincere, come dicevi tu. Queste speranze ci hanno aiutato a vivere, Dio lo sa come, fino ad oggi, e ancora nelle mani della speranza stiamo affidando il nostro avvenire. Tu dici che io non parlo…E ringrazia a Dio! Ti seguo faccio chello ca vuo‟… Ma che vita stiamo facendo?…Questi soldi da dove vengono?…Questi mobili, in casa, chi li ha messo?

PASQUALE. E a te che te mporta?

MARIA. Comme che me ne importa… la gente domanda. Dice: ‹‹Ma vostro marito non parla?››

PASQUALE. E perché la gente deve sapere i fatti nostri? Si capisce che non parlo. Non sono cose che si dicono…Non ne devo parlare…e nemmeno con te…specialmente con te… Ah tu perciò staie ‟e malumore?… E io l‟avevo capito!… Maria mia, ma tu ti vuoi spiegare troppe cose! Già non sarisse femmena. Gelosia, di‟ la verità?… Non fare la sciocca, Marì‟. Tu devi pensare una sola cosa, mio marito non è scemo. Finalmente siamo riusciti a metterci un poco a posto…›› Come? Non ha importanza… Finalmente… ecco: c‟è un‟anima buona che ci aiuta, e speriamo che ci aiuti sempre più per l‟avvenire. Tu sei felice. Io son contento: tiriamo avanti e chi vó a Dio, ca s‟ ‟o prega.

Questa dichiarazione di inferiorità della donna è uno schiaffo alla ragione ed anche al progresso che lambisce i personaggi di Questi Fantasmi! senza mai attraversarli. Questo stereotipo proprio nel momento in cui viene esibito con forza mostra la sua debolezza, non solo per il suo ovvio anacronismo, ma anche per la sua evidente pretestuosità. Appare chiaro che Pasquale sceglie un‟arma facile per risolvere il suo imbarazzo. Grazie alle sue solide costruzioni, ossificate nel tempo, lo stereotipo sociale si offre con semplicistico pragmatismo ai meccanismi più conservativi della convivenza sollecitando un‟impermeabilità alle dinamiche dialettiche. Al di fuori della sua struttura chiusa ma funzionale, si colloca un‟umanità abitata da una confusione benefica, rivelatrice di un‟autonomia di pensiero. Un personaggio che sembra soddisfare un‟esigenza di rassicurante tranquillità è il Professor Santanna. Chiarisce Maurizio Grande: L‟ unica presenza che ci richiama alla realtà è l‟occhio libero da pregiudizi e illusioni che guarda dal di fuori cosa accade nella casa dirimpetto. È, in fondo, l‟unica istanza razionale della commedia, è lo specchio che non mente, la presenza non allegorica; il tutore della “normalità” e la fonte di un giudizio non alterato dalla implicazione nel gioco che si tiene nella casa dei fantasmi. Il giudizio espresso da Maurizio Grande anche se non riflette le caratteristiche che il personaggio ha nell‟opera, risulta invece calzante nel rappresentare il ruolo che lo stereotipo affida alla figura del professore. La sua è una figura taumaturgica, in quanto per definizione rappresenta la saggezza e la cultura; con la sola presenza regala a Pasquale una serenità che allontana dubbi e fantasmi. La parola Professore, nel linguaggio cifrato napoletano, è circondata da un alone di sacralità; pronunciata in modo pomposo e sottolineata da una doverosa pausa, pone il malcapitato destinatario del “titolo” in una situazione difficile. Ogni sua erudita dissertazione deve passare il vaglio della curiosa e spregiudicata intelligenza del pensiero partenopeo e se la prestazione risulta deludente, «o professo‟» perde la sua aura in maniera irrimediabile. Messo alla prova, Santanna non sembra incarnare valori altamente culturali; sappiamo molto poco di lui e le notizie del portiere Raffaele ci raccontano di un uomo schivo e riservato, dedito alle lezioni private. Per quanto Pasquale e Santanna siano distanti culturalmente, entrambi sono figure raggomitolate dentro ambienti claustrofobici; il primo nel “palazzo barocco” e il secondo dentro “una casa angusta” quanto il suo orizzonte esistenziale. Santanna, anche forse per reazione alla marginalità sociale di uomo vedovo e pensionato, legge la realtà dalla prospettiva del suo balcone.

È in virtù di questa similarità di punto di vista, da questa presunta obiettività di sguardo che lettore e pubblico si identificano con Santanna. Uniti da un destino comune entrambi si trovano privati del filtro della quarta parete e ad una distanza troppo ravvicinata dalla miseria e nobiltà di Pasquale. Grazie a questa confidenza eccessiva, quasi imbarazzante, Eduardo smonta il suo stereotipo. Le notizie delle strane visioni non sono solo avvalorate dalla mente semplice di Raffaele, ma anche dal colto dirimpettaio che intrattiene con Pasquale argomentate dissertazioni sui fantasmi “aromatizzate al caffè”. Il professore parla per interposta persona, infatti non una parola viene detta da lui; è la voce del silenzio, la stessa che sostituisce le ragioni della cultura con la facile diceria e il banale chiacchiericcio nella società. Santanna diventa il correlativo oggettivo del vuoto d‟attenzione di parte della critica, in generale per la produzione teatrale e nello specifico per le sue commedie, dovuta anche a un pregiudizio che ritiene il teatro un sottogenere della letteratura. Eduardo chiede un impegno più deciso agli intellettuali, per evitare che i giovani autori del nuovo teatro italiano sprofondino nella palude dell‟indifferenza e il potere indisturbato costruisca un pensiero di “Stato”. In un‟ Italia dove ancora non esisteva la televisione, il teatro e il cinema erano l‟unico luogo della riflessione e del confronto, la comunicazione era dettata da regole espressive diverse ma sia il teatro che il cinema declinavano un pensiero libero in cui l‟orizzonte d‟attesa si identificava. Nella produzione teatrale del dopoguerra Giorgio Pullini evidenzia due nuclei importanti: Potremmo definire, grosso modo, i due filoni principali, quello dei processi morali e quello dell‟ amoralità innalzata a morale, riflettono due momenti successivi del dopoguerra e conseguono internamente l‟ uno dall‟altra. Ma direi che il primo assorbe in sé, nel suo tono investigativo, anche il secondo: lo scadimento dell‟azione morale in azione causale, pratica, arrivista, giustificata in se stessa al di fuori di qualsiasi coerenza ideologica, continua ad uniformarsi al metodo dell‟ inquisizione dei pensieri, del dibattito intellettuale. Santanna come giudice degli straordinari fatti di casa Lojacono è un personaggio dentro l‟innovazione formale di Eduardo ma fuori dal dibattito intellettuale del teatro europeo. Il lettore, più ancora che lo spettatore è in grado di cogliere una qualità diversa, una inquietudine che viene da lontano. Per quanto riguarda l‟atto performativo, le dinamiche della scena con i monologhi di Eduardo sui balconi chiamano in causa lo spettatore, il pubblico capisce di essere investito di un ruolo diverso rispetto al passato. Il pubblico, nella felice definizione di Giorgio Taffon «teatralizzato» nella figura del Professor Santanna, è l‟unico veramente capace di una lettura critica e consapevole dell‟atto rappresentativo.

Il professore, chiuso nello stereotipo della sua rappresentazione, anche se riassume davanti agli occhi di Pasquale le caratteristiche dell‟uomo di cultura, tuttavia resta escluso dalla comprensione profonda dei fatti. Il mancato o il raro incontrarsi di Maria e Pasquale in Questi fantasmi! somiglia all‟incomunicabilità presente in altre coppie del teatro europeo a cui manca l‟aiuto di benefici fantasmi. Taffon indica nel dramma del 1944, il Malinteso di Camus, una similarità di trama e di tematiche: Il 1944 è l‟anno della pubblicazione e dell‟andata in scena del malinteso di Camus, uno dei drammi di riferimento del cosiddetto ‹‹teatro dell‟assurdo››, dove Marta e la madre gestiscono una locanda, uccidono gli occasionali pensionanti per poter accumulare un po‟ di denaro riscattandosi dalla miseria, e, per un ‹‹malinteso›› arrivano ad uccidere Jan, fratello di Marta, capitato fra loro in incognito dopo molti anni, proprio per donare un po‟ di benessere alla famiglia […] Da una piccola città della Boemia, dove si ambienta il dramma camusiano, tale perché il malinteso diviene esistenziale impasse etica dell‟agire, alla grande città di Napoli; da un impossibile senso tragico (non c‟è nel dramma camusiano catarsi, redenzione, e il capo espiatorio nulla insegna) all‟ambigua comicità, mista a compassione, che le vicende di un piccolo borghese, napoletano, Pasquale Lojacono, propongono, tramite l’amore transitivo del suo interprete, che ne assume tutte le sfumature caratteriali, il linguaggio, la fisiognomica, e che, proprio per la sua libertà creativa, lo impongono al pubblico con tutte le sue ambiguità di possibile ipocrita: anche Pasquale vuole tirare fuori se stesso e soprattutto sua moglie Maria (lo stesso nome della compagna dello Jan camusiano), gestendo una pensione; e anche Pasquale rimane dall‟inizio vittima di un ‹‹malinteso›› proprio lui che si dice incredulo di fronte alle ipotetiche presenze di fantasmi in quella casa seicentesca, scenario di antichi fatti cruenti (come la locanda di Camus lo è di omicidi, però commessi al presente. Il teatro dell‟assurdo sbarca a Napoli, un assurdo napoletano, dove i silenzi di Eduardo riecheggiano quelli di Beckett ma nella sostanza fanno rivivere la profondità dell‟agire napoletano che è parco di modi, e piuttosto affida ad una gestualità istintiva ed essenziale l‟espressione del disagio rispetto all‟allegria esibita a bella posta in risposta alle aggressioni della vita. Il commediografo, pur essendo profondamente convinto che l‟eleganza partenopea giacesse sepolta nello stereotipo del chiasso e dell‟eccesso, non mancava di rappresentare personaggi popolari dotati di una loro nobiltà anche se le difficoltà economiche e la professione incondizionata dell‟ “arte di arrangiarsi” ne adombrava le esistenze. Senz‟altro il portiere Raffaele è un degno esponente di questa stirpe di nobili-pezzenti. Giorgio Taffon scrive di lui: Il fondamentale personaggio del guardiaporte, in un certo senso custode e baluardo della linea di confine che divide il mondo esterno della strada dall‟ interno, diventa qui mediatore del contatto con i fantasmi oltre che del dialogo col professore Santanna, gli uni e l‟altro collocati in un‟altra dimensione. Proprio per la sua propensione relazionale Raffaele non è tuttavia solo dialettofono: nelle frasi che rivolge al Professore e nei dialoghi con Pasquale Lojacono mostra di saper dominare con sufficiente adeguatezza l‟italiano. Indubbiamente Raffaele svolge molto bene il suo compito e accoglie noi e Pasquale nel palazzo secentesco, informandoci minuziosamente sull‟ oscuro passato dello stabile e raccontando una storia che nelle intenzioni dell‟autore ha il compito di anticipare il dramma di Pasquale e Maria. Nei momenti cruciali della commedia contrappunta con una bonomia che si tramuta in ironico disprezzo, gli allucinati atteggiamenti di Pasquale. Capace di briosa simpatia come di giudizi inappellabili, il “custode dei fantasmi” ci stupisce per un‟ insospettato gesto di pietà nei confronti di Maria. Succede a nu cierto punto, che fra marito e moglie nasce quella scocciantaria, ca uno dice : Vuo‟ sapé la verità …Mo veramente…Mah , lasciamo andare. Dipende, dipende da tante cose. Un poco perché e te veco oggi e te veco dimane e te veco doppodimane…me sceto e te veco, te scite e me vide …e ce vedimme a Natale e ce vedimme a Pasca. Viene quell‟abbondanza di sazietà ca poi finisce ca fa schifo! Sì, è vero, viene anche quel bene che non è quello di prima, più sostanzioso, ma la donna non lo comprende. La donna tiene sempre la capa fresca, nun ave a che penzà… ‟e gghiesse truvanno sempre chelli nzpetezze, quelle attenzioni vummecuse di quando uno sta nel momento della focosità! Ecco che la donna s‟intristisce, voi le parlate e quella non vi risponde, che è la peggio cosa. ‟A bon‟anema di mia moglie pure faceva lo stesso. Ma io ‟a facevo parlà, perché ‟a vulevo bene. Quanno vedevo ca pigliava ‟anzìria, duie, tre ghiuorne ‟e taciturnaria, avutavo ‟a mano ‟e a pigliavo a pacchere. Certe volte ‟a struppiavo ‟e mazzate, ma parlava… Eh povera donna! Me ricordo che quanno abuscava, se metteva dint‟e braccie mieie, me baciava ‟e manne e m‟ ‟e bagnava e lagrime e d‟ ‟o sango ca le scenneva d‟ ‟o naso…Voi, per esempio, signo‟ avissev‟ a abbuscà nu poco. Ve faciarrìa bene… Ascesse nu poco ‟e sangue pazzo e ve vulìsseve cchiù bene e prima. Raffaele riporta una vulgata popolare, secondo la quale un rapporto tra marito e moglie doveva nutrirsi anche di schiaffi e botte; in misura accettabile contusioni e graffi rafforzavano il vincolo matrimoniale. Ovviamente solo l‟uomo era autorizzato a esercitare “questa affettuosa violenza” nei confronti della moglie che si doveva considerare felice delle “amorevoli attenzioni”. Utilizzando questo stereotipo Eduardo riporta i suoi personaggi svuotati di forza e perciò quasi identificabili con “i fantasmi di palazzo” ad una dimensione più terrena. Dietro il discutibile punto di vista di Raffaele c‟è il desiderio di dare concretezza all‟incontro con la persona amata, realizzando una completezza emozionale nel rapporto tra corpo e anima.

Eduardo De Filippo ha rappresentato il teatro napoletano ed italiano nel mondo egli è stato allievo del grande Luigi Pirandello, oggi noi tutti ricordiamo con gioia l’anima di una Napoli che forse non c’è più.

Giovanni Cardone