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Gran successo per “Un anno dopo”: Tony Laudadio ed Enrico Ianniello divertono il Teatro Ricciardi

Tony Laudadio ed Enrico Ianniello (foto Ezio Bevere)
Tony Laudadio ed Enrico Ianniello (foto Ezio Bevere)

Trent’anni di vita nello stesso ufficio. Trent’anni di esperienze che due impiegati si raccontano, dietro le proprie rispettive scrivanie. I due attori casertani Enrico Ianniello e Tony Laudadio portano in scena al “Teatro Ricciardi” di Capua la commedia “Un anno dopo”, prodotto da Onorevole Teatro Casertano e Teatri Nuovi. Atto unico scritto e diretto da Tony Laudadio che è stato scelto come terzo appuntamento della rassegna “Teatro a Primavera”, comprendente spettacoli tra gli altri di Silvio Orlando, Marina Massironi, Peppe Miale e Federico Salvatore.

Collaudata coppia di attori, Tony Laudadio ed Enrico Ianniello hanno condiviso sin dalla formazione, alla Bottega di Vittorio Gassman ed alle prime prove d’attore con Federico Tiezzi e Leo De Berardinis, gran parte delle loro esperienze professionali. Dopo aver fondato la compagnia Onorevole Teatro Casertano, sono insieme sulla scena con Toni Servillo, Andrea Renzi, Francesco Saponaro, Nicoletta Braschi e sullo schermo con Nanni Moretti. Entrambi vengono scritturati dal regista per Habemus Papam, così come Fabrizio Bentivoglio li sceglie per interpretare due parti in Lascia perdere, Johnny. Enrico Ianniello ha raggiunto ancor più popolarità grazie al ruolo del commissario Vincenzo Nappi nella serie TV di Rai Uno “Un passo dal cielo” insieme a Terence Hill, mentre in questi giorni è nelle sale con Mia Madre, il nuovo lungometraggio di Nanni Moretti con Margherita Buy e John Turturro.

Goffredo (Enrico Ianniello) e Giacomo (Tony Laudadio) si ritrovano a lavorare in un ufficio, uno di fronte all’altro. Personalità contrapposte animano i due personaggi. Dopo neanche qualche minuto dall’arrivo, Goffredo cerca subito di entrare in confidenza con Giacomo che, da par suo, è una persona molta riservata e difficilmente esprime i propri stati d’animo, i propri punti di vista. L’espansività dell’uno si controbilancia alla discrezione dell’altro.

I due attori in ufficio (foto Ezio Bevere)
I due attori in ufficio (foto Ezio Bevere)

Ma Goffredo non si fa intimidire da questa sua privacy e con il passare degli anni riesce, in un modo o nell’altro, a scoprire particolari della vita di Giacomo che mai avrebbe immaginato. Molto più espansivo, Goffredo racconta quotidianamente l’evoluzione positiva e negativa della storia con Lorena. Un rapporto abbastanza strano che, dopo aver subito un momento di riflessione corposo, sfocia nel matrimonio. Ma i problemi, che esistevano all’interno del fidanzamento, non vengono risolti durante la convivenza. Neanche la nascita di un figlioletto riesce a dare equilibrio alla loro storia, tanto che sarà obbligatorio per entrambi prendere la via del divorzio.

Per diversi anni Giacomo ascolta le avventure di vita del collega di lavoro, usando ironia per ridicolizzare i suoi difetti e le sue frustrazioni. Anno dopo anno, infatti, Goffredo annuncia che quello sarà l’ultimo in cui vivrà in un paesino di provincia ed andrà a costruirsi un futuro molto più interessante a Roma. Con scadenza giornaliera, questo sogno nel cassetto verrà sempre posticipato, tanto da alimentare le battutine argute di Giacomo. Il volersi discostare per forza dal provincialismo altrui fa di Goffredo l’esempio perfetto del detrattore di se stesso.

Accortosi improvvisamente di parlare sempre e solo di sé, Goffredo obbliga a parlare Giacomo della sua vita. Scocciato da questa curiosità altrui, come mai gli era capitato prima, Giacomo gli rivela della convivenza con la sorella, di una quotidianità abbastanza ripetitiva e di un solo unico hobby: scrivere sinossi. Davanti a tale rivelazione, finalmente Goffredo è contento di aver scoperto un minimo particolare che riguardasse la vita del suo collega. Servirà più di qualche attimo per capire cosa significhi la parola sinossi, tra le risate di Giacomo che si prende beffe del compagno di lavoro.

Tony Laudadio ed Enrico Ianniello discutono (foto Ezio Bevere)
Tony Laudadio ed Enrico Ianniello discutono (foto Ezio Bevere)

Sotto estenuanti turni di lavoro, con gli occhi dal computer che vengono staccati solo per la pausa pranzo, trascorre il tempo ed i due iniziano a fare i conti con i primi capelli bianchi, con i problemi fisici dovuti al primo accenno di anzianità, con una memoria che non è più quella della gioventù. Così si arriva all’anniversario per il trentesimo anno di lavoro insieme, con tanto di torta e spumante. Giacomo resta sorpreso dall’attenzione di Goffredo verso questi particolari e quasi appare commosso.

Solo a fine rappresentazione, quando arriva la prematura scomparsa di Goffredo, Giacomo si accorge che le paranoie, le vicissitudini e le aspirazioni del collega abbiano allietato così tante ore di lavoro. Per la prima volta nell’arco di trent’anni, Giacomo senta la sua mancanza e, guardando il posto ormai vuoto dall’altra parte della stanza, lascia trasparire il dispiacere per aver perso non solo un compagno di viaggio ma soprattutto il miglior confidente ed amico.

Il libro che cambierà la vostra vita: la Bibbia secondo Biglino

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La Bibbia non è un libro sacro” di Mauro Biglino sicuramente non è un libro qualsiasi. L’autore ha fatto un lavoro di traduzione della Bibbia dall’antico ebraico e ha dato una sua interpretazione originale di quello che tante culture considerano un testo sacro. Secondo Biglino la Bibbia non parla Dio. In effetti secondo l’autore in ebraico antico non esiste una parola che possa esprimere il concetto di Dio, semplicemente perchè quella cultura non aveva questo concetto. Nel testo si parla di Elohim, un termine che è stato tradotto come Dio ma che in realtà non si sa cosa significhi. Il termine potrebbe significare i sapienti, i potenti, o semplicemente quelli la. Per l’autore la cosa migliore è non tradurre questo termine. L’altro termine che è riferito a Dio è Yahweh. Secondo l’autore del libro gli Elohim sarebbero individui venuti dal cielo dotati di potenti tecnologie mentre Yahweh sarebbe un militare. A Yahweh sarebbe stata conferita quella che poi sarebbe diventata la nazione di Israele ed egli ha usato questo popolo per espandere i propri domini. Infatti la Bibbia è piena a riferimenti bellicosi e ad esempio la distruzione di Sodoma e Gomorra potrebbe essere riferita ad un bombardamento atomico. Del resto anche altre civiltà fanno riferimenti a popoli venuti dal cielo. Secondo l’interpretazione di Biglino anche la nascita dell’uomo sarebbe il frutto dell’ingegneria genetica di questi esseri e lo si capirebbe da una lettura più attenta della genesi. Anche gli angeli non sarebbero essere spirituali ma dei vigilanti esecutori di ordini. Insomma sembra essere uno scenario fantascientifico ma abbiamo a che fare con un esperto di ebraico antico che spiega quello che ha letto. Secondo Biglino l’inganno sarebbe avvenuto traducendo erroneamente il termine Heloim con Dio e facendo dire alla Bibbia quello che in realtà non dice. La Bibbia quindi sarebbe la storia del popolo di Israele e del suo rapporto con Yahweh. Libro sicuramente da leggere per capire i passi a cui l’autore fa riferimento.

Potere e Pathos: La perfezione dei bronzi ellenistici a Palazzo Strozzi

Firenze è la prima tappa di questa straordinaria mostra sulla statuaria bronzea ellenistica dal IV secolo a.C. al I secolo d.C., che si sposterà (dopo il 21 giugno, data della sua chiusura) al J. Paul Getty Museum di Los Angeles (28 luglio – 1° novembre) e alla National Gallery of Art di Washington DC (6 dicembre – 20 marzo 2016), che hanno collaborato alla sua realizzazione. I 50 capolavori esposti sono espressione di un’arte internazionale i cui scambi avvenivano in un impero – fondato da Alessandro Magno (356 – 323 a.C.) – che si estendeva dalla Grecia e dai confini dell’Etiopia fino all’Indo, includendo Mesopotamia, Persia ed Egitto.

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Statuetta di Alessandro Magno a cavallo I secolo a.C bronzo con intarsi in argento cm 49 x 47 x 29 Napoli, Museo Archeologico Nazionale

Fu lo stesso Alessandro, che ebbe tra i suoi maestri Aristotele, ad auspicare la fusione tra la cultura greca e quella orientale. Un arco temporale che vide la nascita della biblioteca di Alessandria d’Egitto, i progressi nella ricerca, grazie a matematici come Archimede (ucciso nel 212 a.C.) e Aristarco di Samo, e l’arte al servizio delle corti e della committenza privata, fatto che determinò l’affermarsi del realismo e dell’individualismo, la cui massima espressione è il ritratto. Attraverso questi bronzi, di una bellezza indescrivibile, vengono celebrati l’eroismo, il potere, l’intensità emotiva e drammatica, lontani dalla perfezione ideale, l’equilibrio e l’immutabile serenità delle opere del periodo classico. L’atleta (‘Apoxyomenos’) non è rappresentato in un momento eroico ma in quello in cui, dopo la gara, si deterge il sudore con lo strigile (attrezzo metallico ricurvo). Le opere superstiti in bronzo, metallo che nell’antichità era considerato più prezioso dell’argento, sono pochissime poiché nei secoli sono state fuse per ricavarne armi e monete. La maggior parte, oggi conservate nei musei, sono state ritrovate in mare (Mediterraneo e Mar Nero), come la ‘Figura virile’, rinvenuta presso Brindisi nel 1992 e la ‘Testa di uomo con la kausia’ (copricapo macedone) nel mar Egeo nel 1997.

Testa di cavallo detta “Medici Riccardi” Seconda metà del IV secolo a.C. bronzo cm 81 x 95 x 40 Firenze, Museo Archeologico Nazionale

Tutto ciò rende particolarmente preziose le opere in bronzo e questa mostra che le ospita, che offre la possibilità di ammirare insieme i due Apollo-Kouroi del Louvre e di Pompei. Le opere esposte – commemorative, decorazioni per importanti abitazioni, simboli funerari – sono contestualizzate ed è spiegato anche il loro processo produttivo e di fusione. La statua del cosiddetto ‘Arringatore’ (della collezione di Cosimo I de’ Medici) e la ‘Base di statua con firma di Lisippo’ (con i fori dove allocare i piedi di una statua bronzea) accolgono il visitatore mentre le altre opere sono suddivise in sei sezioni tematiche: Ritratti del potere (‘Statuetta di Alessandro Magno a cavallo’, ‘Testa-ritratto di un diàdoco’, successore, appellativo riservato ai generali di Alessandro e la ‘Testa di cavallo detta “Medici Riccardi”’, facente parte della collezione di Lorenzo il Magnifico, usata poi come bocca di fontana); Corpi ideali, corpi estremi (la ‘Statuetta di un artigiano’, il cui taccuino alla cintura sembrerebbe indicare piuttosto uno scultore-architetto o potrebbe trattarsi del dio Efesto (zoppo), ed ‘Eros dormiente’, entrambe appartenenti al Metropolitan Museum of Art di New York); Realismo ed espressività (sezione che evidenzia la ricerca dei dettagli naturalistici e patemici nei numerosi ritratti maschili); Repliche e mimèsi (che rivela come nell’antichità era normale realizzare più versioni in bronzo della stessa opera, particolarmente suggestiva: ‘Erma di Dioniso’ del J. Paul Getty Museum di Malibu, scoperta nel 1907 al largo della Tunisia); Divinità (la raffinata ed emozionante ‘Testa di Apollo’ del Museo Archeologico di Salerno, rinvenuta da un pescatore nel 1930 nel Golfo di Salerno) e Stili del passato (lo ‘Spinario’ in marmo del British Museum di Londra, da confrontare con altre opere con lo stesso soggetto). Ad integrazione di questa mostra, al Museo Archeologico Nazionale, sono esposti “Piccoli grandi bronzi. Capolavori greci, etruschi e romani” collezionati in circa tre secoli dalle dinastie medicea e lorenese. Antonella Cecconi, 27 aprile 2015

Ritratto di uomo barbato 150 a.C. circa marmo cm 40,7 x 25 x 31,7 Malibu, J. Paul Getty Museum

Info:

Sede: Firenze, Palazzo Strozzi fino al 21 giugno

Orario: tutti i giorni 10 – 20 – giovedì 10 – 23

ingresso consentito fino a 1 ora prima della chiusura

Biglietto: intero 10 €; ridotto 8,50 €; scuole 4 €.

Informazioni: +39 055 2645155

www.palazzostrozzi.org

VIVERE FRIZZANTE di Emanuela Medi il libro dedicato a Vino, Cultura e Salute presso l’ Istituto Luigi Sturzo di Roma‏

Martedì 28 aprile alle ore 18,30 vi sarà la presentazione del saggio della giornalista scientifica Emanuela Medi dedicato a Vino, Cultura e Salute: Vivere Frizzante Edito da Diabasis presso l’Istituto Luigi Sturzo di Roma insieme all’autrice ci saranno i seguenti relatori: On. Laura Bianconi (presidente Associazione parlamentare Luigi Veronelli); Franco Maria Ricci (presidente Fondazione Italiana Sommelier); Prof. Michele Carruba (ordinario di farmacologia Università degli Studi di Milano) e Mauro Massa (Presidente Diabasis). Sorprende che una madre dedichi un libro che parla di vino ai figli. Ma coglie nel segno Emanuela Medi, giornalista medico-scientifica, autrice di Vivere frizzante, edito da Diabasis, quando afferma che il vino è cultura e raccomanda loro di guardare alla cultura come a una ricchezza di vita senza confini e piena di amore. Sì, perché non esiste prodotto della natura che – come il vino – sia presente nella nostra vita quotidiana sin dall’antichità: è territorio, tradizioni culturali, arte, ambiente, cucina, turismo, giovialità, convivialità e volano per la nostra economia: insomma un mix che si ripercuote sulla longevità. Se vino è salute? Ne è convinta l’autrice che analizza le caratteristiche e le proprietà della bevanda degli Dei con dati statistici, ricerche scientifiche, interviste ad esperti medici accreditati. Una smentita accurata e onesta a quanti sostengono il contrario. La ricerca infatti si è impossessata di questo prodotto della natura dimostrando la stretta connessione tra cibi ricchi di antiossidanti e un minore rischio di malattie cronico-degenerative. Nei sedici capitoli che compongono il libro, il vino viene rapportato ad ambiti diversificati, dalla genetica alle malattie più tristemente inflazionate, dalla religione all’eros, dal mondo letterario, cinematografico e musicale a quello estetico, passando per le nuove tendenze e sollecitando gli stimoli per un suo consumo consapevole. “Vivere frizzante”, nel testo e nei fatti: un’opera che mancava, di scorrevole lettura, da tenere sul comodino!

vivere frizzante

Hanno detto del libro:

Vino balsamo per il corpo, vino balsamo per la mente sono le due direttrici che soggiacciono a questo libro nel rapporto tra il vino e l’uomo. Ed Emanuela Medi giustamente dedica una parte importante e iniziale del libro all’aspetto benefico del vino, al vino come “elisir di lunga vita”.

Armando Massarenti, direttore del supplemento culturale della domenica de Il Sole 24 Ore

“ Vivere frizzante” è un saggio letterario su uno dei nostri compagni più preziosi: il vino. Colto e divertente insegna molte cose che non si conoscono. Insegna ad amarlo con il necessario abbandono e il necessario giudizio. Insomma, si legge davvero con piacere.

Giorgio Montefoschi, scrittore

Il vino cultura e arte del nostro paese. Ma l’Italia resta inconsapevolmente illetterata in questa cultura. Chiunque scrive di vino e lo fa bene ha il nostro plauso. Ed Emanuela lo ha fatto bene. E anche frizzante.

Franco Maria Ricci, Bibenda Editore

Un libro agevole, frizzante di nome e di fatto, ricco di valide osservazioni e contenuti scientifici, in cui viene sottolineato l’importante contributo di prevenzione grande conquista sociale della longevità. (Questo il tratto sorprendente del libro di Emanuela Medi)

Ketty Vaccaro, Censis

E’ bello e utile soffermarsi sulla frase-chiave pronunciata dal regista americano Alexander Payne di “Sideways” quando del proprio film dice “parlo di vino per raccontare le sfumature della vita”. Così “Vivere frizzante” di Emanuela Medi.

Paolo D’Agostini, La Repubblica

Emanuela Medi, giornalista professionista, ha svolto la sua attività professionale in RAI presso le testate radiofoniche del GR3 e GR1. Specializzata nel settore medico-scientifico, in qualità di inviato speciale ha seguito i più importanti avvenimenti e incontri scientifici in Italia e all’estero. Vice-Caporedattore della redazione tematica del GR1 “Le Scienze”- Direttore Livio Zanetti – e successivamente della redazione Rubriche, ha curato numerosi appuntamenti di medicina e scienza tra cui “La Medicina”, prima esperienza di striscia quotidiana del Giornale Radio Rai, interamente dedicata all’informativa medica istituzionale e non. Ha partecipato in diretta a numerose trasmissioni del GR1 come “Radio anch’io”, “Baobab”, “Istruzioni per l’uso”, “Pronto Salute” per la quale ha realizzato un approfondimento giornaliero sui temi della sanità. Ha avuto numerosi incarichi come il coordinamento della prima Campagna Europea per la lotta ai tumori affidatole dalla Commissione della Comunità Europea, ha fatto parte del Comitato degli utenti del CNR per il progetto finalizzato “Invecchiamento” e della commissione Neuroscienze del Ministero della Ricerca Scientifica.

Vivere frizzante è il primo saggio letterario di Emanuela Medi

Istituto Luigi Sturzo

Via della Coppelle 35- Roma

Emanuela Medi

VIVERE FRIZZANTE

Prefazione Corrado Massarenti

Edito Diabasis

Mario D’Amico e Alfredo Di Bacco Dialogo tra Metafisica e Simbolismo presso il Complesso Museale Ricci Oddi di Piacenza

Si inaugurano domenica 3 maggio alle ore 17.00 presso il Complesso Museale Ricci Oddi di Piacenza le personali di Mario D’Amico in Figure del Silenzio mentre Alfredo Di Bacco in L’enigma dell’Ora entrambi le mostre sono a cura di Virgilio Patarini. Le mostre si potranno visitare fino al 14 maggio 2015. Queste due personali fanno parte della seconda parte del Progetto “Dramatis Personae. Il volto e la figura nell’arte italiana contemporanea”, articolata in tre spazi distinti e in tre diverse mostre parallele (nella Sala Franco Fervari e nelle due ali del Salone d’Onore), e organizzato da Zamenhof Art di Milano, in collaborazione con gli Amici dell’Arte di Piacenza, a cura di Virgilio Patarini. Catalogo Editoriale Mondadori. Il progetto editoriale e la relativa mostra sono già stati presentati con successo di pubblico e di critica a Ferrara, al Palazzo della Racchetta e a Torino, alla Galleria 20, nella seconda metà del 2013.  Al termine dell’esposizione piacentina nel mese di luglio la mostra sarà portata a Milano, in tre gallerie sui Navigli, in concomitanza con l’EXPO. Nel gennaio 2016 la mostra approderà a Napoli, a Castel dell’Ovo. Come dice Virgilio Patarini : “Mario D’Amico ci racconta una città metafisica pervasa di una luce endogena dai colori pastello. In un dedalo di grandi edifici squadrati e senza nome affiorano figure del silenzio: figurine apparentemente anonime, ma in realtà vive e giocose, sovrastate da una città allegorica che incombe, fantasmi in una città fantasma s’incontrano e dialogano senza parole, e senza proferir parola ci rivelano qualcosa del nostro vivere quotidiano, forse l’essenza”.Mentre ci dice di Alfredo Di Bacco “Nelle sue tele si manifestano figure enigmatiche e simboliche: affiorano alla luce della nostra coscienza da una dimensione mitica in cui il tempo appare sospeso. Hanno tra le mani oggetti e sembrano compiere azioni misteriose, in bilico tra l’essere rebus da decifrare o epifanie rivelatrici”.

Alfredo Di Bacco, L'enigma dell'ora

Biografia di Mario d’Amico

Nato in Tunisia nel 1935, l’autore si è dedicato fin da giovanissimo al disegno e alla pittura. L’itinerario artistico dell’autore, avviato nel lontano 1953 nell’atelier romano del pittore Giovanni Consolazione in via del Vantaggio e nella Scuola di nudo dell’Accademia di Belle Arti di Roma, lo ha poi visto presente in numerose manifestazioni culturali (premio Città di Roma, Premio Marco Aurelio, Salone degli indipendenti a Parigi nel 1985,  XXII premio internazionale d’arte contemporanea di Monte-Carlo) e in mostre personali iniziate con l’esposizione all’Istituto Italiano di cultura di Mogadiscio nel lontano 1966 fino alla mostra all’Hotel de Paris di Monte-Carlo nel 1988.

Biografia di Alfredo Di Bacco

Alfredo Di Bacco nato a Sulmona (AQ) nel 1947 vive a Popoli (PE). Si è diplomato presso l’Istituto d’Arte di Sulmona. Inizialmente Neo-realista poi la sua attenzione è rivolta verso quel genere pittorico chiamato Pittura Colta teorizzato nei primi anni Ottanta da Italo Mussa, che guarda alla storia della pittura come fonte inesauribile di suggestioni e richiami e che considera l’esperienza esecutiva come valore non meno importante rispetto ai temi trattati.

Complesso Monumentale Ricci Oddi di Piacenza

Figure del silenzio – personale di Mario D’Amico

L’enigma dell’ora – personale di Alfredo Di Bacco

dal 3 al 14 maggio 2015

dal mercoledì alla domenica dalle ore 16.00 alle 19.00 Lunedì e martedì chiuso

Zamenhof Art

Ufficio di Milano – cell. 377.46.89.785

email: zamenhof.art@gmail.com

sito: www.zamenhofart.it

SpazioE

Sede espositiva: Milano, Alzaia Naviglio Grande, 4

tel. 02.58109843 (dal mart. alla dom. ore 15-19)

email: aestdelleden@libero.it

Galleria del Cammello

Ferrara, via Cammello, 33

(solo su appuntamento) cell. 333.80.322.46

Vajont 2015: Il territorio, la storia, il valore dei progetti culturali. Pratiche d’interazione, metodologie d’indagine, processi e prospettive.

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Sabato 2 maggio, Dolomiti Contemporanee organizza una giornata dedicata alla cultura e all’arte contemporanea. Dalle ore 14.00 alle ore 18.00, presso il Nuovo Spazio di Casso, si svolgerà un talk aperto al pubblico, dal titolo Vajont 2015: il territorio, la storia, il valore dei progetti culturali. Pratiche d’interazione, metodologie d’indagine, processi e prospettive.

Il talk è diviso in due sessioni: nella prima, verrà presentato il Concorso Artistico Internazionale Two calls for Vajont, lanciato da Dolomiti Contemporanee a giugno 2014, e realizzato in collaborazione con Enel e patrocinato da numerose Istituzioni, amministrazioni pubbliche ed enti (Ministero dell’Ambiente, Fondazione Dolomiti Unesco, Regione Friuli Venezia Giulia, Regione del Veneto, Provincia di Pordenone, Provincia di Belluno, Fondazione Vajont, Comuni di Erto e Casso, Claut ,Cimolais, Vajont, Longarone, Belluno, Consorzio Bim Piave, Ordine Nazionale Architetti Paesaggisti e Conservatori), nonché da alcuni partner culturali rilevanti (Mart Rovereto, Fondazione Merz Torino, CCC Strozzina Firenze, Institut Français, Pianoproject, Fondazione Bevilacqua La Masa)

Interverranno alcuni dei membri della Giuria del Concorso, ed alcuni degli artisti che vi hanno partecipato, i quali presenteranno brevemente il proprio progetto.

Ricordiamo che il talk si svolge a due soli giorni dalla conclusione della prima fase di Twocalls (30 aprile), e che la determinazione dei vincitori avverrà entro la fine dello stesso mese di maggio. Nell’occasione, verrà presentata presso lo Spazio espositivo di Casso una selezione dei progetti finalisti, che rimarrà visibile al pubblico nei finesettimana (sabato e domenica) del 2/3, 9/10, 16/17 maggio, con orari 10.00-12.30 e 14.30-19.00.

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Nella seconda sessione del convegno-dibattito, saranno presentati alcuni progetti che, negli anni recenti, hanno interessato l’area del Vajont, ed il rapporto del suo paesaggio con la sua storia, indagandone gli aspetti culturali, sociali ed antropologici, paesaggistici ed estetici, nel tentativo di formulare nuovi modelli, non solo analitici, ma partecipati. Il talk sarà dunque incentrato sulla specificità storica-territoriale del Vajont. Gli ospiti-relatori presenteranno i propri progetti. Queste piattaforme critiche operano attraverso l’interdisciplinarietà, l’ideatività, la ricerca, alla ridefinizione di contesti territoriali e urbani, in particolare di quelli gravati da forti criticità, mettendone in luce carenze e potenzialità. Ognuno dei progetti opera attraverso prassi che includono processi e modelli propositivi, rigenerativi e creativi.

Interverranno nella discussione anche i rappresentanti di alcuni enti che operano alla valorizzazione della risorsa-territorio. Farà seguito al talk la presentazione dei lavori degli artisti Marta Allegri e Stefano Moras, realizzati nell’abitato di Casso. Presente in mostra anche la documentazione di Let’s make like a tree, opera relazionale di Elisa Bertaglia.

Dalle ore 18.00 alle ore 3.00 del giorno successivo, Stefano Moras sarà impegnato nella performance Ritorno (senza soluzione di continuità). Nel corso de talk saranno presentati alcuni progetti e piattaforme che, negli anni recenti, hanno interessato l’area del Vajont, ed il rapporto del suo paesaggio con la sua storia, indagandone gli aspetti culturali, sociali ed antropologici, paesaggistici ed estetici, nel tentativo di formulare nuovi modelli, non solo analitici, ma partecipati (approccio umanistico e dialogico; non meramente analitico, scientifico, descrittivo). Il talk sarà dunque incentrato sulla specificità storica-territoriale del Vajont. Gli ospiti-relatori presenteranno i propri progetti, alcuni dei quali non operano esclusivamente nell’area del Vajont. Più in generale, e in alcuni casi, si tratta di piattaforme critiche, che operano attraverso l’interdisciplinarietà, l’ideatività, la collaborazione, la ricerca, lo studio, alla ridefinizione di contesti territoriali e urbani, in particolare di quelli gravati da forti criticità, mettendone in luce carenze e potenzialità. Ognuno dei progetti opera attraverso prassi che includono processi e modelli propositivi, rigenerativi e creativi. Ognuno di questi progetti e piattaforme, pur ampiamente differenti tra loro, presenta dei punti di contatto e convergenza con gli altri, su aspetti generali e particolari: la volontà di agire costruttivamente sul paesaggio contemporaneo; l’intenzione di non considerare alcun territorio come una deriva fossile di un passato immoto, e di considerare invece lo sguardo, l’azione, le pratiche legate alla stanzialità e le stesse pratiche culturali, come parti di un discorso generale integrato, possibile, che possa porsi come una prassi non descrittiva ma attivamente partecipata rispetto al dinamico e mutevole processo plastico e continuo del farsi della storia e del rinnovarsi, in seno alla stessa storia, dello spirito dell’uomo, abitatore e facitore del proprio spazio; ancora, la consapevolezza e l’attenzione posta sulla necessità e l’importanza dei processi, rispetto ai meri fatti (o, anche, alle cosiddette opere d’arte), del farsi costante ed organico dell’identità degli uomini e dei luoghi, senza soluzione di continuità. Vorremmo proporre qui una interpretazione dei concetti di luogo e di spazio, distinguendoli e caricandoli, arbitrariamente, di due significanze diverse ed opposte; vorremmo quindi intendere il concetto di spazio come quello di un luogo potenziato nel proprio valore, grazie all’azione consapevole dell’uomo, che attraverso le proprie ricerche e sperimentazioni, agisce la storia, rimettendone in gioco i significati -all’interno del processo più generale ed inclusivo, quello del vivere- invece di limitarsi a subirne passivamente gli esiti. In quest’accezione critica, lo spazio è dunque il luogo presente a sé stesso, il luogo ripotenziato, attraverso la riflessione, il luogo che, attraverso l’azione dell’uomo, ritrova sé stesso, laddove esso si era perso. E’ evidente che questa definizione ha senso rispetto ai contesti caratterizzati da una forte criticità; in tali contesti complessi, è la critica, forse, a poter diventare la cura della criticità, questo si sta dicendo. All’interno di questo ragionamento, la funzione ed il valore attribuiti alle prassi diviene decisamente rilevante rispetto alla fisiologia e all’identità mobile degli spazi).

Nell’area del Vajont, in questo luogo così terribilmente segnato dalla Tragedia del 1963, sembra che oggi, a 52 anni da quel fatto, l’uomo dimostri in qualche misura di sapere e volere agire, di osare esserci e mostrarsi, potremmo forse dire, portando il proprio sguardo, attraverso la cultura, intesa come strumento responsabile d’interazione con lo stato delle cose e con l’essere degli uomini, a contatto diretto con il luogo stesso, per farne, ancora una volta, uno spazio, reincentivandone il senso, rimettendone in circolazione le energie, che non erano scomparse, ma si erano bloccate. Il talk non intende dunque presentarsi come una rassegna di pratiche analitiche, o una raccolta di saggi di estetiche descrittive, né tantomeno come una dichiarazione di superamento della dimensione traumatica di questa storia; in nessun modo si pretende di elaborare le soluzioni o di concepire gli scenari umani e psicologici del dopo-tragedia, suggerendo tecniche di cura. Invece, il confronto tra i differenti progetti tenterà di mettere in luce un’attitudine forse comune, che potrebbe quasi sembrar preludere, o essere l’inizio stesso, di una fase propositiva, nella quale la terra desolata della tragedia diventi, nuovamente, uno spazio dell’uomo, un cantiere dei vivi, com’è e deve essere sempre, in ultima analisi, ogni luogo abitato dall’uomo, ogni consorzio vissuto, ogni territorio e paesaggio. Ricordiamo, ancora, la definizione che diede Edoardo Gellner del paesaggio, ovvero la sommatoria di ambiente naturale e opera dell’uomo. E qui ci troviamo in un luogo nel quale il paesaggio naturale, attraverso l’azione dell’uomo, si è trasformato nel paesaggio della tragedia, escludendo a quel punto da sé stesso l’uomo (scissione privativa), che ora vuole rientrarvi (farsi lo spazio; rifare il paesaggio). Ricordiamo anche il titolo della conferenza tenutasi lo scorso agosto a Forni di Sopra, nella quale Marc Augé e Gianluca D’Incà Levis si sono confrontati su taluni aspetti del paesaggio contemporaneo e di certa contemporaneità rovinosa, e sul valore delle prassi che offrono o impongono elementi rigeneratori a territori o àmbiti gravati da criticità, chiusure, inerzie: il titolo di quell’incontro fu L’uomo è il territorio: antropologia dei luoghi (non già degli spazi). Rispetto a quanto detto fin’ora: la presenza di Dolomiti Contemporanee a Casso, sin dal suo esordio, con la riapertura dell’ex scuola della frazione, e poi con la gestione delle attività per i due anni successivi, fino all’ideazione del Concorso Artistico Internazionale Twocalls, è stata tutta improntata al fare spazio. Al riflettere sul valore e il significato di questa azione, con la quale si è voluto appunto venire ad aprire un luogo chiuso da oltre mezzo secolo, chiuso dalla tragedia, per trasformarlo in un motore territoriale, un centro propulsivo, uno spazio proiettivo, dal quale innescare processi, relazioni, riflessioni, su questo specifico àmbito e territorio, così caratterizzato dall’evento terribile che ne ha condizionato l’identità dal 1963 ad oggi, e che pur ci si rifiuta di identificare con la terra della tragedia. Questo è, in effetti, il ruolo che hanno, dovrebbero avere, cultura ed arte. Aprire, intavolare, costruire laboratori e spazi del confronto. Fare arte significa essere drasticamente incentivati all’azione, al confronto, all’analisi conoscitiva, alla proposta rivalutativa. Fare arte, cultura, ricerca, è il contrario dello star fermi, della rinuncia, della perdita senza speranza.

L’arte e la cultura sono l’uomo che cammina, eretto, e che non segue una sorte, né si lascia abbattere dalla malasorte, né accetta che un pieno spazio possa venire depotenziato in un mero luogo. Perché ogni cosa, ed ogni senso alle cose, è nella differenza, ed ogni differenza è nella ricerca dei margini, ed ogni qualità è nella sperimentazione continua e nel rivolgimento dei concetti e delle inerzie, ed il destino dell’uomo, in definitiva, qualsiasi senso l’uomo possa avere, è proiettivo, dato che la vita è un transito, stretto tra il non essere e la morte, ma che rimane comunque sostanzialmente diversa dalla morte, perché sceglie, opera, promana, idea, pensa, fa. Ed è questo il motivo per cui Dolomiti Contemporanee è un progetto d’arte contemporanea. Non certo per fare le mostre. Per esserci, riflessivamente.

Alcuni dei progetti artistici – qualsiasi sia il senso che si intende attribuire a quest’espressione- sviluppati in questi anni a Casso, hanno messo in gioco processi, relazioni, rapporti, tra le cose e le informazioni, la storia e la memoria, le forme e le idee, la creatività e l’analisi dei pregressi. Opere quindi non come oggetti compiuti, ma come prospettive d’apertura, in uno spazio che a lungo ha (dovuto curare) curato sé stesso in una buia chiusura. (Gianluca D’Incà Levis, curatore di Dolomiti Contemporanee, direttore del Nuovo Spazio di Casso) .Verranno presentati gli esiti di alcune ricerche artistiche recenti, condotte dagli artisti Marta Allegri, Stefano Moras, Elisa Bertaglia. I lavori vengono realizzati all’interno di vecchie case e stalle di Casso, e si relazionano alla cultura specifica del luogo ed alla storia del territorio. La performance presentata in quest’occasione da Moras è parte di VOCE, progetto-piattaforma con cui l’artista ha partecipato al Concorso Artistico Internazionale Two calls for Vajont. Tutte le attività culturali e artistiche qui programmate sono promosse dal Comune di Erto e Casso, e finanziate con un contributo del GAL Montagna Leader. Le attività, ideate e sviluppate da Dolomiti Contemporanee, vengono realizzate con il coordinamento della Cooperativa Mazarol.

Nuovo Spazio di Casso, programma di sabato 2 maggio

– Ore 14.00-18.00

Vajont 2015: il territorio, la storia, il valore dei progetti culturali. Pratiche d’interazione, metodologie d’indagine, processi e prospettive. Talk aperto al pubblico.

Intervengono:

Prima sessione (Twocalls: 14.00-15.30)

Luciano Pezzin, Sindaco di Erto e Casso

Gianluca D’Incà Levis, curatore di Dolomiti Contemporanee e Twocalls

Marcello Mazzucco, storico locale

Marcella Morandini, Segretaria Generale Fondazione Dolomiti Unesco e membro di Giuria di Twocalls

Alcuni degli artisti che hanno candidato un progetto in Twocalls

Seconda sessione (Progetti: 15.45-18.00)

Gianpaolo Arena – CALAMITA/À

Marta De Marchi e Fabio Vanin – Latitude

Luana Silveri – Oltreerto

Stefano Moras e Alan Nan – VOCE

Marta Allegri – artista

Modera: Petra Cason

– Ore 18.00

Break-aperitivo

– Ore 18.30-3.00

Performance Ritorno (senza soluzione di continuità), di Stefano Moras. La performance si svolge in una vecchia stalla di Casso.

Info:

Dolomiti Contemporanee

Nuovo Spazio di Casso

Via Sant’Antoni 1

33080 Casso (Erto e Casso) – Pordenone

www.dolomiticontemporanee.net

info@dolomiticontemporanee.net – press@dolomiticontemporanee.net

Two calls for Vajont – Concorso Artistico Internazionale

www.twocalls.netinfo@twocalls.net

Nanni Moretti, Mia madre (2015)

In concorso a Cannès, insieme a Sorrentino con Youth e Garrone con Il racconto dei racconti, Nanni Moretti con Mia madre dirige una commedia intrisa di toni drammatici, edulcorati ed esorcizzati da qualche sorriso.

Come tutto il cinema morettiano, anche questo film echeggia squarci biografici del regista: il cinema di Nanni Moretti è Nanni Moretti.

L’evento attorno a cui si snoda la storia è l’ elaborazione di un lutto che sta per avvenire: la scomparsa della madre dei due protagonisti, interpretati da Margherita Buy e Nanni Moretti che, mai come questa volta, sceglie di immergersi in Giovanni, un personaggio sobrio, delicato e premuroso che lascia il lavoro per dedicarsi completamente a sua madre e a sua sorella.

La trama rarefatta del film è sorretta dall’intreccio, a volte onirico, della vita che sconfina nel cinema e del cinema che entra nella vita.

L’animo vero di Nanni, è assorbito e riflesso dal suo non troppo taciuto alter-ego femminile Margherita (Margerita Buy), regista impegnata che incontriamo all’inizio del film mentre è intenta a girare la sua prossima pellicola, incentrata sui problemi che oggi fiaccano il mondo del lavoro, nella quale viene lanciato, ingaggiato da lei stessa, un simpaticamente egocentrico ed eccentrico attore americano che veicola quei sorrisi che smorzano la drammaticità del film. Interpretato da John Turturro, è la compiuta personificazione sia dello stress aggiuntivo che la vita ti infligge, beffardamente, nei momenti più difficili, sia dell’ insofferenza di Moretti per le abitudini del proprio mestiere. La stessa insofferenza che incontriamo in Margherita/Nanni, quando mette in discussione il ruolo stesso del regista, pronunciando queste battute, in un momento di estrema stanchezza e arrendevolezza: “perché mai sul set mi date sempre retta”, “il regista è uno stronzo”, “questo film è una merda” …

Margherita è certo una regista impegnata, una madre, ma è soprattutto una figlia, una figlia che sta subendo l’ineluttabile destino della morte di sua madre. Ed è proprio sulla consapevolezza di un evento che può essere solo accettato, contro il quale non si può combattere, che Moretti pone un particolare accento. Il dolore dei protagonisti affonda le radici nel senso di inadeguatezza di chi sta perdendo la propria guida, il proprio punto di riferimento e non può far altro che guardarlo mentre scompare: non ha altra scelta. Non è un caso, forse, che la madre, interpretata da Giulia Lazzarini, sia un’insegnante, una guida, dunque, qualcuno a cui ci si affida per imparare, qualcuno a cui ci si affida per crescere. Non è un caso nemmeno che professoressa fu anche l’indimenticata madre di Nanni Moretti.

Durante le riprese, Margherita dovrà prima accettare e poi affrontare, un dolore che ci riguarda tutti ma che, distratti e immersi nei nostri impegni quotidiani, forse dimentichiamo. A condividere la sofferenza prima della malattia e poi della perdita, le sarà sempre accanto suo fratello Giovanni che l’aiuterà a guardare quella realtà che fa troppo male accettare.

È una separazione, quella dalla madre, che rientra nella natura delle cose, è noto, ma noi figli non saremo mai abbastanza pronti ad accettarla, senza sentirci impotenti di fronte a essa.

Il tema del lutto lacerante, già magistralmente affrontato ne La stanza del figlio (2001), tocca con Mia madre il picco più intimo e profondo. È un film che commuove, senza mai scivolare nella banalità né nella retorica. È una commozione che scuote, invitando a riflettere perché è un’ emozione sincera e sobria, senza essere mai marcata o melense. Le emozioni tracimano, traspaiono e sono evocate in chi guarda. È impossibile restare indifferenti alla storia raccontata, non per l’articolazione della trama, ma per l’esondazione del pathos che trascina lo spettatore fino a renderlo complice totalmente.

Il coinvolgimento è duplice. da una parte si esce molto commossi, dall’altra si esce molto rassicurati perché è un dono l’amore di una madre, un bagaglio che ci accompagnerà per tutta la vita, con o senza la sua presenza fisica. Dopo averci invaso l’anima e smosso sensazioni liberatesi in un pianto consolatorio, il film si chiude però con messaggio di speranza, con l’idea di dover guardare al domani, pur avendo impressa nel cuore una ferita indelebile.

“Mamma a che stai pensando?” “A domani.”

Arte Contemporanea in Indonesia di Naima Morelli al PAN

Martedì 28 aprile alle ore 18 il PAN| Palazzo delle arti di Napoli ospiterà la presentazione del libro di Naima Morelli “Arte Contemporanea in Indonesia, un’introduzione”. La presentazione patrocinata dal Consolato d’Indonesia a Napoli ed introdotta dalla curatrice Maria Savarese, parteciperanno Matteo Basilè, Antonia Soriente, docente di Lingue e Letteratura Indonesiana all’Università L’Orientale di Napoli, Valentina Levy, curatrice e storica dell’arte asiatica e Vincenzo Montella, direttore del centro d’arte e cultura Il Ramo d’oro. Il libro è un’introduzione all’arte contemporanea indonesiana, la quale oggi occupa un posto di rilievo nella scena artistica internazionale, sia dal punto di vista della proposta culturale che del mercato. Collocandosi nella dialettica tra globale e locale, il libro analizza come in Indonesia il contesto culturale, artistico, politico e sociale abbia influenzato quattro generazioni di artisti. L’autrice guida il lettore nei luoghi dell’arte contemporanea a Yogyakarta, Giacarta, Bandung e Bali, cercando la risposta ad una domanda: esiste veramente una cosa chiamata arte contemporanea indonesiana? L’Indonesia ha dimostrato di occupare un posto di rilievo nella scena artistica emergente, sia dal punto di vista della proposta culturale che del mercato. Questo libro è un’introduzione all’arte contemporanea in Indonesia.Collocandosi nella dialettica tra globale e locale, questo lavoro analizza in breve come in Indonesia il contesto culturale, artistico, politico e sociale abbia influenzato quattro generazioni di artisti. Il volume è diviso in due parti:Nella prima parte i convenzionali parametri di valutazione critica occidentale vengono ridiscussi nella loro applicazione all’arte contemporanea nel Sud-Est Asiatico. Un’analisi culturale sintetica ma completa si sostituisce le aspettative di stereotipo e il pericolo dell’esotismo al quale si potrebbe incorrere parlando di arte contemporanea in Indonesia.Nella seconda parte si esamina l’origine e lo sviluppo dell’arte contemporanea in relazione al contesto.La prima generazione presa in considerazione, operante negli anni ’40 a cavallo dell’Indipendenza indonesiana, concepisce l’arte come strumento di formazione di un’identità nazionale in un clima postcoloniale.La seconda generazione di artisti è ancora politicizzata: l’arte negli anni della dittatura di Suharto costituisce uno strumento di lotta sociale contro il potere.La terza generazione, quella post-Suharto, lavora in un clima di rinnovata libertà. Nel 2000 l’arte comincia a germogliare assumendo il ruolo di aggregazione delle comunità.La quarta generazione è meno impegnata in temi politici e sociali, essendo più interessata ad una presenza nel mercato.

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Quest’ultimo, sempre più invasivo, finisce per influenzare i parametri di qualità.L’ultimo capitolo si riallaccia al discorso introduttivo sulla località e la globalità, considerando l’approccio degli artisti espatriati (in particolar modo a Bali) e gli artisti indonesiani che hanno scelto di lavorare all’estero, valutando in entrambi i casi l’incidenza del contesto culturale indonesiano.Ogni passaggio concettuale è accompagnato dall’evidenza di alcune opere selezionate, dalle testimonianze degli artisti indonesiani, e dall’opinione di studiosi, critici e personaggi del mondo dell’arte specializzati nell’Indonesia e del Sud Est Asiatico e dall’esperienza personale dell’autrice in Indonesia.

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PRIMA EDIZIONE DI MYLLENNIUM AWARD 2015: opportunità di lavoro e carriera per la Generazione Y ‏

Al via la prima edizione del MYllennium Award, il contest rivolto agli under 30 e ai loro progetti nelle sezioni Saggistica, Startup, Giornalismo d’inchiesta, Nuove opportunità di lavoro e Architettura. Grandi opportunità per gli under 30 nell’ambito di lavoro e creatività. Al via la prima edizione del MYllennium Award , un contest  promosso dal Gruppo Barletta in memoria del suo fondatore, Raffaele Barletta, e dedicato ai “Millennials”, la cosiddetta Generazione Y , con l’obiettivo di valorizzare le eccellenze, in termini di creatività e innovazione, dei giovani nati tra gli anni Ottanta e i primi anni Duemila. Un’iniziativa non convenzionale che intende fornire contributi concreti, tra cui premi in denaro, posti di lavoro, pubblicazioni: in pratica uno strumento con cui l’imprenditoria italiana mira ad investire sulla futura classe dirigente con un’azione concreta rivolta a settori diversi. Cinque sono infatti le sezioni in cui è articolato il Premio: Saggistica (MY Book), con la premiazione di nove saggi su “Economia”, “Europa” e “Lavoro”; Startup (MY Startup), con la premiazione di due imprese o progetti di impresa ad alto contenuto tecnologico; Giornalismo d’Inchiesta (MY Reportage), con la premiazione di tre video inchieste sulle eccellenze italiane; Nuove opportunità di lavoro (MY Job), con l’assegnazione di otto stage in aziende italiane e internazionali e quattro master presso Bologna Business School; Architettura (MY City), con la premiazione e la realizzazione di un progetto di arredo urbano nella città di Latina. A tale proposito, per illustrare nel dettaglio le proposte nei vari ambiti ed aree di interesse, sono in corso attualmente una serie di incontri nei più importanti Atenei e scuole specializzate: un road-show promozionale che sta ottenendo grande riscontro tra i giovani, attivo anche su web e social network. Il premio – riporta il Presidente Dott. Paolo Barletta, AD del Gruppo Barletta S.p.A. – non vuole essere solo la “manifestazione di un giorno”, piuttosto un percorso di 12 mesi, che sarà riproposto annualmente, dove i partecipanti, gli aspiranti, e i comitati avranno modo di interagire con attività specifiche volte alla crescita personale, al mutual learning e allo scambio culturale! A valutare i progetti saranno un Comitato Tecnico-Scientifico composto da personalità scelte per l’esperienza e la riconosciuta autorevolezza fra i membri della comunità accademica e scientifica, dell’economia, dell’industria, delle istituzioni e della società civile.

Giovani

Per la sezione MyBook, la giuria è composta da Matteo Caroli, direttore del Centro di ricerche internazionali sull’innovazione sociale, LUISS Guido Carli, Giuseppe Coppola, notaio, Michel Martone, professore di Diritto del Lavoro Università degli Studi di Teramo, Lucia Serena Rossi, professore di Diritto dell’Unione Europea Università degli Studi di Bologna, Francesco Tufarelli, direttore generale Presidenza del Consiglio dei Ministri. Per la sezione MyStartup, i giurati sono Paolo Barberis, consigliere per l’Innovazione del Presidente del Consiglio dei Ministri, Luca De Biase, direttore Nòva24 Il Sole 24 Ore e presidente Centro Studi ImparaDigitale, Laura Mirabella, managing director uFirst, Riccardo Pozzoli, CEO The Blonde Salad-Chiara Ferragni. I giurati della sezione MyReportage sono Barbara Carfagna, giornalista Tg1, Federico Garimberti, giornalista Ansa, Stella Pende, giornalista Mediaset, Gaia Tortora, giornalista La7. Per la sezione MyJob la giuria è composta da Max Bergami, Dean Bologna Business School, Antonio De Napoli, presidente Associazione ItaliaCamp, Mauro Loy, Marketing manager Methos, Francesco Tufarelli, direttore generale Presidenza del Consiglio dei Ministri. La sezione MyCity vede in giuria Giuseppe Bonifazi, direttore Ce.R.S.I.Te.S., Sapienza Università di Roma, Giovanni Di Giorgi, sindaco di Latina, Giorgio Ialongo, consigliere Comune di Latina, Lorenzo Le Donne, dirigente Servizio Grandi Opere e Lavori Pubblici Comune di Latina, Carlo Maggini, architetto, docente di Storia, critica e metodologia Quasar Design University, Salvatore Torreggian, imprenditore. Accanto al Comitato Tecnico-Scientifico, il Comitato d’Onore composto da autorevoli personalità istituzionali, accademiche e diplomatiche, da rappresentanti dell’industria e del mondo bancario italiani. Membri del Comitato d’Onore sono Umberto Vattani, presidente Venice International University, Andrea Monorchio, professore di Contabilità di Stato Università degli Studi di Siena, già Ragioniere Generale dello Stato, Paolo Barletta, amministratore delegato Gruppo Barletta S.p.a., Bernabò Bocca, senatore della Repubblica e imprenditore, Alberto Bombassei, presidente Brembo, Ernesto Carbone, parlamentare della Repubblica, Paolo Del Brocco, amministratore delegato Rai Cinema, Eugenio Gaudio, Magnifico Rettore Sapienza Università di Roma, Francesco Starace, amministratore delegato Enel, Francesco Tufarelli, direttore generale Presidenza del Consiglio dei Ministri.  Le candidature potranno pervenire attraverso il sito www.myllenniumaward.org dove sarà pubblicato l’elenco dei finalisti nelle diverse sezioni che parteciperanno alla cerimonia di premiazione nella quale verranno proclamati i vincitori nelle diverse sezioni. La cerimonia di premiazione avrà luogo l’8 luglio 2015 a Roma, presso il Chiostro del Bramante.

Millennials

SITO UFFICIALE:

www.myllenniumaward.org

INFOLINE: +39 06 5140003- +39 06 5140003 – premio@barlettagroup.com

FB: https://www.facebook.com/myllenniumaward?fref=ts
Twitter: https://twitter.com/MYllenniumAward

FILOSOLFEGGIANDO (S)quinterni di (S)confessioni di Bruno Aprea Presso Villa Torlonia Roma

bruno aprea

Giovedì 30 aprile presentazione del libro Filosolfeggiando di Bruno Aprea edito da Armando Curcio editore presso La Serra del Teatro di Villa Torlonia Roma. Interverranno: Claudio Strinati – critico d’arte e musicologo, Rocco Familiari – scrittore e drammaturgo, Massimo Fargnoli – già direttore artistico Orchestra Sinfonica RAI di Napoli, Dinko Fabris – musicologo ,Modera: Virginia Foderaro direttore editoriale Edizioni Opposto. “Bruno Aprea è scrittore più sintetico del futurista Achille Campanile che per una tragedia aveva bisogno di due battute: a lui basta una per scrivere una commedia”. Così Walter Pedullà inizia la sua Prefazione allo scritto di un autorevolissimo Direttore d’Orchestra: Bruno Aprea. Si tratta di un’Opera Prima letteraria che della musica conserva l’esperienza, l’ispirazione e la riflessione in racconti di vita (e filosofia) nei quali ritrovarsi, perdersi e sorridere con una forte dose di humour. E’ Filosolfeggiando, una raccolta di confessioni scottanti e visioni ironiche dell’esistenza dove i pensieri e i reciproci contatti tra le varie arti hanno portato l’autore alla formulazione di idee narrative, racconti, aforismi e anche brevi saggi, spesso documentati con immagini e citazioni. Di impossibile classificazione in un genere predefinito, il libro traspone – per tempi, temi, colori e argomentazioni – fraseggi e strutture musicali in forme letterarie abbracciando l’Arte, l’Etica, il Costume, ma anche l’Amore e il Sesso in discorsi sintetici ad un ritmo frenetico dove la battuta comica lascia il posto ad un corto circuito in cui la scrittura, semplice ed esilarante, trascina la mente verso vertiginosi meandri. Eros, Musica e Scrittura vanno a braccetto nella gimkana di parole in  celere staffetta tra l’avventura americana del Principal Conductor della Palm Beach Opera alle sue esperienze artistiche d’infanzia; dagli intimismi precorsi alla ricerca della compagnia femminile ad hoc (castigante o delirante che sia) alla reinterpretazione di conclamate opere d’arte.

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Il tutto all’interno di una scrittura variata dove i suoni rincorrono le parole, le note i concetti, le immagini gli aforismi, i calembour le esperienze vissute ed in cui il non-modello rende la lettura piacevole, scorrevole ed intrigante proprio perché mette a nudo la trasversalità dell’anima, trascinandola dall’accreditato piedistallo di una direzione sinfonica al pianterreno abitato da lettori onnivori e affamati di novità. Questa orchestra di parole, arguzie ed emozioni, sintetica ma incisiva, sicuramente non li deluderà.

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Biografia di Bruno Aprea

Iniziò lo studio del pianoforte con il padre Tito Aprea, al Conservatorio di Santa Cecilia a Roma, e debuttò come pianista. Dopo aver suonato, sia in recital per pianoforte solo che come solista in concerti per pianoforte e orchestra, in Italia e in diversi paesi europei, nel 1968 suonò, assieme al padre, nel concerto per due pianoforti di Mozart con l’Orchestra della Rai di Roma diretta da Sergiu Celibidache. La registrazione venne poi pubblicata su disco dalla Fonit Cetra. Intorno alla fine degli anni 1960 studiò direzione d’orchestra con Franco Ferrara pur continuando nella sua attività di pianista. Nel 1970 debuttò come direttore al Festival dei Due Mondi di Spoleto iniziando la sua nuova attività che lo porterà a lasciare quella di pianista. Dopo aver svolto un’intensa attività concertistica come pianista presso le sale più importanti del mondo, si è dedicato alla direzione d’orchestra grazie agli insegnamenti di Franco Ferrara presso il Conservatorio Santa Cecilia di Roma e successivamente all’Accademia Chigiana di Siena. Vincitore del Koussevitsky Prize al Festival di Tanglewood nel 1977, è stato il secondo direttore d’orchestra italiano a vincere il prestigioso premio dopo Claudio Abbado nel 1958. Direttore Artistico e Direttore Principale della Palm Beach Opera dal 2005, con questa compagine ha diretto, fra l’altro, la Messa da Requiem di Verdi, Nabucco, Orfeo ed Euridice, Tosca, Rigoletto, Otello,Don Giovanni, Norma, Le nozze di Figaro, Turandot, L’elisir d’amore, La traviata, Madama Butterfly eLucia di Lammermoor. Il suo repertorio include le principali opere di Rossini, Donizetti, Bellini, Verdi, Puccini, Mascagni nonché di Mozart e Gluck, fra gli altri. Durante la sua lunga carriera è salito sul podio di importanti istituzioni musicali negli Stati Uniti, nel Regno Unito, in Irlanda, nonché a Tokyo, Berlino e Cape Town. In Italia ha diretto presso il Teatro dell’Opera di Roma, il Teatro La Fenice di Venezia e il Teatro San Carlo di Napoli. Nel corso delle ultime stagioni ha diretto La traviata a Pisa, La bohème ad Hong Kong, Tosca al Teatro della Maestranza di Siviglia.

Ha svolto un’intensa attività sinfonica in Europa, Sud America e Israele salendo sul podio di alcune fra le più importanti orchestre del mondo. In Italia ha collaborato con le principali orchestre sinfoniche e dal 2005 al 2008 è stato Direttore Ospite Principale dell’Orchestra Sinfonica della Provincia di Bari. La sua discografia comprende opere rare fra cui Il bravo di Mercadante, Il domino nero di Lauro Rossi,Zanetto e Le maschere di Mascagni, La pietra del paragone di Rossini, Le Villi di Puccini.

Giovanni Cardone